Rapporti personali o istituzionali nella gestione del potere?

In politica un rapporto personale è migliore di uno istituzionale se chi comanda dimostra d’essere migliore di chi ubbidisce. Un rapporto personale implica una fedeltà reciproca, una sorta di impegno morale consensuale.

Perché questo tipo di rapporto funzioni, chi comanda dovrebbe però essere sottoposto a giudizio, o quanto meno la sua carica dovrebbe essere eleggibile, altrimenti diverrà inevitabile l’esigenza di renderla inamovibile e persino ereditaria.

Per qualunque ruolo di comando deve assolutamente valere il principio secondo cui nessuno è insostituibile. Infatti, nella misura in cui il comportamento di chi comanda perde i connotati etici, l’ubbidienza dei sottoposti diventa sempre più formale e, nella sostanza, essi faranno di tutto per aumentare la loro autonomia o per stabilire dei particolari privilegi, finché alla fine dominerà una generale corruzione (o anarchia).

Un rapporto istituzionale è invece, per definizione, impersonale, basato su un potere che è di diritto solo perché è di fatto, cioè incontestabile. Quando i cittadini vanno a votare non mettono in discussione il sistema in generale né quello della rappresentanza in particolare, ma si limitano a sostituire i suoi rappresentanti con altri. Al limite, se nessuno andasse a votare, il sistema politico-istituzionale resterebbe in piedi lo stesso.

L’eticità del potere istituzionale non ha bisogno d’essere dimostrata, e l’obbedienza ch’esso richiede non è condizionata. Di regola si pensa che in un rapporto istituzionale chi comanda non faccia preferenze di persona, in quanto non si sente vincolato da alcun rapporto diretto (di parentela o di amicizia o di riconoscenza per un favore ricevuto) coi propri subordinati e che, per questa ragione, egli sia indotto a scegliere gli elementi più capaci e meritevoli.

Tuttavia questo sarebbe possibile solo a una condizione, ch’egli avesse un potere immenso, che è cosa assai rara persino in qualunque dittatura. Sicché l’equidistanza, nei rapporti istituzionali, è in genere un’illusione, una forma di mistificante idealismo con cui si vuol far credere che il potere statale sia al di sopra delle parti. Come noto, la borghesia ha preferito i rapporti istituzionali a quelli personali del mondo cattolico-feudale.

E’ da quando sono nati i Comuni italiani che nelle città non si ubbidisce a “persone”, ma a “istituzioni”, ed è almeno da mezzo millennio che si ubbidisce allo “Stato”, sia esso repubblicano o monarchico, il quale è rappresentato da “funzionari”, che vengono utilizzati sulla base di “contratti”. L’apparenza è quella di una maggiore obiettività, in quanto un qualunque rapporto personale rischia d’apparire viziato da considerazioni soggettive (che si traducono in cooptazioni, raccomandazioni e quant’altro).

Tutti, anche coloro che comandano, devono mostrare di fare gli interessi di un’entità superiore, chiamata appunto “Stato” (nazionale o anche sovranazionale, come oggi accade con la fase del globalismo economico). Ecco perché nessuno può opporsi con la forza quando il contratto non viene rinnovato: l’interessato se ne dovrà cercare un altro.

Qui è l’apparenza della democrazia che trionfa. Nei fatti, siccome domina incontrastata la proprietà privata dei mezzi produttivi, è proprio nelle democrazie formali di tipo borghese che si sviluppano le caste, esattamente come avveniva nei rapporti personali di tipo feudale quando la corruzione s’imponeva su tutto.

Le caste non sono altro che quei gruppi sociali, forti economicamente, che sfruttano l’apparente equidistanza dello Stato per aumentare il loro potere personale. All’interno di questo sistema non c’è alternativa alle caste, a meno che non si voglia liquidare progressivamente lo Stato, favorendo il ripristino dei rapporti di dipendenza personale, dove però il ruolo del comando sia eleggibile e rivedibile in qualunque momento, soprattutto quando si è in grado di dimostrare una palese violazione del diritto.

Ora, chiunque si rende conto che “dimostrazioni” del genere sono possibili solo quando la democrazia è diretta, cioè quando essa viene esercitata in un territorio locale abbastanza circoscritto, facilmente controllabile da parte dei cittadini che lo abitano.

Se l’idea è quella di superare la proprietà privata dei mezzi produttivi, rendendola collettiva (sociale, non statale), bisogna superare il sistema del capitale, in cui domina la proprietà monetaria del borghese, senza ricadere nel sistema feudale, in cui dominava la proprietà terriera del nobile.

Dobbiamo creare una società in cui la proprietà collettiva di tutti i mezzi produttivi venga gestita da comunità di tipo locale che, nell’affronto dei loro bisogni primari, siano indipendenti.

