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UCRAINA. LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ON. SERGIO MATTARELLA

Signor Presidente,
Lei ieri si è pronunciato fermamente contro l’esecrabile guerra di cui è vittima l’Ucraina. Lo ha fatto con parole nette, queste: “La nostra responsabilità di cittadini, di europei, ci chiama oggi a un impegno più forte per la pace, perché si ritirino le forze di occupazione e si fermino le armi, perché sia ripristinato il diritto internazionale e siano rispettate le sovranità nazionali.
L’indifferenza di fronte all’arbitrio, alla sopraffazione è uno dei mali peggiori. In gioco non c’è soltanto la già grande questione della libertà di un popolo, ma la pace, la democrazia, il diritto, la civiltà dell’Europa e dell’intero genere umano.
[…] Non è tollerabile – e non dovrebbe essere neppure concepibile – che, in questo nuovo millennio, qualcuno voglia comportarsi secondo i criteri di potenza dei secoli passati; pretendendo che gli Stati più grandi e forti abbiano il diritto di imporre le proprie scelte ai paesi più vicini, e, in caso contrario, di aggredirli con la violenza delle armi. Provocando angoscia, sofferenze, morti, disumane devastazioni”.
Sono parole, sono concetti, che condivido totalmente perché mi hanno sempre ispirato nella vita, spingendomi a schierarmi contro ogni guerra di aggressione che dal 1960 (quando ho iniziato giovanissimo a fare politica) abbia infierito in qualsiasi parte del nostro pianeta: contro tutte le guerre, con determinazione, con coerenza, sempre.
Ecco, Signor Presidente: con coerenza. La coerenza che consente a me, e a tanti altri come me, di denunciare oggi la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina come abbiamo fatto in passato contro le altre, senza dimenticare la storia dell’ultimo trentennio (almeno) né, in particolare, tutti gli anelli della lunga catena di guerre che hanno preceduto l’attuale, in cui l’Italia stessa è stata più volte coinvolta. Ricordo, una per tutte, la seguente.
Ricorrerà tra pochi giorni il 23° anniversario dell’inizio della “Operazione Allied force” scatenata dalla Nato contro la Serbia. Guerra definita “umanitaria” da chi la scatenò. Guerra invece di aggressione, sotto tutti i profili. Guerra illegittima, che violava il diritto internazionale, che violava lo stesso Patto Atlantico (in particolare artt. 1, 3, e lo stesso 5); che violava lo Statuto dell’Onu (art. 51); che violava la Costituzione italiana (art. 11). Guerra che durò 71 giorni (speriamo che quella di Ucraina duri meno); che vide utilizzare nei bombardamenti contro la Serbia ogni sorta di ordigno bellico (comprese le bombe all’uranio impoverito, di cui quelle popolazioni patiscono ancora oggi le conseguenze, quelle a grappolo e quelle alla grafite, con l’esclusione soltanto di quelle nucleari) in 38.000 missioni aeree; che provocò vittime militari e civili stimate in un numero superiore a 12mila persone di ogni età (speriamo che quelle della guerra contro l’Ucraina siano inferiori); che colpì infrastrutture civili di ogni tipo: strade, ponti, ferrovie, aeroporti, la sede della televisione, la stessa ambasciata cinese a Belgrado (con tre morti)…; che devastò la capitale della Serbia; che causò centinaia di migliaia di profughi.
Ecco, Signor Presidente: A QUELLA GUERRA PARTECIPO’ ATTIVAMENTE ANCHE LA REPUBBLICA ITALIANA. LO DECISE UN GOVERNO DI CUI LEI ERA VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, con delega ai servizi di sicurezza. Quello che Lei oggi definisce, con un giudizio che faccio mio, “non tollerabile” fu allora non tanto tollerato quanto voluto anche dal governo italiano. E gli “Stati più grandi e forti” – quanto più forti! – ritennero allora di avere il “diritto” di “imporre le proprie scelte […] con la violenza delle armi” alla Serbia, calpestando la “sovranità nazionale” di un popolo collocato al centro della “civiltà dell’Europa”.
Suppongo, Signor Presidente, che la citazione del Suo discorso che ho riportato abbia inteso essere un’implicita autocritica per avere condiviso a suo tempo, in una funzione diversa dall’attuale, la responsabilità della guerra di aggressione alla Serbia. Le confesso, tuttavia, che avrei gradito che quell’autocritica fosse più esplicita. Una maggiore chiarezza avrebbe sicuramente dato maggiore incisività e l’indispensabile credibilità alle Sue giuste parole, avrebbe allontanato dalle Istituzioni l’accusa di doppiopesismo che una parte dell’opinione pubblica rivolge a esse, con ciò consolidando di fronte a tutti gli Italiani anche il prestigio di cui meritatamente gode, e deve godere, la Presidenza della Repubblica.
Buon lavoro, Signor Presidente!
Severino Galante (ex parlamentare della Repubblica italiana)

