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BRICS: creare una nuova moneta per dare l’addio al dollaro

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

In occasione del 14.mo Summit dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), organizzato a Pechino a fine giugno, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che i Paesi membri si stanno preparando a creare una valuta di riserva internazionale.

Parlando in via telematica al BRICS Business Forum, egli ha affermato: “Il sistema di messaggistica finanziaria russa è aperto per la connessione con le banche, proiettando così la necessità di una valuta di riserva BRICS. Il sistema di pagamento MIR russo sta ampliando la sua presenza. Stiamo esplorando la possibilità di creare una valuta di riserva internazionale basata sul paniere di valute dei Paesi BRICS.”.

Dopo le sanzioni imposte dall’Occidente contro la Russia a seguito della guerra in Ucraina, è una mossa quasi inevitabile, attesa da chi analizza i processi politici con un approccio scientifico e realistico senza dettami ideologici o pregiudizi di sorta.  

Tra le varie misure sanzionatorie, le banche russe sono state escluse dal sistema SWIFT dei pagamenti internazionali. Esistono, però, altri sistemi di regolamento globale bilaterale o multilaterale per i servizi finanziari transfrontalieri, come il sistema cinese CIPS. Nel 2021 il CIPS ha elaborato circa 80 trilioni di yuan (11,91 trilioni di dollari), con un aumento di oltre il 75% su base annua. Secondo i dati di SWIFT, ad aprile lo yuan ha mantenuto la sua posizione di quinta valuta più attiva per i pagamenti globali, con una quota del 2,14% del totale.

Da parecchio tempo i BRICS stanno intensificando la cooperazione negli investimenti e nel finanziamento dei principali settori come le industrie strategiche emergenti e l’innovazione digitale nel tentativo di aumentare l’uso delle valute locali nel commercio e nei pagamenti, così da bypassare il dollaro.

Si tenga presente che le sanzioni contro la Russia non sono state sostenute dagli altri Paesi BRICS che hanno, invece, interpretato come la trasformazione del dollaro in un’arma da guerra.

L’Europa continua a sottovalutare il ruolo economico e politico dei BRICS, a ignorarli come potenziale sistema coordinato e considerarli, invece, solo singolarmente. Il blocco di tali Paesi, però, rappresenta il 18% del commercio di merci e il 25% degli investimenti esteri a livello globale. Nonostante l’impatto della pandemia, nel 2021 il volume totale degli scambi di merci dei BRICS ha raggiunto quasi 8.550 miliardi di dollari, con un aumento del 33,4% su base annua.

E’ certamente vero che essi non sono paragonabili all’Unione europea, ma pensare che siano un gruppo senza futuro è una miopia politica, una visione per niente realistica e sicuramente non intelligente. Basterebbe prendere nota che al recente Summit “Plus” sono state invitate altre 14 nazioni: Algeria, Argentina, Cambogia, Egitto,Etiopia, Fiji, Indonesia, Iran, Kazakhstan, Malaysia, Nigeria, Senegal, Thailandia e Uzbekistan. Prendiamo atto che c’è una parte del mondo, la maggioranza dei Paesi del pianeta, che spesso non è in sintonia con l’Occidente e che ha interessi, priorità e progetti differenti. Ignorarli potrebbe essere l’interesse di qualcuno, ma non dell’Europa!  

Si tenga anche presente che la New Development Bank, la banca dei BRICS, che opera molto efficientemente per finanziare concreti progetti di sviluppo e promuovere l’utilizzo delle monete locali nei commerci, ha recentemente incluso tra i suoi membri altri 4 Paesi, l’Egitto, il Bangladesh, gli Emirati Arabi Uniti e l’Uruguay.    

La dichiarazione finale del Summit di Pechino, oltre a dettagliare i vari aspetti del programma dei BRICS per una Partenership di Sviluppo Globale, ha annunciato l’intenzione di includere altri Paesi. Insieme alla prospettiva cinese di una Global Development Initiative, ciò è stato un punto centrale dell’intervento del presidente Xi Jinping.

Anche se il “paniere di monete alternativo non appare nella dichiarazione finale, esso sarà certamente uno degli aspetti cruciali dei lavori futuri. Lo si comprende vedendo l’enfasi posta sull’importanza del Payments Task Force, la piattaforma per la cooperazione nei pagamenti tra le banche centrali, sulla realizzazione del Trade in Services Network, l’uso di strumenti finanziari innovativi nel commercio, e sul rafforzamento e miglioramento del meccanismo noto come Contingent Reserve Arrangement, cioè la rete BRICS di sicurezza finanziaria e monetaria globale.  

