APPELLO A TUTTI I COLLEGHI E IN PARTICOLARE ALLA GIORNALISTA LAURA BOLDRINI, PRESIDENTE DELLA CAMERA, E AL GIORNALISTA SUO PORTAVOCE ROBERTO NATALE, GIÀ PRESIDENTE DELLA FNSI

APPELLO A TUTTI I COLLEGHI E IN PARTICOLARE ALLA GIORNALISTA LAURA BOLDRINI, PRESIDENTE DELLA CAMERA, E AL GIORNALISTA SUO PORTAVOCE ROBERTO NATALE, GIÀ PRESIDENTE DELLA FNSI
Il ricorso di 21 colleghi contro il contratto nazionale di lavoro giornalistico firmato il 21 ottobre 2014 dalla FNSI è stato respinto dal giudice monocratico di Roma dottoressa Cecilia Bernardo con una sentenza ( http://www.senzabavaglio.info/wp-content/uploads/2017/11/Senza-Bavaglio-17-11-06-Sentenza-contro-FNSI.pdf ) che è chiaramente sbagliata e punitiva.
1) – La sentenza è sbagliata.
Lo si evince chiaramente dalle stesse argomentazioni conclusive del giudice, laddove scrive:
“Al successivo art. 7 [dello statuto della FNSI] vengono, poi, elencati gli organi della FNSI, che sono: il Congresso Nazionale; il Consiglio Nazionale; la Giunta Esecutiva; il Presidente della FNSI; il Segretario generale; la Segreteria Nazionale; il Collegio dei revisori dei conti; il Collegio nazionale dei Probiviri; i dipartimenti, le commissioni contrattuali e le commissioni di lavoro. Orbene, dalle suindicate disposizioni statutarie emerge che sono associati della Federazione Nazionale esclusivamente le singole Associazioni regionali e interregionali, che sono organismi autonomi dotati di un proprio statuto. Per contro, gli iscritti alle associazioni territoriali sono associati delle suddette associazioni, ma non associati della Federazione nazionale, che si sostanzia in una associazione di secondo livello (associazione di associazioni). Ciò, del resto, emerge chiaramente anche da quanto disposto all’art. 8 dello Statuto, che detta la disciplina relativa al funzionamento del Congresso nazionale della FNSI, massimo organo deliberante della Federazione. Orbene, dal citato art. 8 risulta che i singoli iscritti alle Associazioni territoriali non possono automaticamente partecipare al Congresso nazionale della Federazione (cosa che invece sarebbe certamente possibile se gli stessi fossero associati della Federazione stessa), ma possono parteciparvi esclusivamente i delegati di ciascuna Associazione regionale, in rappresentanza di quest’ultima.
Inoltre, non risulta che gli odierni attori rappresentino o abbiano fatto parte di uno degli organi della Federazione, elencati dall’art. 7 dello Statuto.

Ne consegue che – alla luce del chiaro disposto dell’art. 23 c.c. – i predetti non sono legittimati ad impugnare delle deliberazioni assunte dalla Giunta Nazionale della FNSI, non essendo associati della Federazione, né facendo parte di uno dei suoi organi”.

