Le Shoà degli altri di cui non si parla: chi ruba i bambini a chi. Ma anche Ratzinger non ci sente….

1) – Il papa è arrivato in Australia. Ha detto qualcosa sui preti pedofili, ma non abbastanza. Ma sarebbe il caso dicesse qualcosa soprattutto sulla “generazione rubata”, vale a dire sugli oltre 100 mila bambini aborigeni rapiti nel secolo scorso alle loro famiglie dai colonizzatori bianchi per essere “civilizzati” e “cristianizzati” a tutti i costi, ma spesso in realtà violentati, torturati, uccisi. Per non parlare dello sterminio – c’è chi parla di Olocausto o Shoà – degli aborigeni in intere regioni, come per esempio la Tasmania. Il governo ha già ammesso alcune colpe, in alcuni casi – pochissimi – ha pagato anche dei risarcimenti.

2) – In Canada ai primi di giungo il governo ha ufficialmente chiesto perdono ai suoi cittadini di etnia “indiana” o “pellerossa” che dir si voglia, stanziando anche 2 miliardi di dollari per i risarcimenti. E’ stato ufficialmente ammesso che, oltre ai variamente abusati e torturati, almeno 50.000 bambini sono stati massacrati dei 130.000 rapiti alle loro famiglie nelle varie tribù. Uno dei lati più brutti di questa vicenda è che la mattanza e gli abusi sono avvenuti nelle scuole residenziali, così dette perché i piccoli nativi erano costretti a risiederci in permanenza, gestite tutte dalle varie chiese cristiane del Canada, compresa la Chiesa cattolica. Scandaloso quindi il silenzio del Vaticano su quest’altra “nuova” vergogna a suo carico, questo far finta di nulla e parlar d’altro. Da notare che mentre l’Australia e il Canada mettono mano al portafogli per risarcire almeno in minima parte i danni, e riscattarsene così più credibilmente, il Vaticano, cioè la Chiesa, nel 2000 ha chiesto scusa per una serie di crimini dei secoli passati, dalle vittime dell’Inquisizione alla strage degli ugonotti, senza però mai mettere mano a risarcimenti agli eredi. Chiacchiere molte, fumo di incenso pure, ma soldi zero. E sì che quasi sempre di quelle vittime la Chiesa requisiva i beni, al punto che diventò il più grande latifondista d’Europa, vale a dire del mondo! Se non ci fossero i tribunali Usa a ordinare i risarcimenti per le vittime dei preti pedofili, non ci sarebbe neppure quella spesa….

3) – Gli zingari (parola che i diretti interessati ritengono offensiva e che va quindi sostituita con gitani o con rom, sinti, ecc.) ci rubano i bambini? Non solo non è vero, ma è vero il contrario: siamo noi che rubiamo loro i bambini. E’ successo nelle civilissima Svezia e nella civilissima e nostra confinante Svizzera, in migliaia di casi. In Italia succede ancora oggi “solo” che le non poche mamme “zingare” in galera si vedano sottrarre i figli perché vengano “educati” in quelle che si chiamano “istituzioni totali”, che in realtà non hanno mai educato nessuno.

Vi propongo per ognuno di questi tre argomenti un articolo specifico. Il primo è una intervista fatta da una mia collega di Repubblica, Silvana Mazzocchi, a una scrittrice australiana. Il secondo è l’originale di un mio articolo comparso in versione ridotta su L’espresso cartaceo di un paio di settimane fa. Il terzo è un articolo tratto dal sito http://geigerdysf.splinder.com/tag/colonialismo che si è occupato di questi argomenti.

Buona lettura. Spero.

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La ferita aperta dell’Australia
un libro sui “bambini rubati”

di SILVANA MAZZOCCHI

Larissa Behrendt è una giovane donna bionda, ed è la pronipote di una bambina aborigena che, nel 1918, venne strappata al suo popolo e alla sua famiglia per essere educata e cresciuta dai bianchi, una dei tanti “bambini rubati” ai quali vennero sottratti affetti e identità. L’immenso peccato razziale della cancellazione degli aborigeni andò avanti in Australia dai primi del Novecento fino al 1969.

