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Crisi bancarie Usa: le responsabilità dei controllori

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Serve chiarezza. Dietro le recenti bancarotte negli Usa ci sono altri motivi di preoccupazione. In primo luogo il fallimento delle autorità di sorveglianza, a cominciare dalla Federal Reserve.

Il loro mancato intervento, a nostro avviso, è dovuto al fatto che esse erano pienamente consapevoli che le loro politiche monetarie altalenanti, interessi zero prima e aumento dei tassi poi, avrebbero messo sottosopra il sistema bancario. Hanno ritenuto, erroneamente, che astenersi fosse la seconda tra le peggiori possibilità. La prima sarebbe stata continuare con le politiche di poderose iniezioni di liquidità fino a far esplodere la bolla.

Il governo e le autorità bancarie, quindi, non sono stati colti di sorpresa. Erano pronti a nuovi interventi di salvataggio dell’intero sistema. Meglio intervenire dopo il fallimento di una banca regionale che di una too big to fail. C’è stato, infatti, un barrage di interventi. Si è creata una Bank Bailout Facility attraverso la quale il governo concede dei prestiti alle banche. La Fed ha annunciato un “discount window”, uno sportello, dove attingere a prestiti di emergenza a basso costo. Sotto la guida della Fed e del Tesoro, sei grandi banche, JP Morgan, Wells, Citi, Bank of America, Goldman Sachs e Morgan Stanley, si sono accordate per mettere a disposizione 30 miliardi di dollari per la First Republic Bank. Non sono bastati, però, a fermare il crollo. Anche la Federal Deposit Insurance Corporation, l’agenzia di protezione finanziaria, è entrata in campo per garantire i depositi fino a 250.000 dollari. Si tenga presente, però, che il suo fondo coprirebbe soltanto il 2% dei 9.600 miliardi di dollari di depositi assicurati.

E’in atto anche una narrazione che cerca di distogliere l’attenzione dalle banche too big. Si parla insistentemente dei rischi di insolvenza delle banche regionali e delle cosiddette saving and loans banks, quelle che raccolgono i risparmi e poi concedono prestiti alle imprese locali e alle famiglie. Indubbiamente non si possono negare le loro difficoltà attuali, create proprio dagli andamenti dei tassi d’interesse. Si ricorderà che una crisi simile, ma in una situazione di differente gravità sistemica, era avvenuta già negli anni ottanta, sempre per effetto della crescita vertiginosa dei tassi d’interesse da parte della Fed.

E’ comunque da ingenui ritenere che le banche regionali siano delle entità totalmente indipendenti rispetto alle 20 maggiori banche Usa, cosiddette, sistemiche. Secondo JP Morgan nell’ultimo anno le banche più piccole avrebbero perso 1.100 miliardi di dollari in depositi che sono stati trasferiti in quelle più grandi.

C’è anche un’altra narrazione che vorrebbe le banche europee, e non quelle americane, essere nell’occhio del ciclone. Certamente, dopo la crisi del Credit Suisse e le gravi fibrillazioni della Deutsche Bank (DB), non si può negare che il sistema bancario europeo sia in crescente difficoltà.

Noi non ci siamo mai stancati di denunciare i comportamenti rischiosi di DB, superstar dei derivati otc. Ma non si può nemmeno dimenticare che il sistema bancario europeo sia entrato in acque agitate proprio per aver copiato i metodi speculativi di quello americano e della City inglese.

E’ doveroso anche notare il macroscopico errore delle agenzie di rating, le note imprese americane private. Fino al giorno prima del fallimento della Silicon Valley Bank, Moody’s le garantiva il voto di A3 e Standard & Poor’s (S&P) le dava un rating un po’ inferiore di Bbb. Certamente erano lontani dalle triple A elargite a piene mani prima della bancarotta della Lehman Brothers. I titoli della Svb, però, erano considerati “investment grade”, cioè degni di investimento e perciò non speculativi.

Si noti che, anche rispetto al fallimento della First Republic Bank, le agenzie di rating S&P e Fitch hanno inserito la banca tra le imprese “junk”, spazzatura, solo dopo gli interventi di salvataggio.

Nelle prospettive bancarie globali per il 2023, la S&P afferma che il settore bancario statunitense è in buona salute e che il rischio è in calo. Per la Moody’s le prospettive sarebbero stabili, sebbene avvertisse venti contrari in un’economia in rallentamento.

