Guerra russo ucraina: Lucio Caracciolo, direttore di Limes, ci chiarisce un po’ le idee

https://www.repubblica.it/esteri/2022/11/25/news/intervista_lucio_caracciolo_limes_geopolitica-376008334/

Fuori dai mondiali, i commissari tecnici del bar sotto casa sono diventati esperti di geopolitica: in strada, in ufficio e nei talk show, tutti a spiegare e discutere di Ucraina, di Taiwan… La scuola di Limes, la rivista fondata da Lucio Caracciolo divenuta la casa europea per capire le relazioni tra piccole o grandi potenze, ha appena aperto le iscrizioni ed è già sommersa da richieste. 

Direttore, ma la geopolitica non era un tabù? Cos’è cambiato? Da cosa nasce questa passione?

“Sì, geopolitica era un termine proscritto fino a pochi anni fa. Era considerata materia nazistoide, per ragioni note (alla fine della Seconda guerra mondiale era ritenuta la materia con cui erano state modellate le mire imperialiste che avevano sconvolto il mondo, ndr). Ma finalmente hanno capito che non è una scienza sulfurea e diabolica; che non parte con un giudizio morale ma dall’analisi dei punti di vista differenti, e degli interessi delle parti che si confrontano. Questo tipo di approccio è un esercizio sempre importante: ti aiuta a comprendere anche chi è lontano da te. Studiamo i codici negoziali e l’importanza degli stereotipi nelle culture di riferimento: sono i meccanismi per i quali tu pensi di dire “a” e l’altro capisce “b””.

Perché ci sono decine di guerre ma ne vediamo solo una?

“Per il bene della nostra salute mentale. E poi obiettivamente è sempre stato così. Ti interessano i problemi e le opportunità in aree geografiche o culturali che possono toccarti. È chiaro che un conflitto mostruoso come quello in Congo, che va avanti da un’infinità di anni provocando milioni di morti, è sottovalutato. Siamo molto più attenti ad altri conflitti con meno morti ma più vicini a noi, come quelli balcanici o arabo israeliani. La guerra in Ucraina ha assunto dimensioni mondiali perché vede coinvolte, direttamente o indirettamente, tutte le maggiori potenze”.

Quali sono i nodi per uscirne negoziando? 

“Il punto di vista degli americani non è certamente quello degli ucraini. Per l’americano medio l’Ucraina è una nebulosa, sanno a malapena dove sia; il governo Usa invece aveva due obiettivi: interrompere l’interdipendenza energetica russo-tedesca e russo-europea, ed è stato raggiunto. E indebolire la Russia separandola da Pechino, ed è in parte ottenuto. L’obiettivo ucraino invece è sopravvivere, e se possibile riprendere tutto quello che i russi gli hanno sottratto”. 

È raggiungibile?

“Lo stesso capo delle forze armate Usa lo ritiene molto improbabile. La preoccupazione Usa è che la guerra si allarghi, e hanno dato segnali molto chiari di volerlo evitare. Ma i russi non riuscendo ad avanzare più di tanto sul terreno infieriscono sulla società ucraina, per spingerla a negoziare. Se dovesse continuare questa strategia, qualche problema di tenuta del fronte ucraino penso emergerà. La guerra non sono centimetri quadrati persi o presi, ma chi dura di più”.

La Turchia colpisce i curdi e minaccia di entrare in Siria e Iraq. Erdogan si gioca la rielezione?

“La geopolitica turca non cambia molto con Erdogan o senza: c’è forte consenso sulla sua politica estera, a cominciare dalle forze armate. Sulla questione curda, è chiaro che la Turchia vuole dare un segno sia sul fronte siriano che iracheno: quella è la sua sfera di interesse, e non vuole altre potenze tra i piedi. È un segnale inviato anche agli Usa, che direttamente o meno hanno sempre appoggiato i curdi del Pkk”. 

Attaccheranno in forze?

“Bisogna capire se ne hanno i mezzi, per una penetrazione. Sia lì che in zona balcanica”.

Intanto l’Italia è lacerata: tu stesso sei stato accusato di simpatie filorusse. 

“Lo scenario ucraino è coinvolgente, ci tocca da vicino ed è un eccellente rilevatore delle faglie che attraversano il nostro mondo. Io devo essere contemporaneamente filorusso, filoucraino e italiano: non puoi non capire tutte le follie delle parti in causa, altrimenti fai propaganda. E non è il mio mestiere”.