*già sottosegretario all’Economia  * economista  

Il multipolarismo, anche monetario, è una necessità

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi **

Parlare di multipolarismo e di assetti geopolitici in grado di garantire un nuovo ordine mondiale è visto con grande sospetto. Al contrario, l’approccio multilaterale è oggi l’unico strumento per affrontare e risolvere in modo pacifico le molte sfide globali, anche quelle riguardanti la sicurezza. Per fortuna, proprio mentre spirano forti venti di scontro e di guerra, voci importanti stanno rompendo gli indugi per portare il multipolarismo al centro del dibattito. L’ha fatto François Villeroy de Galhau, il governatore della Banque de France, durante l’Emerging Market Forum di Parigi lo scorso maggio con un discorso su “Multipolarity and the role of the euro in the International Financial System”.

Il banchiere centrale francese afferma che “non dobbiamo abbandonare come “obiettivo creativo” l’idea di un sistema finanziario internazionale (sfi) multilaterale cooperativo”. Egli riconosce che “mentre Bretton Woods scompariva quando è venuta meno la convertibilità del dollaro in oro, il sistema monetario internazionale è rimasto basato sul dollaro Usa. L’idea di una valuta globale non ha prosperato nei dibattiti accademici, e ancor meno nelle discussioni politiche.”. Purtroppo! Anche se, già negli anni ’60, Henry Fowler, il segretario al Tesoro sotto la presidenza di Lyndon Johnson, avvertiva che “fornire riserve e scambi a tutto il mondo è troppo da sopportare per un solo Paese e una valuta”.

L’idea del cambiamento era stata ripresa nel 2010 da Michel Camdessus, a lungo direttore generale del Fmi, che aveva lanciato un’iniziativa per mettere in luce le mancanze del sistema finanziario internazionale, in particolare la sua governance globale e l’eccessivo affidamento su una singola moneta. Il punto sollevato dal governatore francese è chiaro. Occorre prendere atto che un sistema finanziario frammentato rappresenta un grave pericolo. Bisogna evitare di passare da un sistema dominato dal dollaro a un non-sistema conflittuale tra il mondo del dollaro e quello del renminbi cinese. Ciò genererebbe instabilità, con il rischio di svalutazioni valutarie competitive. Potrebbe portare allo sviluppo di sistemi di pagamento separati con un’interoperabilità limitata e indebolire la rete di sicurezza finanziaria globale. Egli, comunque, vede dei progressi verso un paniere di monete, come il recente aumento delle risorse del Fmi in diritti speciali di prelievo, la moneta di conto formata dal dollaro, dall’euro, dal renminbi, dallo yen e dalla sterlina, equivalenti a 650 miliardi di dollari. Rileva particolarmente che, per evitare gli errori del passato, avremmo bisogno di uno slancio collettivo verso un sistema finanziario multipolare stabile e orientato al mercato. Farebbe aumentare l’offerta di asset globali sicuri e offrirebbe ai mercati emergenti una maggiore indipendenza dalla politica monetaria americana. Ciò detto, purtroppo, le condizioni politiche per un cambiamento così importante non sono ancora favorevoli. Ma “è un’utopia da mantenere in vita”, ripete Villeroy de Galhau.

Qui dovrebbe entrare in gioco l’Europa. Per passare a un sistema globale più resiliente, l’euro dovrebbe svolgere un ruolo internazionale più importante. È una valuta che conta su un solido record di stabilità di oltre 20 anni, ci ricorda il governatore francese. Sebbene l’euro non sia stato creato per fungere da valuta internazionale, oggi un suo ruolo più forte sarebbe associato a una maggiore autonomia della politica monetaria e a un minore impatto degli choc valutari sull’inflazione. Dopo il dollaro, esso è diventato la seconda moneta più utilizzata a livello globale e rappresenta ben il 20% delle disponibilità valutarie nelle banche centrali e circa il 20% del debito e dei prestiti globali. Secondo i dati SWIFT, quasi il 40% delle transazioni è effettuato in euro.

Il capo della Banque de France ammette che il mercato del debito sovrano in euro è ancora frammentato e solo pochi Stati dell’Ue emettono attività globali in quantità sufficiente. D’altra parte, una valuta internazionale è forte in rapporto alle attività sicure che può offrire. A questo proposito, egli valuta positivamente il programma Next Generation EU che raccoglierà oltre 800 miliardi di euro attraverso un’emissione congiunta di obbligazioni europee.