Con Home, da qualche giorno in libreria per Baldini Castoldi Dalai, Larissa Behrendt, docente di legge e studi aborigeni e avvocato votato alla causa dei diritti del suo popolo, racconta, tra realtà e fiction, un lungo viaggio alla ricerca delle radici perdute e fa riemergere una pagina di storia che il suo paese ha creduto di poter archiviare troppo in fretta: la tragedia degli aborigeni, “colpevoli” soltanto di avere una pelle diversa dai bianchi.

Protagonista del romanzo è Candice, una ragazza dai capelli chiari, pronipote di Garibooli, la bimba portata via con la forza dal campo di eualayai, che, a distanza di settant’anni, ritorna con il padre Bob nei luoghi dove venne rapita la nonna. Insieme ai ricordi che affiorano e attraverso i luoghi e i volti, si ricompone la vita di Garibooli, ribattezzata Elisabeth. Violenze, diritti violati, ferite non rimarginabili.

Le cose sono cambiate quando è andato al potere Kevin Rudd. Lui ha chiesto scusa agli aborigeni e il governo si è fatto carico dei danni morali e fisici causati dalla politica dei rapimenti. Oggi in Australia va senz’altro meglio, ma solo dal punto di vista teorico. Quando si scende sul piano pratico ci sono ancora molti problemi.
La tragedia degli aborigeni è stata una pagina della storia Australiana chiusa tanto tempo fa. Lei ora la riapre
Anche
se il rapimento di massa dei bambini aborigeni è finito con gli anni Sessanta, ancora oggi quanto è successo pesa sul mio popolo. Tutti quelli che furono strappati ai loro cari per essere “assimilati” dai bianchi, hanno subito abusi: fisici, mentali, sessuali. E ce ne sono ancora molti che non sanno neanche da dove provengono e che non sono riusciti a ritrovare la loro identità. Da avvocato mi sono occupata di donne, figlie e nipoti di bambini o bambine rapiti, che non avevano neanche il più pallido ricordo della loro famiglia. Un’eredità pesante da portare.

Home è un romanzo autobiografico?
Sì, il libro si basa sulla storia della mia famiglia, ma anche sulla mia esperienza di avvocato. Candice sono io, e Garibooli è mia nonna. Della mia famiglia io conoscevo qualche cosa, ma non molto. Mentre, nel romanzo, Candice immagina la storia di Gariboli nei dettagli: da quando venne strappata al suo campo in poi. Fino a quando le sarà possibile tornare a casa, tanto tempo dopo. Visitare i luoghi da dove mia nonna venne portata via, mi ha dato la forza e l’emozione per poter scrivere Home.
Quanti sono stati, in cinquant’anni, i bambini aborigeni rapiti?
Ipotizzare un numero preciso è difficile. Le fonti ufficiali dicono che quella sorte capitò a un bambino su dieci. Ma io non ho mai conosciuto una sola famiglia aborigena che non contasse un “bambino rubato”.
Quello che è accaduto agli aborigeni nel suo paese è stato il tentativo di togliere l’identità a un popolo. L’Australia ha riconosciuto le sue responsabilità, o la questione è ancora aperta?
Il nostro ex primo ministro, John Howard, non pensava che l’Australia si dovesse vergognare di questo suo passato, né riteneva che la questione degli aborigeni fosse stata sottovalutata. E, in quel periodo, tutto sommato, la logica dell’assimilazione è continuata, la cultura aborigena non era in alcun modo né protetta né fatta rivivere, né tanto meno venivano stanziati fondi e risorse per salvaguardare il popolo aborigeno.