Si tratta di gravi sottovalutazioni, a discapito dei risparmiatori e degli onesti investitori. Si persegue un comportamento, a dir poco incompetente e inadeguato, già emerso prepotentemente nel 2001 alla vigilia del fallimento della Enron, il gigante americano dell’energia, e poi nella Grande Crisi del 2008.

Dal 2001 il Congresso americano ha portato avanti varie iniziative di riforma che, però, non hanno indotto le agenzie di rating a un comportamento più corretto.

Si dovrebbe tenerlo presente quando esse pontificheranno sulla situazione economica e finanziaria dell’Italia. In passato, purtroppo, si è sempre tenuto un atteggiamento troppo supino.

*già sottosegretario all’Economia **economista

Il sistema bancario internazionale naviga pericolosamente a vista: a quando le collisioni e gli affondamenti?

Il sistema bancario internazionale naviga pericolosamente a vista

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Di fronte alle crisi bancarie che investono di volta in volta differenti Paesi della zona euro, la cosa peggiore, e suicida, che l’Unione europea possa fare sarebbe di trattarle come mere questioni nazionali. Oggi sembra toccare all’Italia, domani chissà.

Ne è prova il fatto che le autorità preposte, a cominciare dalla Banca centrale europea, dalle banche centrali nazionali e dalla Commissione europea, navigano a vista, senza una chiara politica. Non si tratta, infatti, di tamponare gli effetti finanziari ed economici della grande crisi globale, ma di approntare misure che neutralizzino in modo definitivo la finanza della speculazione senza regole e che rimettano in moto lo sviluppo produttivo.

Gli attuali grandi problemi del sistema bancario italiano hanno due nomi: crediti inesigibili per oltre 200 miliardi di euro e gravissime responsabilità degli amministratori delle banche e degli organi di controllo della Banca d’Italia.

Il primo problema, ovviamente, è in gran parte dovuto agli effetti della crisi globale, che ha portato ad una drastica diminuzione nelle produzioni, nei commerci e nei consumi. Ciò ha messo molti imprenditori in ginocchio, rendendoli impossibilitati a mantenere la regolarità dei pagamenti e dei rimborsi per i prestiti precedentemente chiesti ed ottenuti.

Per il secondo problema si dovrebbe invece mettere sotto i riflettori le banche e soprattutto la Centrale Rischi della Banca di’Italia. Come è noto, le banche e le società finanziarie devono comunicare mensilmente alla Banca d’Italia il totale dei crediti verso i propri clienti, sia i crediti superiori a 30.000 euro che i crediti in sofferenza di qualunque importo. Il compito primario della Centrale Rischi è quello di valutare i crediti concessi per rafforzare la stabilità del sistema bancario. Si sottolinea inoltre che dal 2010 essa scambia queste informazioni con le altre banche centrali europee e con la Bce.

Come è possibile, dunque, che, sia a livello nazionale che a livello europeo, siano stati permessi e tollerati prestiti e altre operazioni finanziarie che, stranamente solo oggi, scopriamo essere ad altissimo rischio?

Comunque nel sistema europeo vi sono molte altre anomalie che meritano attenzione ed interventi correttivi. L’Autorità bancaria europea, per esempio, oggi giustamente analizza criticamente i crediti concessi dalle banche ma, nel contempo, permette un leverage altissimo per le banche. Permette cioè che siano sufficienti tre (3) euro di capitale per creare finanza per 100. Permette anche che certe attività finanziarie, come i cosiddetti asset di terza categoria, che sono in gran parte derivati asset backed security, trattati e tenuti fuori mercato e quindi con un valore altamente incerto, vengano contabilizzati dalle banche secondo criteri interni molto convenienti alle stesse.

Dopo il 2008 dovrebbe essere ovvio tener conto del fatto che l’intero sistema bancario internazionale è profondamente interconnesso e perciò pericolosamente esposto al contagio e a crisi sistemiche. Eppure Bruxelles, Francoforte, e spesso anche Berlino e Parigi, preferiscono, sbagliando, l’approccio nazionale a quello europeo. In questo modo si rischia di giocare al massacro.