L’obiettivo, ovviamente, non sarà quello di trasformare l’euro in una valuta dominante. Al contrario, egli afferma, “mireremmo a fare affidamento su più valute per offrire stabilità al sistema finanziario internazionale attraverso la diversificazione dei rischi.”.

 

*già sottosegretario all’Economia  **economista

Dollaro Addio? La nuova valuta commerciale di Russia e Cina

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Può sorprendere quei politici che credono che gli eventi importanti accadano all’improvviso, senza la necessaria e lunga preparazione. La possibile apparizione di una nuova moneta internazionale alternativa al dollaro non è una sorpresa.

A metà marzo si è tenuto in Armenia l’incontro “Nuova fase della cooperazione monetaria, finanziaria ed economica tra l’Unione economica euroasiatica (Uee) e la Repubblica popolare cinese”, organizzato dalla Commissione economica euroasiatica e dall’Università Renmin di Pechino per definire i contorni di un nuovo sistema monetario e finanziario internazionale, almeno per quanto riguarda la parte orientale del mondo.

L’Uee è l’unione economica e commerciale cui partecipano la Russia, la Bielorussia, il Kazakistan, la Kirghisia e l’Armenia con un Pil di circa 1.700 miliardi di dollari. Essa è molto proiettata verso una stretta collaborazione con la Belt and Road Initiative, la nuova Via della seta voluta dalla Cina. Già nel 2020 la Cina aveva aumentato di circa il 20% il suo turnover commerciale con l’Uee, mentre l’utilizzo delle monete nazionali rappresentava solo il15% dell’interscambio totale.

Sul tavolo vi è la creazione di una “nuova moneta” basata su un paniere di valute, tra cui il rublo e lo yuan, ancorata anche al valore di alcune materie prime strategiche, incluso l’oro.

Pensare che sia solo la reazione disperata alla recente imposizione di super sanzioni nei confronti della Russia, sarebbe una valutazione fuorviante. Si tratta, invece, di un progetto in campo da molti, molti anni, sia in Russia sia in Cina.

Il progetto fu reso pubblico già nell’ottobre del 2020 dall’economista russo Sergei Glazyev, membro del consiglio e ministro incaricato dell’Integrazione e della Macroeconomia della Commissione economica euroasiatica. Egli aveva sollecitato a creare nuovi strumenti nazionali di pagamento per accantonare l’utilizzo di “valute di Paesi terzi”, intendendo ovviamente soprattutto il dollaro e l’euro, nelle transazioni commerciali e monetarie tra i membri dell’Unione euroasiatica e la Cina.

Glazyev affermava che l’idea era la risposta “alle sfide e ai rischi comuni associati al rallentamento economico globale e alle misure restrittive contro gli Stati dell’Uee e la Cina”. Si trattava di un piano per superare il sistema unipolare del dollaro, già in atto dopo le sanzioni imposte alla Russia a seguito dell’annessione della Crimea nel 2014.

L’economista russo sosteneva che l’infrastruttura finanziaria e di pagamento era già stata creata ed era necessario sviluppare un sistema d’incentivi per favorirne l’utilizzo nelle relazioni commerciali ed economiche.

Il ministro della Commissione economica euroasiatica proponeva: 1)  sviluppare dei meccanismi per stabilizzare i tassi di cambio delle valute nazionali dei Paesi membri, riducendo le commissioni bancarie e gli interessi sui prestiti; 2) creare dei meccanismi per determinare i prezzi delle merci nelle valute nazionali nell’ambito degli accordi tra l’Uee e la Belt and Road Initiative, coinvolgendo in seguito anche altri Paesi, eventualmente quelli della Shanghai Cooperation Organization (Sco) e quelli dell’Asean.

Naturalmente in tale processo s’inserisce anche la recente richiesta di Putin di esigere il pagamento in rubli delle forniture del gas, i cui contorni sono ancora da chiarire.

Riconoscendo l’incapacità del dollaro di sostenere l’intero sistema monetario e finanziario globale, già prima della grande crisi finanziaria del 2008 avevamo proposto l’idea di creare, in modo lungimirante e concordato, un nuovo sistema internazionale basato su un paniere di monete importanti, tra cui il dollaro, l’euro, lo yuan e il rublo. In un mondo erroneamente creduto unipolare, purtroppo, non se n’è fatto niente. Il sistema del dollaro, e gli interessi geoeconomici a esso connessi, non l’hanno permesso.

