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COME HA DETTO ANCHE PAPA FRANCESCO, ECCO IL PERCHE’ DELLE GUERRE: GLI 80 MILIARDI DI DOLLARI DI ARMI VENDUTE OGNI ANNO NEL MONDO, CON GLI USA CHE DA SOLI NE VENDONO LA META’!

http://www.repubblica.it/esteri/2016/12/27/news/gli_usa_primi_fornitori_mondiali_di_armi_40_miliardi_di_dollari-154913187/?ref=HREC1-18

NEW YORK  – Gli Stati Uniti fornitori mondiali di armi. Nel 2015 ne hanno vendute per un valore di 40 miliardi di dollari, confermandosi leader delle vendite nel mondo. Al secondo posto la Francia con 15 miliardi di dollari.

E’ quanto emerge da uno studio condotto per il Congresso americano e riportato dal New York Times, secondo il quale lo scorso anno sono state vendute complessivamente armi per 80 miliardi di dollari, in calo rispetto agli 89 miliardi di dollari del 2015.

I Paesi avanzati restano anche nel 2015 i maggiori acquirenti di armi, con acquisti per 65 miliardi.

Il calo delle vendite globali è legato all’economia debole, spiega il rapporto. ”Problemi di bilancio hanno spinto molti Paesi a posticipare o limitare gli acquisti. Alcuni Paesi hanno scelto di non acquistare nuove armi e di ammodernare i loro sistemi esistenti”.

Ed ecco cosa ha detto papa Franecsxo nell’omelia a Santa Marta il 16 febbraio dell’anno scorso:

“Basta “imprenditori di morte” che vendono armi perché continui la guerra “Ma, siamo imprenditori!”, ribattono i venditori. Sì, di che? Di morte? E ci sono i Paesi che vendono le armi a questo, che è in guerra con questo, e le vendono anche a questo, perché così continui la guerra. Capacità di distruzione». «Ma prendete un giornale, qualsiasi, di sinistra, di centro, di destra…qualsiasi. E vedrete che – ha sottolineato il Pontefice – più del 90% delle notizie sono notizie di distruzione. Più del 90%. E questo lo vediamo tutti i giorni».

Papa Francesco: un ordine più giusto per la casa comune

Papa Francesco: un ordine più giusto per la casa comune

Mario Lettieri* Paolo Raimondi** 

 “Laudato si’” è un’enciclica che provocherà molte discussioni e forse anche forti polemiche. Per la prima volta la Chiesa si cimenta in modo diretto con il tema dell’ambiente e del suo rapporto con l’economia e la finanza. Sull’argomento, in particolare negli ultimi decenni, si sono sviluppati ricerche, analisi e studi scientifici che hanno raggiunto conclusioni molto differenti, spesso opposte.

Per seguire il detto “dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” sarà opportuno lasciare che il mondo scientifico si confronti sulle varie teorie in modo indipendente, libero e, forse, mai conclusivo.

Papa Francesco sottolinea che “la sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale”. Giustamente la sua, e la nostra, massima preoccupazione sono i popoli e i poveri del mondo sempre più minacciati da una inequità dilagante quanto intollerabile.

L’enciclica tocca tantissimi aspetti morali, etici e religiosi che meriterebbero, tutti, attente e approfondite riflessioni ma, essendo stata per anni l’economia il nostro campo di studio, ci preme mettere in luce alcuni dei suoi rilevanti contenuti.

L’enciclica dice:”Il principio della massimizzazione del profitto, che tende a isolarsi da qualsiasi altra considerazione, è una distorsione concettuale dell’economia: se aumenta la produzione interessa poco che si produca a spese delle risorse future o della salute dell’ambiente; se il taglio di una foresta aumenta la produzione, nessuno misura in questo calcolo la perdita che implica desertificare un territorio, distruggere la biodiversità o aumentare l’inquinamento. Vale a dire che le imprese ottengono profitti calcolando e pagando una parte minima dei costi. Si potrebbe considerare etico solo un comportamento in cui ‘i costi economici e sociali derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni siano riconosciuti in maniera trasparente e siano pienamente supportati da coloro che ne usufruiscono e non da altre popolazioni o dalle generazioni future’.”