Ce lo ricorda anche l’Office of Financial Research (OFR), l’agenzia del ministero del Tesoro americano, creata nel 2010 dalla legge di riforma finanziaria, la Dodd-Frank, con il compito di studiare i lati oscuri del sistema finanziario allo scopo di ridurne i rischi.

Nell’ultimo rapporto dello scorso dicembre l’OFR ammonisce che le banche americane di importanza sistemica si sono esposte per oltre 2 trilioni di dollari nei confronti dell’Europa, di cui circa la metà in derivati otc tenuti fuori bilancio.

Quando Wall Street e le banche americane vendono derivati lo fanno per proteggersi da eventuali fallimenti; quando invece li acquistano esse offrono una copertura a eventuali crisi di altre banche. In questo caso di quelle europee.

Consapevoli delle difficoltà bancarie in Europa, gli Usa hanno lanciato questo allarme. L’OFR ne ne lancia anche un altro tutto interno al sistema di Wall Street. Avvisa che già alla fine del 2015 anche le assicurazioni americane sulla vita hanno abbondantemente superato i 2 trilioni di dollari in derivati finanziari. Il 60% di tale “montagna” sarebbe stato sottoscritto soltanto dalle 9 maggiori banche americane ed europee, quelle too big to fail: Goldman Sachs, Deutsche Bank, Bank of America, Citigroup, Credit Suisse, Morgan Stanley, Barclays, JPMorgan Chase e Wells Fargo.

L’allarme non è da sottovalutare, si ricordi che soltanto l’AIG, il gigante delle assicurazioni, a suo tempo dovette essere salvato con 182 miliardi di soldi pubblici!

Anche in questo caso si evince la urgenza di rispondere alla globalizzazione dei mercati finanziari e del sistema bancario con regole globali e condivise.

*già sottosegretario all’Economia **economista

 

Brexit: timori finanziari fondati o alibi per interventi eccezionali? Ovvero: una (altra) scusa per qualche (altra) fregatura?

Brexit: timori finanziari fondati o alibi per interventi eccezionali?

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Il risultato del referendum sulla Brexit avrà certamente un effetto profondo sull’economia britannica, sull’Unione europea e sul suo processo di integrazione.

Chi ci ha letto in passato sa che noi siamo sempre stati fautori di un’Europa forte, solidale e sovrana. Nondimeno ci sembra esagerata la reazione sia dei mercati che delle istituzioni finanziarie europee ed internazionali che paventano un nuovo sconquasso finanziario globale.

E’ come se l’emergenza Brexit serva a giustificare una probabile adozione di interventi eccezionali e a scaricare su di essa le conseguenze di una crisi già in atto, ma che oggettivamente non ha origine nell’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Ue.

Al riguardo è’ interessante notare che le grandi banche too big to fail americane ed internazionali, la Goldman Sachs, la JP Morgan, la Citibank, la Bank of America per nominarne alcune, sono state in prima fila, anche con notevoli donazioni in denaro, per sostenere la campagna “Remain”. Anche speculatori come George Soros sono scesi in campo contro la Brexit paventando cataclismi di ogni sorta.

La Federal Reserve ha deciso di lasciare i tassi fermi e ha annunciato che il costo del denaro salirà, ma più lentamente. L’incertezza sul referendum della Brexit “è uno dei fattori che ha pesato sulla decisione” di mantenere invariato il costo del denaro, ha affermato la governatrice Janet Yellen, sottolineando che un eventuale addio della Gran Bretagna all’Ue potrebbe avere ripercussioni sull’economia e sulla finanza globale. Dopo di che anche la Banca Centrale Europea ha affermato di essere pronta ad interventi di emergenza e in ogni caso di voler mantenere i suoi acquisti di asset finanziari pari a 80 miliardi di euro al mese fino a marzo 2017 e anche oltre, se fosse necessario.

Indubbiamente l’uscita dall’Ue avrà un grosso impatto in particolare per la City di Londra. Nella City operano circa 250 banche estere che in questo modo hanno un accesso diretto al mercato Ue. La City rappresenta circa il 10% del Pil britannico e contribuisce per il 12% a tutte le tasse raccolte dal governo. Essa è la prima esportatrice di servizi finanziari del mondo. Servizi che, per 20 miliardi di euro, vanno proprio verso l’Europa.