La recente proposta russo-cinese di creare una loro nuova moneta basata su un paniere di valute e di materie prime è un dato di fatto da analizzare. Possiamo solo affermare che, in questo modo separato, purtroppo non potrà che approfondire la divisione tra Est e Ovest e aggravare ulteriormente la pericolosa situazione attuale.

Pesanti, secondo noi che ne scriviamo da anni, sono le responsabilità dei competenti organismi internazionali, come il G20, che non hanno mai voluto affrontare con determinazione la questione, nonostante le varie crisi finanziarie e le richieste avanzate da più parti.

*già sottosegretario all’Economia **economista

IL SISTEMA DEL DOLLARO SCRICCHIOLA

Il sistema del dollaro arranca

Mario Lettieri* Paolo Raimondi** *già sottosegretario all’Economia **economista

Se persino un economista della banca americana JP Morgan Chase, la più grande tra le “too big to fail”, ammette che l’era del dollaro come moneta degli scambi internazionali è arrivata al termine, vuol dire che qualcosa d’importante sta veramente cambiando nel sistema monetario mondiale. Il dollaro è stato la valuta di riserva dominante per quasi un secolo. Ma Craig Cohen, l’economista della citata banca, afferma che “il dollaro potrebbe perdere lo status di principale valuta internazionale”.

Una causa non secondaria è il crescente potere delle economie asiatiche, in particolare quello della Cina e del Giappone. Oggi l’intera regione asiatica, che comprende anche la Russia, vanta più del 50% del pil mondiale. E, com’è noto, per i commerci interni di questa vasta area si fa sempre più spesso uso di monete locali. L’altra ragione sta nel gigantesco debito pubblico americano che ha raggiunto i 22.000 miliardi di dollari. Ciò, inevitabilmente, rende la valuta americana più vulnerabile e meno appetibile per gli investitori. La prova evidente è la corsa all’oro e la crescita del suo valore. La Russia e la Cina guidano quest’azione. Nei primi cinque mesi dell’anno hanno aumentato le loro riserve auree di ben 70 tonnellate.

Sembra che negli ultimi 10 anni la quota di oro nelle riserve russe sia quasi decuplicata. La Banca centrale di Mosca ne detiene 2190 tonnellate per un valore di circa 90 miliardi di dollari. Un quinto di tutte le riserve russe. Nel 2018 la Banca centrale russa ha dimezzato le riserve di dollari passando dal 45,8% al 22,7% del totale, sostituendoli con l’euro (passato dal 21,7% al 31,7%) e con lo yuan (salito dal 2,8% al 14,2% del totale) La Cina da gennaio sta acquistando decine di tonnellate di oro il mese che in parte sono destinate a incrementare le riserve. La quantità totale di oro è di circa 2.000 tonnellate. Rimane ancora molto spazio, poiché l’oro rappresenterebbe solo il 3,5% del totale delle riserve cinesi.

Comunque, la concentrazione di oro è ancora negli Usa. Vi sarebbero, infatti, circa 8.200 tonnellate, pari a oltre il 70% di tutte le riserve americane. Una simile percentuale vale anche per la Germania. In Italia l’oro, con circa 2.450 tonnellate, rappresenta il 66% di tutte le nostre riserve. Ma la tendenza a livello mondiale di rimpiazzare il dollaro, nella composizione delle riserve, con l’oro e con altre monete prosegue speditamente. La progressiva perdita di affidabilità del “sistema dollaro” è testimoniata anche dalla presa di distanza di molti investitori istituzionali internazionali dai titoli di stato americani. In passato la Russia era ritenuta uno dei maggiori investitori in Treasury bond.

Nel 2010 ne aveva 176 miliardi di dollari. Adesso la quota è scesa a 12 miliardi. La Cina, il principale detentore mondiale di Treasury bond, mese dopo mese ne vende per decine di miliardi di dollari. Negli ultimi due anni ha raggiunto il minimo storico, scendendo a 1.100 miliardi.

Anche i più stretti alleati degli Usa incominciano ad avere dubbi circa l’attendibilità del sistema finanziario americano, tanto che persino la Gran Bretagna nel solo mese di aprile ha ridotto il portafoglio di obbligazioni americane di 16,3 miliardi di dollari. Il Giappone, che è il secondo creditore degli Usa, ha fatto lo stesso. Secondo il ministero delle Finanze di Washington, la stessa disaffezione si starebbe manifestando anche nella borsa di Wall Street, dove nei passati 13 mesi gli investitori stranieri avrebbero venduto azioni di società americane, soprattutto dei settori high tech, per circa 215 miliardi di dollari.