Nel succitato passaggio si evidenziano in modo sintetico due metodi, molto differenti, di concepire l’economia e la società: quello della finanza e quello dell’“economia fisica” e reale. Nel primo dominano le forze invisibili del mercato e il calcolo dei costi e dei benefici. In questo vince chi riesce a pagare meno il lavoro, le materie prime e i mezzi di produzione e riesce poi a vendere al prezzo migliore, il più alto, il bene o il servizio prodotto. Il successo quindi è misurato dal profitto finanziario. Tutti questi “comportamenti” sommati formano il Pil di un Paese, l’ammontare della sua ricchezza. Le varie legislazioni in un certo senso tendono a mitigare questo processo perverso che altrimenti si tradurrebbe in un darwinismo selvaggio. Nonostante ciò, in un simile sistema dominano la cultura relativistica dello “scarto”, quella dello sfruttamento e la logica dell’ “usa e getta”. Quella logica che porta a sprecare approssimativamente un terzo degli alimenti che si producono.

Nel sistema di “economia fisica” e reale il profitto invece si calcola dopo che tutto ciò che è stato usato nel processo produttivo viene reintegrato e anche migliorato. Il che significa che l’ambiente usato – l’acqua, l’aria, le risorse e soprattutto l’uomo e la collettività – deve essere “ripagato” riportandolo alle sue potenzialità esistenti all’inizio del processo. Non si tratta di un processo a “somma zero” e di mera conservazione, senza sviluppo e senza crescita. Il “profitto fisico” però è essenziale per lo sviluppo e si può ottenere attraverso la reale crescita della produttività con l’applicazione delle nuove tecnologie, quelle derivanti dalle continue scoperte scientifiche.

Non è utopia, può sembrarlo ma non lo è, ma un metodo forse più complesso, ma più reale per misurare lo sviluppo economico e sociale.

L’enciclica va anche al cuore del fallimento dell’attuale sistema quando sostiene:” Il salvataggio ad ogni costo delle banche ì, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma il dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-8 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo”.

Piena condivisione con la denuncia di papa Francesco della grave sottomissione della politica alla finanza. “Non si può giustificare un’economia senza politica, che sarebbe incapace di propiziare un’altra logica in grado di governare i vari aspetti delle crisi attuale”. Sono concetti chiari quanto elementari sui quali anche noi spesso ci siamo soffermati. Da ultimo nel nostro libro “Il casinò globale della finanza” nei prossimi giorni in libreria.

*già sottosegretario all’Economia **economista

Pericoli in Israele per papa Francesco? Il contenzioso per la sala dell’Ultima Cena e le offese crescenti di coloni e ortodossi

Chissà se Papa Francesco nel suo imminente viaggio in Palestina e Israele riuscirà almeno a convincere il governo israeliano a restituire o comunque assegnare alla Chiesa il Cenacolo di Gerusalemme. Vale a dire, la sala sul monte Sion dove secondo la tradizione si è consumata l’Ultima Cena tra Gesù e gli apostoli. E dove da qualche anno gli atti di vandalismo e disprezzo sono in crescita. Come che sia, mancano meno di due settimane alla partenza del pontefice per la visita di tre giorni, dal 24 al 26 di questo mese, nella cosiddetta Terra Santa  e il barometro segna già tempesta. Il giornale Jerusalem Post, che certo non è di sinistra, parla del timore addirittura di azioni incontrollate da parte dei coloni, che il noto intellettuale e scrittore Amos Oz senza più mezzi termini ha definito  neonazisti ( http://www.jpost.com/National-News/Israels-senior-Catholic-cleric-Price-tags-poisoning-atmosphere-ahead-of-Popes-visit-351912 ).