Una delle grandi preoccupazioni riguarda, per esempio, la sorte della Royal Bank of Scotland, che nel biennio 2014-15 ha accumulato perdite per oltre 7 miliardi di euro. Cosa succederebbe a questa banca in caso di un aggravamento della situazione inglese?

Secondo noi il nervosismo nella grande finanza riflette un profondo senso di incertezza e anche una vera e proprio paura di effetti a catena, simili a quelli non previsti e non voluti, della bancarotta della Lehman Brothers nel 2008.

L’ultimo bollettino della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea delinea andamenti finanziari e bancari che meritano una attenta disamina. Nell’ultimo trimestre del 2015 i crediti bancari transfrontalieri globali sono diminuiti di 651 miliardi di dollari, di cui 276 verso la zona euro. E’ una tendenza in crescita da tempo. La stessa cosa era avvenuta a seguito della crisi del 2008. E’ indubbiamente uno dei risultati della prolungata stagnazione economica mondiale.

E’ anche rilevante notare che il valore nozionale dei derivati otc è finalmente sceso di quasi 200.000 miliardi di dollari, da 700 mila di giugno 2014 ai circa 500 mila di fine 2015. E’ un fatto di indubbia positività.

Si tratta di cambiamenti necessari e ulteriormente auspicabili. Noi abbiamo sempre ribadito l’importanza di ‘prosciugare’ la palude dei derivati finanziari speculativi otc e di contenere le operazioni bancarie non produttive.

I dati della Bri sono di grandezze eccezionali, però richiedono un attento controllo e anche interventi precisi da parte delle autorità competenti. Se fossero soltanto il risultato di performance autonome dei mercati, allora dietro ai numeri potrebbero nascondersi ‘macerie’.

Sarebbe proprio come spesso accade dopo fenomeni alluvionali. Dopo una violenta inondazione si è tutti contenti di vedere che le acque si sono ritirate. Ma prima di permettere il ritorno delle famiglie evacuate o addirittura concedere dei permessi di costruzione è necessario che la Protezione Civile faccia un attento controllo del territorio per determinare se la catastrofe ha minato le fondamenta dei palazzi e la compattezza del terreno.

Di certo sono in atto profondi rivolgimenti nei settori finanziari e bancari per cui ogni evento, anche di portata minore, rischia di produrre conseguenze destabilizzanti. Con effetti sistemici!

*già sottosegretario all’Economia **economista

Nuova indagine sulle banche USA padrone delle commodity

Nuova indagine sulle banche USA padrone delle commodity

Mario Lettieri* Paolo Raimondi**

Le grandi banche sono state pizzicate a speculare alla grande sulle commodity, sulle materie prime, sui cereali e su altri prodotti alimentari.

La Commissione d’Indagine del Senato americano, diretta dal democratico Carl Levin e dal repubblicano John McCain, ha pubblicato un dossier di 400 pagine dal titolo “Wall Street bank involvement with physical commodities” per denunciare con dovizia di dettagli come le “too big to fail” stiano manipolando, ovviamente a loro vantaggio, i mercati delle commodity. Naturalmente tutto ciò con riverberi sui mercati internazionali.

Per due anni la Commissione ha indagato sui casi più eclatanti che evidenziano come “il massiccio coinvolgimento di Wall Street nelle commodity mette a rischio la nostra economia, le nostre imprese e l’integrità dei nostri mercati. Bisogna reintrodurre – continua la Commissione – la separazione tra banca e commercio per prevenire che Wall Street utilizzi informazioni non di pubblico dominio a suo profitto e a spese dell’industria e quindi dei cittadini”. Ciò non vale soltanto per gli Stati Uniti ma per il mondo intero.

La Commissione sta procedendo con delle audizioni pubbliche per dimostrare come alcune banche abbiano fatto aumentare artificialmente i prezzi delle materie prime e speculato in derivati sulle stesse, sfruttando gli “effetti provocati” dalle manipolazioni. Il senatore Levin avverte anche di possibili futuri rischi sistemici per l’economia dovuti al fatto che le banche sono coinvolte in imprese esposte ad alti rischi di catastrofi ambientali.

Sono state analizzate in particolare le attività delle solite maggiori banche americane, tra cui la Goldman Sachs, la JP Morgan Chase, la Morgan Stanley e la Bank of America.