Nonostante tutto ciò Trump auspica una svalutazione del dollaro. Così, sostiene lui, si comprerebbero meno beni sui mercati mondiali e le esportazioni americane diventerebbero più competitive. In uno dei suoi recenti “messaggini” ha detto che “la Cina e l’Europa giocano con la grande manipolazione monetaria e immettono ingenti quantità di soldi freschi nei lori sistemi allo scopo di competere con gli Usa”. Il presidente americano chiede, quindi, di stampare più dollari e con essi comprare altre monete, rendendo più conveniente per gli investitori stranieri cambiare le loro valute in dollari. Molti, anche negli Usa, gli hanno fatto notare che un dollaro svalutato non è la soluzione. E’ soltanto il percorso più sicuro per far aumentare i prezzi all’interno del paese, poiché le importazioni Usa sono in gran parte prodotti semilavorati che entrano nei processi produttivi nazionali.

Ma Trump non ci sente. Se oltre alla guerra dei dazi si dovesse rischiare anche una guerra delle valute, la stabilità economica mondiale potrebbe essere messa pericolosamente a rischio e con essa, naturalmente, anche il ruolo del dollaro. Al riguardo il presidente della Bce, Mario Draghi, è stato molto chiaro: “Consideriamo l’accordo internazionale per evitare le svalutazioni valutarie competitive un pilastro del multilateralismo”. Parole sagge e consapevoli.

LA MONETA CINESE FA IL SUO INGRESSO TRA LE MONETE DI RIFERIMENTO DEL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE

La moneta cinese entra nei diritti speciali di prelievo del Fmi

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Il renminbi cinese (rmb) entra a far parte dei diritti speciali di prelievo (dsp), la moneta internazionale di riferimento del Fondo Monetario Internazionale composta da un paniere di valute. Sino ad oggi vi partecipano soltanto il dollaro, l’euro, lo yen giapponese e la sterlina britannica.

I dsp sono la moneta virtuale di riserva internazionale creata dal Fmi nel 1969, nel contesto del sistema di cambi fissi di Bretton Woods, per affiancare le riserve monetarie (allora solo dollaro e oro) e per supportare l’espansione del commercio mondiale e i relativi flussi finanziari.

Il Fmi li ha usati anche per prestiti di emergenza verso i Paesi membri. I dsp possono essere scambiati con le altre valute normalmente usate. A fine novembre di quest’anno erano in circolazione 204 miliardi di dsp, pari a circa 285 miliardi di dollari.

La ripartizione sarà così: il dollaro avrà il 41,73%, l’euro il 30,93%, il renminbi il 10,92%, lo yen l’8,33% e la sterlina l’8,09%. Questa nuova composizione entrerà in vigore il prossimo 1 ottobre 2016.

Interessante notare che la suddivisione delle quote del 2011 era: 41,9% per il dollaro, 37,4% per l’euro, 11,33% per la sterlina e 9,44% per lo yen. Balza evidente che, nonostante il ridimensionamento dell’economia americana, il dollaro mantiene la posizione dominante. Chi viene ridimensionato è in particolare l’euro.

Si noti che, quando il Fmi venne creato nel dopo guerra, il pil americano era equivalente al 50% di quello mondiale, oggi è il 22%. Venti anni fa il pil della Cina rappresentava soltanto il 2% del totale, oggi è il 12%. Si consideri che la Cina detiene circa 1,3 trilioni di dollari in buoni del Tesoro americano.

Nonostante queste enormi trasformazioni dell’economia mondiale la quota di partecipazione assegnata alla Cina nel Fmi è simile a quella del Belgio. Del resto non si può ignorare che il Congresso americano nel 2010 votò contro la revisione delle quote e che tale opposizione si è poi ripetuta ad ogni summit del G20.

In ogni caso la decisione sui dsp è un importante passo in avanti nella creazione di un nuovo sistema monetario internazionale basato su un paniere di monete. La nuova composizione dei dsp dovrebbe perciò preparare una grande evoluzione verso un sistema multipolare nella sua dimensione politica, economica, commerciale e, quindi, anche monetaria.