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di Giuseppe Nicotri

Per ogni anno passato nella scuola ognuno riceverà 13.000 dollari per la perdita della lingua, per la perdita della cultura e per la perdita della vita di famiglia. Chi dichiarerà di avere avuto violenze sessuali, fisiche e psicologiche dovrà affrontare un processo supplementare e potrà ricevere fra i 5.000 e 275.000 dollari
in più. No, non si tratta di scuole gestite da cinesi in Tibet, ma delle scuole residenziali cristiane di Stato del Canadà, nelle quali a partire dal Federal Indian Act del 1874 che le ha istituite oltre 150.000 bambini “indiani” sono stati rinchiusi d’autorità per “venire civilizzati” dopo essere stati strappati alle rispettive famiglie e
popoli di appartenenza, quelli che nei film e nei fumetti vengono sbrigativamente definiti “tribù”. Il fine era, come dichiarato dall’allora sovrintendente agli Affari Indiani Duncan Campell Scott, “Uccidere l’indiano che è dentro l’indiano”. Non meno di 50.000 di quei bambini sono stati uccisi per davvero, torturati e sessualmente abusati direttamente dal personale insegnante o dai religiosi, preti e suore, che le gestivano e che delle vittime hanno anche fatto sparire i cadaveri. La legge del 1874 era stata preceduta dal Gradual Civilization Act del 1857, ed entrambe definivano legalmente gli indiani, cioè gli aborigeni, “Individui selvaggi, privi della conoscenza di Dio e di qualsiasi stabile e chiaro credo religioso”, definizione che, oltre a persistere sino ai nostri giorni, ha permesso l’incredibile strage degli innocenti. Incredibile, ma assai ben documentata già dal 1997. I 10 anni da allora intercorsi sono serviti al governo canadese per trattare con l’Atlantic Policy
Congress of First Nation Chiefs (APC) il risarcimento do 1,9 miliardi di dollari per i circa 80 mila superstiti rinchiusi in quei lager di Stato dal 1920 al 1997.
L’11 giugno a Ottawa il primo ministro Stephen Harper in un parlamdo affollatissimo e in diretta televisiva ha chiesto pubblicamente e ufficialmente perdono , stando in piedi, al delegato dell’APC, rimasto seduto, Phil Fontaine: nome francese, ma inequivocabile capricapo di piume. Nel suo discorso Harper ha tra l’altro detto: “E’ stato un errore separare i bambini da culture ricche e vibranti. Ciò ha creato un vuoto in molte vite e in tante comunità. Di questo chiediamo perdono”. “La vostra domanda di perdono è accolta”, ha risposto nella sua replica Fontaine.
“Il risarcimento ammette una verità che è più profonda dei soldi”, ha commenta Paul Viola, un altro rappresentante dell’APC: “Nelle scuole residenziali si veniva chiusi in tenera età, così da non conoscere di fatto i propri genitori, e vi imparavano solo la violenza fisica e gli abusi sessuali”. Il 62enne Paul Fredda, “uomo della medicina” della tribù Passamaquoddy e laureato in Scienze ambientali all’Unity College, ha potuto raccontare pubblicamente di quando lui e suo fratello furono deportati nella scuola residenziale di Shubenacadie, dove con altri bambini vennero sistematicamente abusato sessualmente da preti cattolici e dove hanno assistito, tra l’altro, all’agonia di un bambino picchiato, legato a un albero per due notti e lascito morire. Le testimonianze ricordate ad alta voce in pieno parlamento evocano storie terribili e vergognose.
E’ stata l’APC a prendere a suo tempo con altri gruppi l’iniziativa di citare in tribunale il governo canadese e le chiese anglicana, battista, metodista, presbiteriana, cattolica e unitaria canadese, le chiese cioè che hanno gestito fin dalla loro istituzione nel 1874 il centinaio di mattatoi per bambini chiamati scuole residenziali perché gli “scolari” erano costretti a risiedervi. Il governo ha dovuto così istituire l’ente investigativo pubblico chiamato Commissione per la Verità del Genocidio in Canada, che a sua volta ha proseguito i lavori di altri due tribunali, la Commissione d’Inchiesta sui Crimini Contro il Popolo Aborigeno, riunita nel dicembre 1994 a Port Alberni, nella Colombia britannica, e il Tribunale sulle Scuole residenziali Canadesi, dell’Associazione per i Diritti Umani delle Minoranze Americane, riunito a Vancouver nel giungo 1998. Le testimonianze e le prove, che non riguardano solo le scuole, sono una galleria di orrori con elencati 15 tipi di violenze fisiche compresa l’inoculazione scientemente voluta di virus e bacilli di malattie mortali: rispetto i campi di sterminio nazisti mancano solo le camere a gas e i forni crematori. Secondo alcuni il famigerato dottor Mengele per i suoi feroci esperimenti sugli esseri umani si è ispirato proprio alle pratiche delle scuole residenziali. Il
segretario della prima commissione, reverendo Kevin Annet, infatti non ha esitato a parlare di “crimini contro l’umanità” e a scrivere nella relazione finale: “A differenza del popolo tedesco dopo la seconda guerra mondiale, noi canadesi dobbiamo ancora venire a conoscenza e fare ammenda del genocidio che abbiamo perpetrato contro i milioni di individui delle popolazioni da noi sottomesse: uomini, donne e bambini indigeni deliberatamente sterminati dal nostro Stato
e dalla nostra Chiesa convinti della propria supremazia razziale”.
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da http://geigerdysf.splinder.com/tag/colonialismo