La Goldman avrebbe “assunto” il controllo del mercato dell’alluminio. Nel 2010 ha acquistato la Metro International Trade Services di Detroit, che gestisce lo stoccaggio certificato dalla London Metal Exchange, la principale borsa mondiale dei metalli. Nei suoi magazzini ci sarebbe l’85% di tutto l’alluminio contrattato alla borsa di Londra per il mercato americano. Trattasi di 1,6 milioni di metri cubi di alluminio pari al 25% dell’interno consumo annuale in Nord America. La banca ha aumentato la sua proprietà diretta di alluminio passando da una quantità pari a 100 milioni di dollari a 3 miliardi. Possiede, tra l’altro, anche un’impresa che commercia uranio e due grandi miniere di carbone in Colombia!

Il meccanismo messo in atto sembra piuttosto semplice. Attraverso varie manipolazioni e fittizi spostamenti di ingenti quantità da un magazzino all’altro la Goldman Sachs sarebbe riuscita a determinare ritardi nelle consegne del metallo alle industrie acquirenti. Invece dei 40 giorni necessari nel 2010, lo scorso settembre il tempo di consegna è stato di ben 600 giorni! Ovviamente ciò ha prodotto un aumento sul costo dello stoccaggio, la cui percentuale su quello totale è passata dal 6% del 2010 al 20% di oggi. Naturalmente tutto a beneficio di Metro-Goldman. La conseguenza è stata un’impennata dei prezzi dell’alluminio tanto che molte imprese colpite hanno denunciato la manipolazione, tra cui la Coca Cola. Sembra che al “giochetto degli spostamenti” abbiano partecipato anche altre banche come la Deutsche Bank e l’hedge fund inglese Red Kite,

I profitti realizzati con l’aumento dei prezzi di stoccaggio per la Goldman sono stati soltanto una piccola parte del guadagno. Il vero business lo hanno fatto con le speculazioni sui future dell’alluminio e con altri derivati costruiti in base alla manipolazione dei prezzi e alla posizione di monopolio dello stoccaggio.

Da parte sua la JP Morgan Chase ha ammassato grandi quantità di materie prime per un valore di mercato di 17,4 miliardi di dollari pari al 12% del suo capitale di base, il cosiddetto Tier 1. Poiché sono stati superati abbondantemente i limiti permessi, la banca furbescamente ha sottostimato di quasi due terzi tale valore prima di rendicontarlo alla Federal Reserve. E’ arrivata anche a possedere fino al 60% di tutto il rame negoziato sui mercati mondiali. Nel campo energetico possiede 25 milioni di barili di petrolio e controlla 19 centri di immagazzinamento di gas.

La Morgan Stanley invece controlla 58 milioni di barili di petrolio. Possiede 100 petroliere e circa 8.000 km di oleodotti. E’ padrona di 18 centri di immagazzinamento di gas. Contemporaneamente sta costruendo la propria centrale di compressione del gas ed è la fornitrice privilegiata di carburante per alcune grandi compagnie aeree.

La Bank of America ha 35 centri di stoccaggio di petrolio e 54 di gas.

In altre parole, all’ombra di una troppo abusata “globalizzazione” che tutto giustifica, le banche fanno sempre meno gli istituti di credito e, forti anche dei capitali ottenuti a tassi di favore dal governo, si mettono in diretta competizione con le imprese che operano nei settori dell’industria, dell’agricoltura, del commercio, della lavorazione e dello sfruttamento delle materie prime fino a determinarne i comportamenti e la stessa sopravvivenza.

Appare chiaro l’intreccio perverso tra banche e organismi di controllo che evidentemente non hanno fatto il loro dovere.

Avviata l’indagine senatoriale, la Goldman Sachs si è affrettata a licenziare due suoi importanti operatori coinvolti nelle manipolazione. Si è scoperto però che prima essi avevano lavorato per la Federal Reserve di New York. Del resto è noto che l’attuale capo della Fed di New York, William Dudley, è stato un alto dirigente della Goldman fino al 2005

E’ certamente importante che la Commissione d’Indagine del Senato lavori su questi casi specifici. In passato la stessa Commissione in verità aveva denunciato le responsabilità delle grandi banche americane nella crisi finanziaria globale dei mutui subprime, dei derivati Otc e dei titoli tossici. Il fatto che, a distanza di anni, si debba ancora denunciare simili gravi comportamenti, dovrebbe suonare come un vero allarme sui rischi sistemici di una finanza che purtroppo continua a ritenersi l’ agnello d’oro” da adorare sempre.

