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Deutsche Bank: con la crisi aumentano i suoi manager milionari

Deutsche Bank: con la crisi aumentano i suoi manager milionari

Mario Lettieri * Paolo Raimondi**

In Europa nel settore bancario ognuno ha i suoi guai e i suoi compiti a casa da fare. L’Italia ha i crediti inesigibili da smaltire, la Germania ha la Deutsche Bank, il colosso sempre più traballante da sistemare. A ciò si aggiungano le mine vaganti delle banche “too big to fail” negli Stati Uniti che, come più volte sottolineato, rappresentano sempre un rischio sistemico. 

Da qualche tempo le azioni DB sono in caduta libera: sono scese sotto i 7 euro. Valevano ancora 20 euro nel 2017.

Non a caso i vari tentativi di salvataggio sono falliti. In particolare il piano di fusione con la banca tedesca numero due, la Kommerzbank, partecipata per il 15% dallo Stato. Si è dovuto prendere atto che, sommando i problemi delle due banche, non si sarebbe ottenuta una soluzione positiva. La DB è pur sempre un colosso con 200.000 clienti, mentre la Kommerzbank ne conta 180.000. Insieme sarebbero diventate la seconda banca europea per dimensioni, dopo l’inglese Hong Kong Shangai Bank Corporation.

Negli ambienti bancari si stima che, per restare a galla, la DB dovrebbe licenziare almeno 20.000 dei suoi attuali 90.000 impiegati. Anche in terra germanica, invece di rivedere il modello di business e di cambiare gli orientamenti e le priorità della gestione bancaria, si preferisce, purtroppo, penalizzare il lavoro e la tradizionale sana politica del credito alle famiglie e alle imprese. Del resto, si tenga presente che entrambe le banche tedesche sono partecipate da due tra i più speculativi hedge fund americani, Cerberus e Black Rock.   

Si ricordi che la Deutsche Bank ha il record di derivati finanziari per oltre 43.500 miliardi di euro, un po’ di più dei livelli delle tre banche americane, la JP Morgan Chase, la Citigoup e la Goldman Sachs. Il suo ammontare di attivi pari a circa 1.600 miliardi di euro contrasta con i soli 15 miliardi di capitalizzazione: uno tra i più squilibrati rapporti al mondo!

Secondo uno studio del quotidiano francese Les Echos, incomprensibilmente essa occupa anche il primo posto nella classifica delle banche europee con il più alto numero di manager con stipendi superiori al milione di euro: ben 643! Seconda è la Barclays inglese con 542. La nostra Intesa Sanpaolo è dodicesima con 33 dirigenti milionari.

In altre parole, le banche più attive nella speculazione e, di conseguenza più a rischio, pagano profumatamente chi, di fatto, le “pilota” nelle acque più burrascose e limacciose del business finanziario. Infatti, nella BD è proprio il capo del settore investment banking a guadagnare il massimo, 8,6 milioni di euro nel 2018! Ci sfugge la razionalità di tutto ciò.  

Qualche anno fa sembrava che la partecipazione in DB di HNA, il conglomerato cinese dell’aviazione e della logistica, avesse portato nuovi capitali e un po’ di stabilità, diventandone, di fatto, il maggiore azionista. Ma per realizzare simili operazioni il gruppo cinese si era pesantemente indebitato tanto da giungere alla soglia del collasso, costringendolo a una progressiva ritirata. 

L’uscita della HNA aveva momentaneamente aperto la strada della fusione con la Kommerzbank che, si ricordi, nel mezzo della crisi finanziaria globale, aveva già evitato la bancarotta solo per l’intervento di salvataggio del governo tedesco con oltre 16 miliardi di euro, in seguito, comunque, restituiti allo Stato.

In verità, è da un decennio che la DB è continuamente sotto osservazione e sotto indagini da parte delle autorità tedesche, inglesi e soprattutto americane. Si stima che nel periodo 2015-2017 essa abbia dovuto pagare soltanto agli enti di controllo americani e inglesi ben 11,2 miliardi di dollari in multe e condanne giudiziarie per varie truffe e per altri comportamenti finanziari sanzionabili, tenuti prima e dopo la crisi del 2008.

Più recentemente negli Usa la banca tedesca è coinvolta in alcune importanti indagini. La prima è relativa a una possibile frode bancaria attribuibile a Trump. Il presidente americano e tre dei suoi figli hanno presentato alla corte di New York  la richiesta di non trasmettere i dati relativi ai propri conti bancari presso la Deutsche Bank e la Capital One Financial Corporation, richiesti dal Congresso americano. La seconda ha a che fare con operazioni di riciclaggio di soldi sporchi da parte della Danske Bank, legata alla DB. Si indaga, poi, su un suo possibile ruolo nell’evasione fiscale di alcuni suoi clienti, come emerso nei famosi Panama Papers.  