6 commenti
  1. controcorrente
    controcorrente says:

    Sono dubbioso, su come poi le comunità di tipo locale gestirebbero i rapporti tra di Loro..ovvero quale meccanismo istituzionale si dovrebbe avere per non ripetere la solita catena di comando che rimanderebbe poi ect,ect tipica scena di quando il mio gatto cerca di prendersi la coda..per la parte storica OK !

    cc

    Rispondi
  2. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    Se il meccanismo è “istituzionale” siamo da capo. Ci vogliono le persone. Tra loro paritetiche, e perché lo siano la comunità deve fruire di proprietà sociale dei mezzi produttivi (che poi sono, se vogliamo, autoriproduttivi). Una comunità indipendente sul piano economico è per forza basata sull’autoconsumo e sullo scambio delle eccedenze. Insomma un neofeudalesimo senza servaggio e, ovviamente, senza clericalismi di sorta. L’istituzione va abolita proprio in quanto implica la delega delle funzioni, delle responsabilità… che può aver senso solo in via transitoria, temporanea, limitata agli obiettivi da perseguire, come quando tra i barbari si eleggeva un capo solo per fare guerra a qualche tribù, finita la quale, lui tornava ad essere un pari tra pari.
    ciaooo

    Rispondi
  3. controcorrente
    controcorrente says:

    caro Enrico,

    le mie perplessità in materia, arrivano proprio dal feudalesimo..
    Proprio pochi giorni fa , che mi capita tra le mani ?
    Baudolino di Eco, comperato secoli fa e mai letto..forse il solo..degli ultimi dal Nome della Rosa in Poi.
    Sinceramente che Milano radesse al suolo Lodi per ben due volte non me loricordavo e pensare che erano due comuni lombardi..!!
    Ahhh sti Lumbard …!
    Io penso ..che sia leggenda quella della sussistenza reciproca maggiore tra i membri di una comunità di cui si “leggendifera” in certi racconti..ovvero,
    bisogna ringraziare la Penicillina e non il buon cuore di gesù, giuseppe e maria..ovvero bisogna ringraziare il SSn e non le opere pie dei lazzaretti dove come minimo bisognava portare almeno fiori freschi a qualche santo..erano però più graditi, ova ,polli e conigli !!

    saluti

    cc

    ps- sinceramente, ragionando ora, avrei preferito essere suddito dell?Imperatorebda “poveraccio”, all’epoca dei fatti, che non un Inurbato membro della feroce comunità pre-borghese lumbard.,.in- somma,non si tratta di umanità imperiale, ma solo di calcolo banale, che mentre il feudatario se ne stava nel castello,si poteva fregare il suo esattore…e raccogliere ancora la legna nei boschi comuni…mi sa che i Borghesi milaneis comprendevano già i logaritmi e i derivati o le stock options della legna..ovviamente tutto rapportato all’epoca.

    Rispondi
  4. controcorrente
    controcorrente says:

    Caro Enrico,
    modelli del tipo da te proposti “analoghi” sono stati già tentati nel passato.
    Intendo per esempio il Modello del Bruderhof tedesco fino a Comunità sul modello presenti negli USA ,se non vado errato.
    Ai tempi sappiamo come finirono..ovvero riuscirono pure a mettere in piedi sistemi economici funzionanti, che ad ogni piè sosspinto divennero facile preda del Mondo che li circondava.

    D’altronde il Modello Leninista per funzionare che era figlio del modello marxista se vuoi, prevedeva per l’avvio della società comunista, l?INTERNAZIONALE !
    Come pensi che reggerebbero ora simili modelli ??

    cc

    Rispondi
  5. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    Il modello leninista prevedeva larghi poteri ai Soviet, ma lo stalinismo non ne volle sapere. Il leninismo finì con la morte di Lenin, ma l’idea era giusta. D’altra parte è impossibile far estinguere lo Stato se progressivamente non si aumentano i poteri alle comunità locali. La concessione o la delega dei poteri va intesa in senso inversamente proporzionale alla distanza di chi li esercita.
    Se chiediamo l’autonomia gestionale (politica ed economica), lo Stato non ce la darà, ma lo Stato oggi è in grado d’impedire qualcosa legittimamente? Ha un potere di fatto ma non quello di diritto, che esercita a favore di una ristretta minoranza. Dovremmo quindi prepararci a uno scontro armato: enti locali contro ente centrale.
    Anche l’idea di federalismo è giusta, ma non quella della Lega, che pensa solo a sviluppare la piccola e media borghesia a livello locale, riproducendo in piccolo i meccanismi del sistema generale. E infatti quando ha gestito il potere centrale s’è visto da che parte stava.
    Purtroppo abbiamo una sinistra lontanissima dall’idea di potenziare al massimo le realtà locali.
    Forse arriveremo a capirne l’importanza quando il sistema andrà in default, quando la crisi ci porterà alla fame.
    Dallo Stato imperiale romano, burocratico, fiscale e militarista, dobbiamo passare alle comunità locali agricole, indipendenti tra loro, autosufficienti. Sarà una dura battaglia tra il valore d’uso e il valore di scambio, tra l’autoconsumo e il mercato.

    Rispondi

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