I coloni hanno reagito denunciandolo “per odio razziale” e dichiarando in coro:

“Ci attendiamo che la polizia finalmente arresti Amos Oz” ( http://www.jpost.com/National-News/Settlers-file-police-complaint-against-Amos-Oz-for-incitement-to-racial-hatred-351902 ).

Ma a lanciare l’allarme è soprattutto il patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Fuad Twal, vale a dire il massimo rappresentante della Chiesa cattolica in Israele e Palestina, che si è lamentato con alcuni visitatori e cronisti:

“Stiamo assistendo a un’ondata di atti estremisti che avvelenano l’atmosfera di coesistenza e di cooperazione. In particolare ora che siamo in procinto di accogliere il pontefice”. Continua a leggere

Santificazioni frettolose e stitichezza nei miracoli

Ora che è passata l’eccitazione per la grande festa della santificazione di due Papi,  Giovanni Paolo II, al secolo Karol Wojtyla, e Giovanni XXXIII, al secolo Angelo Giuseppe Roncalli, vale la pena di fare qualche considerazione in più. Nei giorni scorsi è stata avanzata qualche timida  riserva e  critica per la santificazione di Wojtyla a causa di alcuni suoi comportamenti poco commendevoli, ma ne sono stati dimenticati vari altri decisamente più gravi. Andiamo per ordine.

Sono stati dichiarati santi due papi talmente diversi tra loro da essere uno agli antipodi dell’altro. Wojtyla ha letteralmente demolito le innovazioni apportate alla Chiesa da papa Roncalli con la convocazione del Concilio Vaticano II, grande sforzo per tentare di portare la Chiesa nella realtà moderna. Sforzo che ha compreso la sorprendente apertura verso l’est europeo, il blocco allora comunista guidato dall’Unione Sovietica, e verso lo stesso Partito Comunista Italiano. Tant’è che Giovanni XXIII è passato alla storia come “il Papa buono”, espressione popolare nata spontaneamente e che di fatto significa anche che gli altri Papi buoni non erano o non lo erano e non lo sono abbastanza. Continua a leggere

1) – Cipro: un test per far pagare ai risparmiatori i debiti delle banche in default. 2) – Francesco cala l’asso della povertà evangelica

Cipro: un test per far pagare ai risparmiatori i debiti delle banche in default

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

La vicenda di Cipro è la prova provata dell’incompetenza di Bruxelles e della Troika (Fmi, Commissione europea e Bce) a trattare le crisi finanziarie e bancarie in Europa. Gli euroburocrati hanno potuto mostrare la loro arroganza sostenuti da quei “duri” europei che vogliono il rigore soltanto per poter salvare le banche in default. Il sistema bancario di Cipro, a metà strada tra il legale e l’offshore, è pieno di soldi. Spesso di provenienza non limpida. Secondo il Fondo Monetario Internazionale avrebbe attività per 152 miliardi di euro pari a circa 8 volte il Pil del Paese. I depositi bancari, favoriti da tasse basse e da ancor più bassi controlli, ammonterebbero a 68 miliardi, dei quali il 40% sarebbe in mani russe.

La Cyprus Bank e la Cyprus Popular Bank, le due maggiori banche cipriote, sono in gravi difficoltà per le perdite in miliardi di euro subite sui bond greci. Ovviamente si può anche ipotizzare che il rischio di insolvenza sia dovuto all’accumulo di debiti causati da speculazioni andate male. Il governo cipriota deve far fronte alla crisi di bilancio come tutti i Paesi europei dell’area mediterranea. Servirebbero circa 17 miliardi di euro. Chi paga? Il Meccanismo di Stabilità Europea, cioè il fondo di salvataggio creato ad hoc per simili situazioni? Oppure il governo cipriota che non ha soldi e che non può chiedere prestiti in quanto violerebbero il patto da stabilità europeo? Continua a leggere