Torniamo alla scuola di Limes: la definite una “non accademia”. Cosa significa?

“Si chiama proprio “Scuola di Limes – non accademia di geopolitica e di governo”, perché non facciamo le cose che vengono fatte normalmente nelle università. Il metodo geopolitico studia i contesti, non i modelli. Non pretendiamo di definire e applicare leggi universali e algoritmi, ma studiamo i fenomeni nel loro specifico; nel loro ambiente geografico, socio economico e storico. Andiamo in profondità, facciamo archeologia del potere”. 

Chi si iscrive alla scuola di Limes?

“Ci sono due gruppi: giovani appassionati e persone con competenze. Si viene per passione ai temi geopolitici, ma può servire a procedere meglio nella carriera. Il nostro approccio è sempre più richiesto dai decisori, soprattutto economici. Non facciamo politologia, non pretendiamo che il diritto internazionale regoli il mondo. Qui si impara a dirigere e a decidere sporcandosi le mani”.

 

FTX: cade un’altra stella delle cripto valute

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

La cripto finanza conquista ancora una volta le prime pagine dei media. Questa volta con la bancarotta di FTX, la seconda piattaforma exchange più grande nel mondo, dopo Binance. Le exchange solitamente non creano monete digitali (token) ma si occupano di creare asset class per gli investitori, che utilizzano la piattaforma per cambiare dollari o euro in monete digitali e di comprare e vendere queste ultime al solo scopo di fare guadagni. FTX aveva, invece, anche il suo token, il FTT.

Pochi giorni fa, la Security Commissione delle Bahamas, il centro off shore dove FTX ha sede, aveva congelato tutti i suoi averi. La piattaforma, insieme a oltre 130 suoi affiliati, ha chiesto il Chapter 11 nello Stato del Delawere, cioè la procedura d’insolvenza per la riorganizzazione aziendale. Intanto Australia, Giappone e Bahamas hanno preso provvedimenti per congelarne le sue attività. Dopo una simile decisione adottata da Cipro, essa non può più operare nell’Ue.

Oggi la paura di un crollo caotico dell’intero settore si riassume in due parole “contagio” e “effetto domino”. Si parla di “momento Lehman Brothers” per la cripto finanza globale. Il buco varierebbe tra dieci e cinquanta miliardi di dollari. In pochi giorni il mercato delle cripto valute avrebbe perso il 20% del suo valore.

Dopo la crescita a dismisura fino a un picco equivalente a 3.000 miliardi di dollari, il mondo delle cripto monete già nel 2022 si era ridotto a mille miliardi. Inoltre, durante l’estate altre piattaforme cripto, tra cui Celsus Network, Voyager Digital e Terra-Luna sono fallite.

FTX è la breve storia di un “astro lucente” che diventa in pochi giorni una stella cadente. Il suo fondatore, il trentenne Sam Bankman-Fried, SBF per gli amici, aveva accumulato un patrimonio equivalente a 20 miliardi di dollari e, in poche ore, ne avrebbe perso il 94%. Anche tutti quelli che vi hanno investito possono dire addio ai loro soldi! Non c’è rete di salvataggio per la cripto finanza senza regole e controlli.

Alcuni parlano di “frode” poiché SBF avrebbe dirottato i fondi investiti nella piattaforma verso una sua controllata, la Alameda Research, anch’essa con sede alle Bahamas, che li avrebbe usati per operazioni finanziarie ad altissimo rischio andate male. FTX faceva soldi permettendo che investitori prendessero fondi in prestito per scommettere e speculare sui prezzi futuri delle cripto valute. Si era specializzata nella gestione di operazioni leverage (la famosa leva) in derivati con cripto monete. Piccolo particolare: le faceva in campo internazionale poiché esse sono vietate sul territorio americano.

Il vero timore è che la caduta di FTX possa contagiare anche il mercato finanziario tradizionale per via della sua grande interconnessione con la cripto finanza. Una paura che, purtroppo solo a parole, è stata spesso manifestata da vari dirigenti di enti federali americani. D’altra parte è noto che tra i suoi investitori vi sono vari fondi d’investimento, come il Blackrock e persino importanti fondi pensione.