Nel maggio del 1999, il Parlamento svedese ha deciso di indennizzare le vittime della politica di sterilizzazione forzata condotta in questo paese dal 1934 al 1975. A partire dal periodo compreso fra le due guerre, in tutta Europa, sotto la pressione di una “nuova scienza”, l’eugenetica, e nel quadro di un’inquietante febbre nazionalista, si attuano politiche di eliminazione o di controllo dei “devianti sociali” e degli stranieri. La Germania nazista le porterà al parossismo, ma esse furono attuate, sotto altre forme, anche dal governo elevetico nei riguardi degli zingari.

“Mi hanno portata via da mia madre poco dopo la mia nascita (…) I primi sei mesi di vita, li ho passati in un centro pediatrico per ritardati mentali. Lì ho vissuto le prime torture psichiatriche di un bambino jenische (…) Quando per la prima volta ho chiesto al mio tutore, il dottor Siegfried, chi fossero i miei genitori, mi ha detto (…) tua madre è una puttana, tuo padre un asociale. E questo, me lo sono portato dietro per dieci anni. Finché ho capito il significato di quelle parole: i miei genitori erano zingari ” (Mariella Mehr, scrittrice jenische, una comunità gitana).

Quella comunità della Svizzera fu vittima, negli anni tra il 1926 e il 1972, di una vera e propria caccia al nomade denominata l’operazione “Enfants de la grand-route” (Bambini della strada maestra). Come varie centinaia di altri figli di nomadi, Mariella era stata tolta di forza ai suoi genitori:

Nell’arco di quasi mezzo secolo, in Svizzera oltre seicento bambini jenisches sono stati sottratti a forza alle loro famiglie dall’Opera di soccorso “Enfants de la grand-route”, che aveva un unico mandato: quello di sradicare il nomadismo. Con questo proposito, i figli del popolo itinerante erano sistematicamente sottratti ai genitori e collocati presso famiglie affidatarie o negli orfanatrofi, quando non venivano addirittura incarcerati o internati in ospedali psichiatrici.
Nell’ambito del programma che doveva plasmarli secondo i modelli della società sedentaria, questi bambini hanno subito atti di razzismo, umiliazioni e maltrattamenti. Queste vessazioni, più accentuate nella Svizzera tedesca e nel Ticino, sono state minori nella Svizzera francese.
“Sradicare il male del nomadismo” L’Opera di soccorso “Enfants de la grand-route” era stata creata nel 1926 dalla celebre e prestigiosa federazione svizzera di beneficenza Pro-Juventute, cui era stato affidato l’incarico di “proteggere i bambini a rischio di abbandono e di vagabondaggio”.”

Nel giugno 1998 Ruth Dreyfuss, consigliere federale oggi presidente della Confederazione elvetica ha dichiarato pubblicamente: “Le conclusioni degli storici non lasciano spazio al dubbio: l’Opera di soccorso Enfants de la grand-route è un tragico esempio di discriminazione e persecuzione di una minoranza che non condivide il modello di vita della maggioranza”.

Il termine assimilazione rivela qui la sua natura più brutale e feroce. Non a caso il fondatore e direttore di quest’organismo, Alfred Siegfried (1890-1972), che terrorizzava i bambini gitani con la complicità della polizia e delle amministrazioni comunali e cantonali, venne paragonato al suo principale ispiratore, Hitler.

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