La Cina e gli altri Paesi del BRICS sono stati i grandi fautori di una riforma globale in modo crescente a partire dalla crisi finanziaria del 2008. Già nel marzo del 2009 il governatore della Banca Centrale Zhou Xiao Chuan aveva sollecitato la creazione di una moneta di riserva internazionale non più sottomessa a una singola moneta nazionale, il dollaro. Oggi la Banca centrale cinese saluta la decisione come “un miglioramento dell’attuale sistema monetario internazionale e un risultato vincente sia per la Cina che per il resto del mondo”

Adesso la Cina sarà certamente sottoposta a crescenti pressioni e la sua economia e il suo sistema finanziario saranno analizzati e valutati con cura.

Si stima che inizialmente ciò dovrebbe determinare un modesto aumento nella domanda internazionale di valuta cinese, equivalente a circa 30 miliardi di dollari. Comunque chi commercia con la Cina sarà sollecitato a tenere quantità crescenti di rmb.

La riduzione delle allocazioni di portafoglio in dollari a seguito della decisione di riconoscere al rmb un ruolo di moneta di riserva potrebbe nel tempo essere maggiore di quanto si possa oggi pensare.

Il processo di internazionalizzazione di una moneta è lento, procede infatti per tre stadi: viene prima usata in operazioni commerciali, poi può diventare oggetto di investimenti da parte di privati e infine può essere accettata come riserva per il mercato regionale e globale.

Si ricordi che nel 2014 il rmb era incluso nelle riserve monetarie di 38 Paesi soltanto. E rappresentava circa 1,1% di tutte le riserve monetarie. L’euro contava per il 21%.

Negli anni recenti la Cina ha sottoscritto accordi di swap monetari con più di 40 banche centrali, in Asia, in Europa e in America Latina. Ciò ha facilitato l’uso dello rmb e ha favorito la concessione di quote di partecipazione nei programmi cinesi di investimenti esteri.

Si stima che nei prossimi 10 anni questa evoluzione potrebbe portare ad un flusso di circa 2-3 trilioni di dollari verso la Cina. Soprattutto le economie emergenti avranno un immediato interesse verso il rmb e il suo nuovo ruolo internazionale.

Ci si augura che l’Europa abbia piena consapevolezza delle oggettive implicazioni strategiche che il cambiamento in questione avrà. Non vorremmo che ancora una volta essa subisca certi processi rinunciando al protagonismo che la sua realtà economica e politica richiede.

*già sottosegretario all’Economia **economista

BIGLIETTO VERDE E PERICOLI PER LA VOLATILITA’ MONETARIA INTERNAZIONALE

Ruolo del dollaro e volatilità monetaria internazionale

Paolo Raimondi* Mario Lettieri** 

Il 2015 potrebbe segnare l’inizio di profondi rivolgimenti monetari con effetti economici planetari. I segnali in tale direzione non sono stati pochi. Soprattutto nelle economie emergenti, dove flussi repentini di capitali in entrata ed poi in uscita, si sono verificate pesanti svalutazioni. E’ stato l’effetto della grande liquidità creata dalla Federal Reserve negli Stati Uniti. Adesso nel ciclone potrebbero entrarci direttamente il dollaro e l’euro.

Anche gli economisti della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea hanno cercato di dare una spiegazione al fatto che, mentre l’economia americana rappresenta meno di un quarto del Pil mondiale, le riserve mondiali in dollari sono ancora più del 60% del totale. Questo livello si è mantenuto negli anni, nonostante che dal 1978 la quota del Pil americano sul totale mondiale si sia ridotta del 6% e nonostante che il dollaro sia diminuito in media del 24% rispetto alle maggiori valute.

Ciò, secondo gli analisti della Bri, dipenderebbe dalla dimensione non dell’economia statunitense bensì della “zona del dollaro”.

Quest’area rappresenterebbe ancora oltre la metà dell’economia mondiale. In essa rientra, ad esempio, tutta quella parte di economia e di commercio dei vari Paesi del mondo che viene contrattata in dollari. Per cui componenti significative delle riserve di molti Paesi sono tenute in dollari in quanto gli interventi nei mercati dei cambi vengono gestiti in dollari, cioè nella divisa con la quale si negozia maggiormente la moneta nazionale.

Confrontando l’attuale situazione anche con le tendenze storiche riguardanti il ruolo di moneta di riserva della sterlina tra le due passate guerre mondiali, la Bri conclude che le quote delle varie valute nei panieri delle riserve monetarie potrebbero in futuro modificarsi molto rapidamente.