Sta di fatto che sul retro di qualunque tessera di iscrizione per esempio all’Associazione Lombarda dei Giornalisti (ALG) è documentata in modo chiaro e inequivocabile l’iscrizione anche alla FNSI. A favore della quale, come se non bastasse, nelle buste paga e nel rateo di pensione di almeno alcuni dei 21 c’è un’apposita trattenuta. E che i 21 siano iscritti anche alla FNSI oltre che alle rispettive ARS è PROVATO anche dal fatto che l’FNSI nel contestare in sede legale il ricorso dei 21 non ha sollevato neppure di striscio l’improponibile e peregrino argomento partorito dal giudice.
La cantonata presa dal magistrato ha dunque proporzioni imbarazzanti. Ancor più imbarazzanti alla luce del fatto che alcuni dei 21 ricorrenti, come per esempio Pierangelo Maurizio e Massimo Alberizzi, fanno e hanno fatto parte di almeno due degli “organi della Federazione elencati all’art. 7 dello statuto”. Alberizzi e Maurizio sono infatti membri del Consiglio Nazionale della stessa FNSI, sono cioè membri di suoi organi dirigenti! Inoltre gran parte dei 21 ha firmato il ricorso in quanto eletti come delegati delle proprie ARS a più di un congresso nazionale della FNSI. Alberizzi e Maurizio, per esempio, sono stati eletti delegati ai congressi nazionali del 2007, 2011, 2015 (ricordiamo che il contratto nazionale di lavoro è stato firmato nel 2014). Fabrizio De Jorio inoltre è membro del consiglio direttivo dell’Associazione Stampa Romana.
Non vogliamo insinuare nulla, ma chi ha fornito al magistrato notizie sui 21 clamorosamente monche se non false? A chi può essersi rivolto il magistrato per avere delucidazioni sui curricula sindacali dei 21? Si è rivolto forse alla FNSI? Se così fosse, sarebbe grave che la FNSI avesse inviato curricula inesatti. Tanto inesatti da poter essere utilizzati per rigettare il ricorso dei 21 e condannarli inoltre a spese legali fuori misura.
Il magistrato pur animato da tanto zelo non ha minimamente rilevato – anzi, lo ha tranquillamente ed esplicitamente accettato – che la FNSI presenta una non bella anomalia, è infatti forse l’unico caso italiano di sindacato unico di un’intera categoria professionale. Anomalia a fronte della quale, a prescindere da eventuali ricorsi, ci si potrebbe interrogare anche sulla validità dei contratti da essa firmati. Vogliamo ricordare che questo discutibile monopolio sindacale della FNSI è una conseguenza dell’accordo raggiunto a fine anni ’50 del secolo scorso dai sindacati nazionali CGIL, CISL e UIL, accordo che aveva voluto escludere dalla politicizzazione sindacale i giornalisti e le forze dell’ordine proprio per il loro particolare ruolo nella società: giornalisti e poliziotti potevano dunque avere sì un proprio sindacato, ma esclusivamente unitario, vale a dire unico, onde evitare singoli sindacati politicamente orientati.
La cosa strana, ma sintomatica della mentalità da inciucio, è che mentre per la polizia questa limitazione veniva abolita dopo gli anni 70 a seguito della sua smilitarizzazione, per i giornalisti è invece rimasta in piedi: come fossimo militarizzati! E per giunta come fossimo l’unica professione militarizzata!
Perché una tale ingiustificabile anomalia?
2) – La sentenza è punitiva.
Non vogliamo mettere in discussione il principio in base al quale chi perde una causa paga anche le spese legali degli avversari. Quello che è assolutamente fuori norma, e quindi inammissibile, è l’ammontare delle spese legali da liquidare agli avvocati della FNSI, della FIEG e della Presidenza del Consiglio: 40.000 euro! Pari a oltre 13.000 euro per ognuno degli avvocati dei tre soggetti citati.
E’ quindi legittimo pensare che si tratti di una vera e propria intimidazione contro i 21 temerari che hanno osato sfidare i poteri forti dell’editoria giornalistica. Il messaggio è forte e chiaro: “Non osate farlo più!”.
L’altro messaggio, altrettanto forte e chiaro è il seguente: solo chi è ricco può intraprendere un’azione giudiziaria, chi non ha i mezzi invece stia zitto e pieghi la testa.
Ci chiediamo sbalorditi come possa la FNSI permettere un tale scempio
Stando così le cose, invochiamo ad alta voce la solidarietà e l’intervento attivo della giornalista Laura Boldrini – che in qualità di presidente della Camera anche in tempi recenti si è dimostrata sollecita sui temi della libertà e dignità del giornalismo – e del giornalista suo portavoce Roberto Natale: che in qualità di ex presidente della stessa FNSI può certamente contribuire a far ragionare in modo non punitivo e vendicativo l’attuale sua dirigenza.
Chiediamo inoltre a tutti i colleghi, Boldrini e Natale compresi, di dare un contributo in danaro per poter pagare quei 40 mila euro. Il contributo va versato sul conto corrente avente le seguenti coordinate bancarie:
- IBAN IT10B0311101603000000000413
- UBI Banca, sede di Milano
- Causale: Per i 21 ricorrenti
- Intestatario: Senza Bavaglio – Centro Studi per il Giornalismo.
Grazie.
Pino Nicotri
(Senza Bavaglio)

