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Contro gli integralisti della fede

Chiunque creda in un dio, s’aspetta che i suoi problemi vengano risolti da qualcun altro, umano o divino che sia, o anche di entrambe le nature, come quando papa Pio XI disse che Mussolini, contro il pericolo del bolscevismo in Italia e l’inettitudine della democrazia liberale, era “l’uomo della provvidenza”.

Cioè il credente è colui che sente di non avere abbastanza forze per risolvere i problemi da solo, o comunque è colui che è abituato ad avere piena fiducia nelle “autorità forti”, quelle che, per chissà quale miracolo divino, vanno esenti dagli effetti negativi del cosiddetto “peccato originale”. Anche Hitler diceva – tutte le volte che gli attentati contro di lui fallivano – che quella era la prova della sua “missione divina”.

Ora, se tale sfiducia in se stessi dipende dalla precarietà di una situazione materiale, chi professa l’ateismo dovrebbe astenersi dal criticare i credenti. E’ evidente, infatti, che fino a quando quella indigenza resterà immutata, la fede continuerà a sopravvivere; anzi, di fronte agli attacchi del laicismo, si rafforzerà ancora di più e andrà persino a cercare forme estreme di resistenza, come p. es. il martirio o l’autoimmolazione.

Di per sé non ha alcun senso lottare per portare i credenti all’ateismo: queste sono forme di violazione della libertà di coscienza. Per un non credente deve risultare sufficiente l’affermazione di una laicità dello Stato, cioè la negazione del confessionalismo da parte delle istituzioni pubbliche.

Un non credente può anche opporsi alle superstizioni religiose, ma solo quando queste vogliono imporsi in maniera clericale, cioè rivendicando un potere politico. In coscienza uno deve restar libero di credere in ciò che vuole. Il modo migliore per cambiare atteggiamento nei confronti della religione, è quello di farlo in piena libertà, senza pressioni o forzature di alcun genere.

Gli atei devono persuadere i credenti a lottare contro le ingiustizie sociali e le violazioni dei diritti umani, e non devono farlo in quanto atei, né devono rivolgersi ai credenti in quanto credenti: entrambi devono convergere su posizioni comuni, su obiettivi condivisi, in quanto appunto cittadini di un medesimo Stato. Se i credenti vedono che oggi i loro problemi economici cominciano a risolversi, saranno meno portati ad attribuire adentità esterne la soluzione dei nuovi problemi che, un domani, dovranno affrontare.

D’altra parte non è neppure escluso che, se i tentativi fatti per risolvere determinati problemi vanno letteralmente in fumo, un ateo non possa diventare credente. Se guardiamo l’evoluzione dal movimento nazareno di Gesù Cristo a quello apostolico di Pietro e Paolo, dobbiamo dire che avvenne proprio così. E che dire di Mussolini, che da ateo professo, quand’era socialista, arrivò, da fascista, a firmare un Concordato col quale concesse alla chiesa romana enormi privilegi rispetto alle altre confessioni religiose, attenuando persino la sovranità dello Stato nazionale?

Detto questo, un ateo farebbe sempre bene a distinguere il credente con scarse possibilità materiali, ed eventualmente con limitata istruzione e cultura, dal credente benestante e intellettuale. Con quest’ultimo il confronto deve essere franco e aperto, proprio perché questa categoria di credenti tende a sfruttare la buona fede degli sprovveduti e approfitta della loro indigenza per arrivare a rivendicare il diritto al clericalismo.

Non si può transigere con chi vuol fare della fede una bandiera politica. L’oscurantismo medievale è finito da un pezzo. Se c’è qualcuno che vuol riportare la storia indietro, e vi riesce, i non credenti farebbero meglio a chiedersi se la responsabilità di ciò non ricada tutto su loro stessi.

Sbaglia chi gioisce per l’intervento (ambiguo) della Chiesa contro Berlusconi

Non credo ci sia molto da gioire perché il cardinale Angelo Bagnasco, capo dei vescovi italiani, ha finalmente detto quello che ha detto a proposito del bisogno di “aria pulita”. Premesso che di aria pulita c’è bisogno anche nella Chiesa, e in particolare a Genova visto lo scandalo del prete pedofilo don Riccardo Seppia e visto l’ostracismo anche da parte dello stesso  Bagnasco verso il “prete da marciapiede” don Andrea Gallo, ci sono alcune considerazioni da fare.
La prima considerazione è che il ritardo della Chiesa nel prendere posizione contro il degrado non solo morale che promana dal sistema Berlusconi e annesso stile di vita non è certo un ritardo casuale. E’ da oltre un anno che la Chiesa avrebbe dovuto parlare. Non agli italiani tutti, ma ai suoi credenti. Avrebbe dovuto farlo non appena venuto a galla lo scandalo dei rapporti con la minorenne Noemi di Napoli e avrebbe dovuto rifarlo non appena tracimato il liquame stappato da Patrizia D’Addario&C. Invece la Chiesa era anzi perfino propensa al perdono e alla benedizione pubblica con il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, accorso all’Aquila alla tradizionale Festa della Perdonanza per, appunto, perdonare e assolvere Berlusconi. Solo la puttanata di Vittorio Feltri su Il Giornale contro Dino Boffo fece saltare la progettata trasformazione della Perdonanza in Puttananza. Continua a leggere