Per la Chiesa ci sono copti e copti: protesta, giustamente, per la strage dei 21 ad Alessandria d’Egitto, ma continua a tacere sui 1.600 monaci copti etiopi massacrati dagli italiani. Le (inesistenti) “offese agli ebrei” dell’ex Nar romano Francesco Bianco, ultimo caso delle sempre più sbracate bufale sul “dilagare dell’antisemitismo”

1) – Il Vaticano e la Chiesa italiana continuano a mantenere viva l’attenzione e la condanna per la strage di 21 cristiani copti a Capodanno ad Alessandria d’Egitto. Il cardinale Bagnasco nelle ultime ore ha pubblicamente invocato l’intervento della Comunità Europea a protezione dei copti e dei cristiani in genere nei Paesi dove non sono ben visti. Iniziativa condivisibile. Le stragi di fedeli, per giunta in una chiesa mentre pregano, sono infatti una cosa particolarmente orribile, quale che sia la fede delle vittime. Però in questo caso l’intervento della Chiesa italiana e del Vaticano sorprendono. Il problema non è solo il loro silenzio nei confronti delle vittime musulmane della guerra angloamericana in Iraq, silenzio denunciato nei giorni scorsi dalla maggiore autorità religiosa musulmana d’Egitto, o nei confronti dei bombardamenti “per errore” della Nato in Afganistan che fanno stragi di civili innocenti, bambini compresi, anche alle feste di matrimonio. A essere pignoli ci sarebbe da notare che papa Wojtyla dopo avere inutilmente scongiurato l’intervento in Iraq, patrocinando di fatto il movimento pacifista Arcobaleno, si è poi affrettato a invocare “Dio benedica l’America!” non appena il mentitore guerrafondaio George W. Bush andò a fargli visita in Vaticano. Ma tralasciamo.

Quello che non convince è invece il fatto che il Vaticano e la Chiesa italiana PRIMA di protestare, giustamente, per la strage dei copti d’Alessandria dovrebbero pubblicamente ammettere d’avere sbagliato e chiedere perdono per il silenzio tombale con il quale nascosero la strage di almeno 1.600 monaci copti per mano italiana nel 1937 in Abissinia, oggi Etiopia ed Eritrea. Pur di non dispiacere al Cavaliere di turno, l'”uomo della Provvidenza” Benito Mussolini e ai suoi fascisti, che avevano invaso l’Abissinia, il Vaticano fece spallucce per la rappresaglia al fallito attentato al maresciallo Graziani, rappresaglia che sterminò dai 4.000 ai 20.000 civili abissini, e tacque totalmente e vergognosamente per la strage di tutto il clero copto della capitale religiosa di Debre Libanos: almeno 1.600 tra monaci, giovani seminaristi e ragazzini chierici. In totale, l’equivalente di 20-50 volte la strage delle Fosse Ardeatine perpetrata a Roma dai nazisti tedeschi. Continua a leggere