Lo scandalo vero è la mancanza di controlli e d’interventi tempestivi e preventivi da parte delle agenzie governative preposte alla supervisione dei mercati finanziari. Ma forse non è così casuale. SBF è stato molto attivo a Washington nei mesi passati. Secondo resoconti della stampa americana, lui e altri dirigenti di FTX avrebbero sostenuto finanziariamente, legalmente, alcuni candidati sia democratici sia repubblicani nelle recenti elezioni di mid term. Non si sa mai!

SBF era anche un lobbysta molto impegnato a influenzare la stesura di una legge bipartisan per regolare il mercato delle cripto valute. Dopo il fallimento di FTX il procedimento è sospeso.

La nuova legge darebbe alla Commodity Futures Trading Commission (CFTC), l’agenzia che regola il mercato dei derivati, anche la supervisione del mercato cripto. Forse il Congresso americano e la Security Exchange Commission, l’agenzia federale di vigilanza delle borse valori, dovrebbero tenere in considerazione che alcuni top leader di FTX USA, la succursale americana, erano stati alti dirigenti proprio della CFTC! Evidentemente, purtroppo, il conflitto di interessi non esiste solo in casa nostra.

*già sottosegretario all’Economia ** economista

Perché dopo due anni di allentamento quantitativo (QE) di straordinaria grandezza la liquidità degli stessi QE è scomparsa

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Mentre la Fed continua a innalzare il tasso d’interesse, molti economisti sollevano forti dubbi sulla sua capacità di normalizzare la politica monetaria e di influenzare positivamente i processi economici. Ciò vale per le altre banche centrali.

Dopo due anni di allentamento quantitativo (QE) di straordinaria grandezza, le banche centrali stanno restringendo i propri bilanci. Esse avevano acquistato asset back security (abs) e titoli di Stato in possesso delle banche private, emettendo riserve liquide in cambio. La liquidità creata, però, è svanita nel giro di pochi mesi.

Perché il rapido rientro dal QE ha prodotto questo risultato? La risposta è semplice: il sistema finanziario è diventato dipendente dalla liquidità facile.

Quando la banca centrale espande il proprio bilancio, il settore bancario, che deve detenere le riserve emesse dalla banca centrale per gli acquisti di asset, in genere le finanzia con depositi a vista, cioè più esigibili.

Le riserve offerte dalle banche centrali si ritengono le più sicure ma offrono rendimenti bassi. Perciò, sulla base della liquidità acquisita, le banche hanno creato altri flussi di entrate offrendo maggiori crediti. Ciò assume generalmente la forma di limiti più elevati per le carte di credito per le famiglie e linee di credito più ampie alle imprese, ai fondi d’investimento e alle società non finanziarie.

La maggiore detenzione di riserve offre alle banche la sicurezza di poter rispondere prontamente a eventuali richieste di prelievo. Le banche, però, hanno anche aumentato le operazioni più lucrative nei rapporti broker-dealer, cioè quelle che promettono di aiutare gli operatori-speculatori offrendo della liquidità per soddisfare eventuali richieste di margine, i margin call, quando si devono dare garanzie aggiuntive in contanti per coprire delle perdite sopravvenute.

Gli speculatori non sono solo gli hedge fund, ma anche i fondi pensione che, per compensare i bassi rendimenti delle obbligazioni pubbliche, hanno aumentato il profilo di rischio delle loro attività, assumendo una maggiore leva finanziaria e sottoscrivendo dei derivati per una copertura del rischio sugli interessi. L’aumento dei tassi ha generato richieste di margini sulle posizioni in derivati.

In parole semplici, la liquidità ottenuta dalla Fed è stata “impegnata” in operazioni finanziarie a più alto rischio. Di conseguenza, le banche sono molto più esposte a qualsiasi incidente nel sistema finanziario, non avendo capacità di “tappare” eventuali buchi rilevanti. Lo stress di liquidità deriva dalla relazione asimmetrica tra lo stock di crediti concessi e quello delle  riserve di liquidità. Anche il comportamento delle banche è asimmetrico rispetto a quello della Fed, più precisamente perché non riducono i crediti concessi quando la quantità delle riserve si riduce.

Questo è avvenuto recentemente in Gran Bretagna, quando il “mini budget” proposto dall’ex premier Liz Truss ha fatto emergere lo spettro dell’insostenibilità del debito sovrano, provocando un immediato aumento dei tassi di interesse delle obbligazioni statali di lungo termine. Riconoscendo l’importanza sistemica del mercato dei titoli di Stato, la Banca d’Inghilterra è subito intervenuta sospendendo il programma di vendita di parte dei titoli in suo possesso, annunciando allo stesso tempo di voler riprendere ad acquistare i bond di Stato come nei passati mesi di QE.