Ci saremmo aspettati che a Brisbane si fosse parlato anche di ciò.

* Sottosegretario all’Economia del governo Prodi **Economista

INCREDIBILE MA VERO: IL LUCROSO BUSINESS DELLA BANCHE CHE FINANZIANO LA PRODUZIONE DI BOMBE ATOMICHE

http://www.unimondo.org/Notizie/BNP-Paribas-e-Deutsche-Bank-le-banche-UE-che-piu-finanziano-le-bombe-nucleari-142877

di Giorgio Beretta

Sono sempre loro: BNP ParibasDeutsche Bank. Già ai vertici delle operazioni a sostegno dell’export militare italiano, figurano anche tra i gruppi bancari europei più attivi nel finanziare l’industria degli armamenti nucleari. Sono preceduti solo dalla britannica Royal Bank of Scotland nella lista delle banche europee “most heavily involved” (più pesantemente coinvolte) nel supporto ai produttori di armi nucleari. Lo documenta il rapporto Don’t Bank on the bomb (qui in .pdf) diffuso ieri a livello mondiale dalla campagna ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) di cui la Rete Disarmo è partner italiano.

Il quadro internazionale: primeggiano le banche USA

La ricerca – che è stata sviluppata da IKV Pax Christi Olanda e la società di ricerche Profundo per la coalizione internazionale ICAN – fa seguito ad un’analoga ricerca pubblicata lo scorso anno: riporta le 298 istituzioni finanziarie pubbliche e private(soprattutto banche, assicurazioni, fondi pensione ecc.) che nell’ultimo quadriennio hanno investito circa 314 miliardi di dollari a favore di 27 compagnie ed industrie internazionali coinvolte nella produzione, manutenzione e modernizzazione delle armi nucleari.

La componete più consistente è rappresentata dalle istituzioni finanziarie con sede negliStati Uniti (ben 165 su 298) che sommate alle 9 del Canada hanno movimentato quasi 223 miliardi di dollari. Quelle basate in Europa sono 65 con finanziamenti complessivi per oltre 73 miliardi di dollari; 47 quelle in Asia e Oceania con movimentazioni di oltre 17 miliardi di dollari; le 10 con sede in Medio Oriente hanno operato per 958 milioni di dollari e una in Africa per circa 6,2 milione di dollari. “In altri paesi dotati di armi nucleari – come la Russia, la Cina, il Pakistan e la Corea del Nord – la modernizzazione delle forze nucleari è svolta principalmente o esclusivamente da agenzie governative” – avverte il rapporto (p. 29) e pertanto le istituzioni finanziarie di questi paesi non sono prese in considerazione. Continua a leggere

Progetti importanti tra illusioni di ripresa. E la rischiosa abboffata di profitti della banche Usa

di Mario Lettieri*  e Paolo Raimondi**

1) – Mobilitare il nostro sistema-paese sul territorio e a livello internazionale

Riteniamo che le prospettive economiche del nostro Paese non si possano misurare con meri dati statistici o peggio con qualche altro indicatore basato magari sulle aspettative degli intervistati. Le tante esternazioni di questi giorni sulla fine della recessione e sulla svolta economica positiva prevista per il terzo trimestre 2013 ci suonano più come auguri di Ferragosto che serie analisi suffragate da dati e andamenti reali. Non si tratta di iniziare una diatriba tra ottimisti e pessimisti sul futuro dell’economia nazionale. In passato questi “psicologismi spiccioli” hanno infatti dato spazio solo alla frustrazione e alla rabbia. Siamo consapevoli che spesso certe valutazioni negative sulla nostra economia, come quelle delle agenzie di rating, si sono tradotte, purtroppo, in tagli e spesso in cieca politica di bilancio.