Una cosa che disturba i tedeschi è quello che loro chiamano “Shadenfruede”,  cioè il piacere di alcuni per le disgrazie altrui. E’ la stessa irritazione che si prova anche in Italia quando alcuni esponenti europei si compiacciono delle nostre difficoltà.

Non è nostra intenzione discutere in questo modo dei problemi della Deutsche Bank. Al contrario, vorremmo che ci fosse un serio approccio europeo unitario nell’affrontare questi e altri problemi. L’Europa si costruisce anche con la condivisione degli intenti e degli impegni nei campi più importanti. E quello bancario certamente lo è.

*già sottosegretario all’Economia **economista

Crisi bancarie: si vuole una guerra tra contribuenti e risparmiatori

Crisi bancarie: si vuole una guerra tra contribuenti e risparmiatori

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

La decisione del governo di Cipro, spintonato da una Troika troppo invadente, di tassare tutti i conti correnti oltre i 100.000 euro delle banche cipriote in default, è stato un test premeditato e un pericoloso precedente per l’intera Ue. Lo possiamo affermare con certezza.

La conferma del resto è arrivata dal portavoce di Michel Barnier, il Commissario europeo al mercato interno, che non ha potuto escludere la possibilità che in futuro i depositi oltre quella cifra possano essere utilizzati per operazioni di salvataggio delle banche in crisi.

Anche l’Institute of International Finance di Washington, uno degli enti privati più noti della finanza globale,  ha sostenuto che la “soluzione” cipriota potrebbe diventare un modello per l’intera Europa.

bancarotta, Al riguardo è da sottolineare che dal 10 dicembre 2012 era già in circolazione un documento della Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic) americana e della Bank of England, il  “Resolving Globally Active, Sistemicaly Important Financial Institutions (SIFI)”, che affronta le emergenze relative all’eventuale bancarotta di istituzioni finanziarie di importanza sistemica.

Si afferma che non si intende più utilizzare i soldi pubblici per salvare con dei bail-out le banche in crisi, come finoraFmi, è sempre avvenuto dopo il fallimento della Lehman Brothers.

Il motto è: dal bail-out al bail-in! Con il procedimento del bail-in le perdite dovranno essere sopportate dagli azionisti e dai cosiddetti “unsecured creditors”. Sembra molto razionale: perché devono essere i contribuenti a pagare per le malefatte e per i giochi fatti dai banchieri con i derivati speculativi?

Ma il diavolo, come sempre, si nasconde tra i dettagli. Chi sono questi fantomatici “unsecured creditors”? Di certo i detentori di azioni, obbligazioni e di altri titoli di credito non garantiti. Si salvano invece i crediti vantati dalle pubbliche amministrazioni, dalle Banche Centrali, dalla Bce in Europa e da enti internazionali come il Fmi. Continua a leggere

Anche Ratzinger indica la minaccia del “capitalismo finanziario sregolato”. La nostra proposte per nna banca per lo sviluppo e bond per la crescita

Mario Ledttieri* Paolo Raimondi**

Gli operatori di pace chiamati a costruire un nuovo modello di sviluppo più solidaleIn relazione alla sorprendente decisione di Papa Benedetto XVI di dimettersi dall’alta carica di capo della Chiesa cattolica, assume una particolare e significativa rilevanza il suo messaggio “Beati i Costruttori di Pace” scritto per la celebrazione della 46. sima Giornata Mondiale delle Pace tenutasi il primo gennaio 2013.

E’ un messaggio assai importante, sicuramente elaborato nella consapevolezza della gravità dei problemi mondiali e della difficile missione universale della Chiesa cattolica. Probabilmente le gravi questioni che tormentano il mondo e le vicissitudini del governo della Chiesa hanno pesato non poco sulla sua decisione.

Nel suo intervento il Papa affronta il tema della crisi economica e del ruolo di “un capitalismo finanziario sregolato” evidenziandone la minaccia per il raggiungimento del bene comune.

Benedetto XVI afferma autorevolmente che “il prevalere di una mentalità egoistica e individualistica e le ideologie del liberismo radicale erodono la funzione sociale dello Stato e delle reti di solidarietà della società civile, nonché dei diritti e dei doveri sociali”. A farne le spese – continua – sono la dignità dell’uomo ed il diritto al lavoro che “viene considerato una variabile dipendente dei meccanismi economici e finanziari”.

Sostiene quindi che “oggi è necessario un nuovo modello di sviluppo” basato su una corretta scala di beni-valori. E’ una esplicita sollecitazione del Papa agli economisti e ai dirigenti politici che intendono essere dei “costruttori di pace” operando anche nel mondo dell’economia.

“E’ fondamentale e imprescindibile la strutturazione etica dei mercati monetari, finanziari e commerciali; essi vanno stabilizzati e maggiormente coordinati e controllati, in modo da non arrecare danno ai più poveri”, così continua il Pontefice. Continua a leggere