L’etica della guerra e la guerra dell’etica

Le guerre sono l’esigenza di un’etica che si sente forte e che si è indebolita: un’etica malsana, individualistica, abituata a usare non l’esempio ma la forza per imporsi, e che quando riesce a ottenere ciò che vuole, diventa molle, s’infiacchisce, e non sa più come affrontare le proprie insanabili contraddizioni, i propri limiti egoistici.

L’esigenza della guerra è connaturata a una sorta di vuoto esistenziale, così tipico di quelle società (e financo di quelle civiltà) disposte anche a morire pur di trionfare sui più deboli.

E’ un’esigenza ciclica, che si ripete a ritmi alterni: a periodi di pace, in cui l’etica si rilassa, subentrano periodi di guerra, in cui l’etica si irrobustisce.

L’etica della guerra è un’etica di conquista, quella mediante cui il più forte vuole dominare. E’ l’etica del sacrificio, del coraggio, del disprezzo per la morte o per il dolore. E’ l’etica dell’obbedienza, del cameratismo, dell’altruismo nei confronti dei propri compagni, e dell’odio spietato nei confronti del proprio nemico. Si impara ad amare e a odiare nello stesso momento, con la stessa intensità.

E’ un’etica schizofrenica, lacerata, che illude i combattenti di poter diventare migliori proprio mentre uccidono qualcuno. L’omicidio viene giustificato in nome della guerra, cioè in nome del fatto che, siccome non si riesce ad amare nella pace, si deve provare a farlo nella guerra. E chi non è un “compagno” da amare e rispettare, è visto solo come un nemico da abbattere.

La paura di non-essere fa nascere le guerre, che infatti servono per affermare un “proprio essere”, l’essere della cultura, della nazione, della civiltà a cui si appartiene.

E sono guerre non di difesa ma di attacco. Non si sta difendendo legittimamente il proprio territorio, ma si sta occupando quello altrui. E mentre lo si occupa, si sviluppa l’etica, i cui valori sono finalizzati alla conquista e alla distruzione di chi fa resistenza.

E il militare non può aver dubbi di sorta: sta combattendo una guerra giusta, a favore della civiltà, della libertà, della giustizia, della scienza, del progresso e soprattutto dei valori umani universali.

Il soldato mette a repentaglio la propria vita per il bene dell’umanità e spera d’essere considerato un prode, un valoroso, addirittura un eroe. Viene ingannato dai suoi superiori e finisce con l’ingannare se stesso.

Prima della guerra l’etica era così debole che non si riusciva più a distinguere il bene dal male. E men che meno si può pensare di farlo durante la guerra, dominata dal principio mors tua, vita mea. E’ impossibile far chiarezza mentre si combatte, proprio perché la guerra rende elementari tutti i principi etici: o uccidi o vieni ucciso. Al massimo si può obiettare all’ordine di uccidere, se questo viola la dignità umana. Ma è molto raro vederlo.

La vera etica, quella umana, non può essere decisa durante la guerra: va decisa o prima o dopo. E quando non si riesce a farlo in tempo, la guerra diventa inevitabile; e se non si riesce a farlo neppure dopo, la guerra è stata inutile.

2 commenti
  1. alessandro
    alessandro says:

    caro Galavotti,
    quale sarebbe secondo lei la giusta etica oggi?
    abbiamo avuto l´etica cristiana,l´etica laica(Kant), l´etica della responsabilita´(Jonas).
    In un gran bel libro Galimberti spiega perche´ quelle 3 etiche oggi non bastano piu´.

    Rispondi

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