Una delle principali ragioni di tale cambiamento potrebbe essere la decisione della Cina di negoziare una parte crescente del suo commercio in renminbi o in monete di altre nazioni. Se il renminbi evidenziasse un movimento sostanzialmente indipendente rispetto alle principali valute e se le monete dei Paesi vicini e dei partner commerciali della Cina condividessero un tale movimento, si potrebbe determinare una “zona del remninbi” simile a quella del dollaro. In tal caso, i gestori delle riserve ufficiali potrebbero scegliere di detenere una quota considerevole di renminbi, forse non troppo diversa dal peso delle rispettive monete all’interno della citata zona.

Dopo le sanzioni, anche la Russia sta pensando di rendersi, per quanto possibile, sempre meno dipendente dal dollaro e dalle riserve in dollari. Prima dell’inizio della crisi ucraina ne deteneva circa 90 miliardi. Il comportamento dell’Europa purtroppo non aiuta, per il momento, all’individuazione dell’euro come principale moneta di riserva alternativa da parte della Banca Centrale russa.

Anche la recente decisione della Banca Nazionale Svizzera di sganciarsi dal cambio fisso con l’euro e di lasciare fluttuare liberamente il franco sta creando dei terremoti all’interno del sistema monetario internazionale. In poche ore il franco si è rivalutato di circa il 20% nei confronti dell’euro e del 17% rispetto al dollaro.

La decisione della Bns è avvenuta il 15 gennaio scorso, esattamente il giorno dopo il parere espresso da un rappresentante del consiglio degli avvocati della Corte di Giustizia dell’Ue secondo cui le cosiddette operazioni monetarie sui titoli (omt) annunciate da Draghi nel 2012 non violerebbero le leggi europee. In altre parole ci si aspetta che il quantitative easing della Bce dovrebbe essere sbloccato. Ciò comporterà l’acquisto da parte della Bce di titoli europei e l’allargamento dei suo bilancio. Di conseguenza una maggiore circolazione di euro avrebbe portato ad una fortissima pressione per una rivalutazione del franco rispetto alla moneta europea.

Come è noto, dopo la decisione svizzera del 6 novembre 2011 di fissare il cambio a 1,20 franchi per 1 euro, la Bns ha dovuto costantemente comprare euro nel tentativo di mantenerne tale livello senza rivalutare. Così nel tempo ha accumulato 220-240 miliardi di euro di riserve. Con il QE di Draghi la Bns avrebbe dovuto accrescere e di molto gli acquisti di euro. Ha invece deciso di gettare la spugna prima anche se ciò ha fatto perdere decine e decine di miliardi sul valore delle sue riserve in euro e anche in dollari. A seguito della rivalutazione della sua moneta la Svizzera teme anche di perdere una grossa fetta delle sue esportazioni con effetti recessivi sulla sua economia. Adesso altre monete, a cominciare dalla corona danese, sono sotto simili enormi pressioni.

A questo punto le continue sortite della stampa ufficiale tedesca, anche se smentite in verità in modo poco convincente, secondo cui Berlino avrebbe cambiato opinione circa la volontà di tenere la Grecia nell’euro, non giovano alla stabilità della moneta europea e di quella dell’intero sistema monetario internazionale.

Tenuto conto della crescente e preoccupante instabilità geopolitica, la volatilità monetaria rischierebbe di portare il mondo verso una crisi inimmaginabile, di sicuro molto rischiosa per l’economia e per gli equilibri politici. Per questa ragione ancora una volta noi riteniamo urgente che i Paesi del G20 inizino a lavorare per la costruzione di un nuovo sistema monetario internazionale multipolare basato su un paniere di monete importanti.

* Economista **già Deputato e Sottosegretario all’Economia

FINE DELL’EGEMONIA DEL DOLLARO E RUOLO DELL’ORO

L’alternativa al sistema del dollaro. Il ruolo dell’oro

Mario Lettieri* Paolo Raimondi** 

I maldestri tentativi da parte americana di salvare a tutti i costi il ruolo egemone del dollaro stanno spingendo molti Paesi a lavorare più alacremente per costruire un’alternativa monetaria multipolare. Oggettivamente il dollaro, come unica valuta degli scambi e delle riserve internazionali, ha concluso il suo ciclo storico. Bisogna prenderne atto.

Le destabilizzazioni finanziarie e le svalutazioni monetarie nei Paesi emergenti, provocate dalle politiche di liquidità “yo-yo” della Federal Reserve, hanno indotto alcuni governi a denunciare una “guerra monetaria” in corso. Le “cadute pilotate” dei prezzi del petrolio e dell’oro mirano a mettere in difficoltà soprattutto i Brics, la Russia e l’Iran. Contemporaneamente i prezzi di alcune materie prime vengono manipolati al rialzo con l’effetto di “gambizzare” le politiche industriali e di sviluppo dei Paesi emergenti e anche dell’Unione europea.    