Il malfunzionamento del mercato dei titoli di Stato in un’economia sviluppata è un segnale di una potenziale instabilità finanziaria.

Uno studio presentato da un gruppo di economisti americani all’incontro di Jackson Hole, rileva che, nel caso degli Stati Uniti, il rientro dal QE ha reso le condizioni molto difficili. E’ provato che, quando la Fed vuole riprendere le riserve emesse, il settore finanziario non riduce rapidamente i crediti concessi sulla base della liquidità generata. Questo rende il sistema vulnerabile agli shock o semplicemente a un qualche incidente. Era già successo a settembre 2019 e la Fed aveva ripreso le sue iniezioni di liquidità.

In altre parole, maggiori sono le dimensioni e la durata del QE, maggiore è la liquidità cui i mercati finanziari si abituano. Di conseguenza, per le banche centrali sarà più difficile normalizzare i propri bilanci. Gli shock finanziari non rispettano i tempi delle banche centrali e potrebbero costringerle a nuovi interventi di sostegno.

I responsabili delle politiche monetarie si trovano quindi in una posizione molto difficile: aumentare i tassi per ridurre l’inflazione e contemporaneamente fornire liquidità per stabilizzare i mercati dei titoli di Stato. E’ un processo infernale dal quale non si può uscire con gli strumenti tradizionali.

*già sottosegretario all’Economia
**economista

Impariamo da Glenn Greenwald, giornalista, scrittore e avvocato statunitense

Copincollo dal profilo Facebook del mio amico e collega Gianfranco Modolo. 

 

Dice Glenn Greenwald, giornalista, scrittore e avvocato statunitense:

se guardi la storia delle guerre americane, negli ultimi decenni, sono incredibilmente simili. Il modo in cui convincono gli americani a sostenere Il coinvolgimento degli Stati Uniti in una guerra, consiste nel focalizzarsi sulla persona di un particolare leader, e portarci a odiarlo. Per esempio, Saddam Hussein in Iraq è un personaggio terribile. Bashar al Assad, in Siria, è una forza tirannica. Il Mullah Omar, in Afghanistan, è un individuo che dobbiamo eliminare. Gheddafi e la Libia. Sollecitano le nostre emozioni affinché diciamo di sì e vogliamo andare a caccia di questi tiranni. E poi dopo aver speso centinaia di miliardi e aver sacrificato moltissime vite, i sondaggi mostrano invariabilmente che gli americani arrivano a rendersi conto che quelle guerre sono state un errore. E la ragione è che si rendono conto che il coinvolgimento degli Stati Uniti in quelle guerre non ha portato nessun beneficio agli Stati Uniti e tanto meno ai cittadini americani. Quindi esaminiamo l’attuale situazione seguendo tale impostazione. La maggior parte delle persone che operano a Washington sono concordi nel ritenere che siamo più vicini all’uso delle armi nucleari che in qualsiasi altro momento, dopo la crisi dei missili cubani di 60 anni fa. C’è una minaccia molto reale di uno scambio nucleare o addirittura di un confronto diretto tra Russia e Stati Uniti.
E per che cosa? La questione è su chi governa e comanda nemmeno su tutta l’Ucraina, ma nel Donbass, la regione orientale dell’Ucraina, dove la maggioranza delle persone in realtà si considera parte dell’etnia russa e vuole far parte della Russia. Eppure non c’è quasi nessun dibattito sul fatto che dovremo spendere enormi quantità di denaro in Ucraina e rischiare la vita dei nostri concittadini americani fino ad arrivare alla possibilità di una guerra nucleare. Perché tutti sanno che nel momento in cui esci dal coro, c’è un’orda di persone pronte a definirti antipatriottico oppure traditore oppure ammiratore di Vladimir Putin, come so che stanno facendo in questo preciso momento con questa nostra trasmissione. E mi riferisco allo staff di Media Matters ed altre persone online. Quindi siamo in un’atmosfera davvero repressiva, che sta sopprimendo un dibattito che invece dovremmo assolutamente avere’.
Ma in Italia non avviene più o meno lo stesso fenomeno? Pacifinti, filoputiniani, traditori, questi gli epiteti rivolti a chi si oppone al mainstream e sollecità la trattativa per la pace. Non lo dicono al Papa, ma poco ci manca.