Allo stato non esistono però concreti e solidi elementi per poter salutare l’uscita dalla crisi né a livello globale né a livello europeo e tanto meno a livello nazionale. Basti pensare che l’Ocse prevede un alto livello di disoccupazione. Per l’Italia il tasso relativo dovrebbe salire al 12,5% alla fine del 2014! E’ davvero difficile quindi immaginare una ripresa economica mentre l’occupazione scende così vistosamente, determinando ovviamente un conseguente generalizzato aumento della povertà. In Italia, purtroppo, da tempo manca una seria programmazione con una conseguente puntuale verifica di quanto realizzato. E’ indispensabile indicare percorsi di sviluppo ma anche progetti sul medio e lungo termine e scadenze precise.  Continua a leggere

1) – Affondiamo nel ridicolo per il petrolio in mani poco chiare. 2) – Le grandi banche diventano corporation industriali

Per capire meglio come mai i diplomatici kazaki se la facciano quasi da padroni nel Belpaese, obbediti a bacchetta perfino dal ministero dell’Interno, è utile leggersi l’agile e documentatissimo libro “Extra virgin oil”, edito dalla casa editrice Aracne, specializzata in testi universitari, scritto dal docente universitario Aldo Ferrara e dal giornalista Filippo Bellantoni. Ferrara era tra i consulenti di Dario Fo all’epoca della sua candidatura a sindaco di Milano e aveva preparato un programma per abbattere l’inquinamento della città.  “Extra virgin oil” documenta gli intrecci  e gli enormi interessi, compresi quelli italiani, che stanno dando vita alla rete dei giganteschi oleodotti e gasdotti che trasporteranno in Europa il gas e il petrolio dell’Asia Centrale. Tra i protagonisti non mancano gli italiani, compresi Silvio Berlusconi e uomini di sua stretta fiducia.

Ferrara riassume così le odierne perplessità per il caso della signora Shalabeyeva e figlia:
” L’Eurasia è scenario di affari petroliferi. Un tempo Enrico Mattei cercava il greggio al minore costo possibile nell’interesse del consumatore, adesso numerosi imprenditori italiani, politici e dirigenti di Aziende Statali fanno affari con le nuove pipeline come South e North Stream, Nabucco etc. Questi oleodotti passano quasi tutti dal Kazakhastan. E’ possibile non esaudire le “minime” richieste” politiche di Nursultan Nazarbayev?”. Continua a leggere

La nostra solidarietà a Berlusconi colpito in faccia da uno squilibrato. Ciò non toglie però che deve smetterla di mentire e che deve dimettersi. Ecco perché, e senza bisogno né di Spatuzza né dei Graviano

Come spiegavo a una nostra forumista nel mio ultimo commento della puntata precedente, gli squilibrati esistono in tutto il mondo, ma ciò non toglie che colpire per giunta in pubblico un capo di governo, spaccandogli un labbro e rompendogli un dente, come è successo a Berlusconi, è cosa grave e inammissibile. Per fortuna non ci sono state conseguenze drammatiche o tragiche, e per fortuna il gesto è frutto di uno squilibrato anziché dell’idiozia di un gruppetto “politico”, eventualità che avrebbe precipitato il Paese nel baratro: è chiaro infatti da troppi sintomi che nelle file del partito berluscon-bossiano non aspettano altro che poter “regolare i conti”. Immagino però che gli untori di professione soffieranno sul fuoco comunque sulle prime pagine dei giornali, e del resto Berlusconi paga bene i suoi mazzieri mediatici.

E che i suoi mazzieri si metteranno alacremente all’opara è già chiaro fin dalle prime parole attribuite a Berlusconi al pronto soccorso. Leggo infatti sul sito di un quotidiano:
“Comunque Berlusconi, riferisce chi gli ha fatto visita, si è detto “amareggiato” per “questa campagna di odio nei miei confronti. Questo è il frutto – ha spiegato – di chi ha voluto seminare zizzania. Quasi me l’aspettavo…”. Berlusconi a tutti ha ripetuto di essere stato nei giorni scorsi nel mirino di una campagna di veleni. “Tutti dovrebbero capire che non è possibile oltraggiare un presidente del Consiglio, questa è la difesa delle istituzioni”. Al di là dell’amarezza, il Cavaliere ha sottolineato di non voler minimamente farsi impressionare dall’episodio. “Sono ancora qui e non mi fermeranno””.
Per parlare così ci vuole una bella dose di irresponsabilità e di faccia di bronzo. Se c’è qualcuno che conduce una campagna di odio è proprio lui, Berlusconi Silvio, che da mesi – anomalia unica nell’intero Occidente democratico –  accusa in continuazione i magistrati – fino alla Corte Costituzionale! – e ormai anche il presidente della Repubblica.
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