Anche se non lo volessero, da tempo molti Paesi sono quindi stati costretti a immaginare e a proporre un nuovo sistema monetario. Alcune recenti decisioni lo confermano.

Infatti la creazione a Fortaleza della Banca di Sviluppo dei Brics ha in sé le potenzialità per diventare un organismo monetario internazionale alternativo al Fmi e alla Banca Mondiale del defunto sistema di Bretton Woods.

La stessa Cina fa grandi accordi con il Brasile, con la Russia, con il Giappone, con la Corea del Sud regolati in yuan o in altre monete nazionali.

Sono contratti nella forma di swap monetari che permettono di saldare gli scambi nelle valute stabilite. Recentemente li avrebbe proposti anche all’Ue. Una parte del grande accordo di forniture di gas tra la Russia e la Cina per l’equivalente di 400 miliardi di dollari del resto verrà regolata in rubli o in yuan.

Si ricordi inoltre che lo scorso aprile il governo di Mosca ha annunciato che una parte dei contratti internazionali stipulati dalle grandi corporation russe dovrà avvenire in rubli. Al recente summit dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC) di Pechino, il presidente Putin ha affermato che”faremo un uso sempre maggiore di accordi e compensazioni in monete nazionali nel nostro commercio con la Cina. Siamo pronti a fare i primi accordi in rubli e in yuan, anche nel settore dell’energia”. Una Commissione intergovernativa russo-cinese è già al lavoro per studiare simili opzioni. La stessa Banca Centrale russa ha annunciato la volontà di creare con i partner dei Brics un “sistema di swap multilaterali”.

Naturalmente i riverberi politici non mancano. Infatti la conferenza per la sicurezza del Shanghai Cooperation Organization (SCO), che già coinvolge Cina, Russia, Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, vedrà a breve la partecipazione anche di India, Pakistan, Iran, Afghanistan e Mongolia. Anche la Turchia, che è un membro della Nato, sembra volervi aderire. Formerebbero così un blocco che in campo energetico controllerebbe il 20% delle riserve mondiali di petrolio ed il 50% di quelle di gas.

In tale contesto, come prevedibile, anche il ruolo dell’oro è ritornato al centro delle discussioni . Con la volatilità del suo prezzo registratasi nei mesi recenti si mira a renderlo instabile e quindi poco utilizzabile in eventuali accordi monetari internazionali. Però si ha notizia che a Mosca sarebbe in discussione proprio l’aggancio del rublo all’oro. E’ facilmente intuibile che l’attuale svalutazione del 30% della moneta russa sia frutto di speculazioni e manipolazioni internazionali. Di sicuro non riflette la reale capacità economica e l’immensa ricchezza della Russia. Agganciare il valore della valuta alle riserve auree avrebbe un effetto stabilizzante sui cambi della moneta.

Come è noto, a parte il debito sovrano al 15% del Pil, la Russia vanta riserve auree pari al 27% della quantità di rubli in circolazione. Gli Usa invece hanno un debito pubblico al 105% del Pil, mentre le loro riserve auree coprono appena il 2,3% dell’offerta monetaria.

Non si comprende il perché esperti occidentali tentano a minimizzare un possibile ruolo futuro dell’oro nel sistema monetario. Si ignora che da tempo tutti i governi europei importanti, a cominciare dalla Germania, dall’Olanda, dalla Gran Bretagna, dalla Svizzera stanno effettuando forti campagne pubbliche per riportare a casa il loro oro, attualmente detenuto nei caveau di Fort Knox negli Usa.

Su questo terreno assai movimentato e complesso riteniamo che il ruolo dell’Unione europea possa diventare più centrale e più incisivo. Una politica dell’Europa, veramente indipendente, potrebbe agevolare una soluzione non conflittuale verso un nuovo sistema politico e monetario internazionale. Una nuova architettura monetaria, come anche noi da tempo sosteniamo, dovrebbe portare alla costituzione di un paniere di monete dove ovviamente dovrebbe esserci anche il dollaro insieme all’euro e ad altre importanti monete.

Occorre prendere atto che con la caduta del Muro di Berlino il mondo necessita di un assetto multipolare, anche monetario.

*Sottosegretario all’Economia del governo Prodi **Economista