CON PREGHIERA DI CONTRIBUIRE CON UN’OFFERTA LIBERA – http://www.senzabavaglio.info/2017/12/03/il-giornalismo-muore-mentre-il-sindacato-si-autocelebra-basteranno-i-21-coraggiosi/

http://www.senzabavaglio.info/2017/12/03/il-giornalismo-muore-mentre-il-sindacato-si-autocelebra-basteranno-i-21-coraggiosi/

Il giornalismo muore mentre il sindacato si autocelebra. Basteranno i 21 coraggiosi?
Senza Bavaglio
3 dicembre 2017

Ecco il comunicato stampa divulgato dalla FNSI dopo l’intervento del Senatore Maurizio Gasparri che trovate qui:

http://www.senzabavaglio.info/2017/11/29/gasparri-interviene-sulla-sentenza-che-ci-da-torto/

«È singolare che il senatore Maurizio Gasparri finga di non conoscere una regola basilare dello Stato di diritto, quella secondo la quale tutti possono agire liberamente in giudizio salvo poi pagare le spese in caso di soccombenza. Il caso che tanto appassiona il senatore Gasparri non fa eccezione. È legittimo che una sparuta minoranza di giornalisti abbia cercato di far annullare in giudizio un contratto nazionale di lavoro che, potrà piacere o no, è stato approvato da una larghissima maggioranza di giornalisti. Quello che non è accettabile è che, adesso, chi ha visto respingersi il ricorso pretenda che la FNSI, dopo essere stata trascinata in giudizio ed esserne uscita a testa alta, si accolli anche le spese legali di chi ha promosso il ricorso. Il senatore Gasparri è libero di farsi paladino di tutte le cause perse, ma non può dare lezioni di democrazia a nessuno, tantomeno alla FNSI».

Perfetto. Ecco la differenza tra noi e i dirigenti della FNSI. Pochi giorni prima di perdere la causa per abolire un contratto scellerato, noi abbiamo vinto una causa e sterilizzato uno statuto della Lombarda, fatto passare – secondo i giudici, non secondo noi – con metodi non regolari. L’Associazione Lombarda dei Giornalisti è stata condannata a pagare le spese legali, ma noi ci siamo ben guardarti da chiedere il denaro. Sono soldi dei colleghi e per noi sono sacri. Certo non imploriamo elemosine dalla FNSI ma siccome le spese cui siamo stati condannati sono ingenti, oltre che assurde, annunciamo già che solo qualcuno di noi andrà in appello.

Il sindacato critica i politici per le querele temerarie, fa finta però di non rendersi contro che 40 mila euro chiesti a colleghi (alcuni dei quali guadagnano 2000 euro all’anno) sono una cifra iperbolica. Cioè una condanna emessa per intimidire, cioè per ingiungere: “Se vi azzardate a toccare il manovratore rimarrete fulminati. Sudditi screanzati: non osate sfidare il potere del re”.

Ma se ci siamo rivolti ai giudici è perché siamo sicuri di aver subìto un torto. E lo dimostra la dichiarazione avventata e altezzosa del comunicato della FNSI, secondo cui il contratto “è stato approvato da una larghissima maggioranza di giornalisti”.

Bene. Sapete quali erano le regole stabilite dai dirigenti del sindacato? Il referendum sarebbe stato valido solo se avesse votato il 50 per cento più uno degli iscritti. Ridicolo, quando si sa che alle elezioni vota solo il 10/15 per cento degli aventi diritto.

Ma non solo. Ammessi al voto anche i colleghi della RAI ai quali non si applica il contratto FNSI/FIEG. Infatti i giornalisti dell’ex servizio pubblico hanno, per esempio, diritto all’indennità ex fissa che il contratto ha abolito per tutti gli altri. Senza contare che i giornalisti della Rai non saranno mai licenziati, quelli delle aziende “normali” rischiano invece il posto ogni giorno.

Quello che stupisce è la determinazione con cui la FNSI difende un contratto che favorisce gli editori e penalizza i giornalisti. Il sindacato parla di perdita di posti di lavoro e di distruzione di quel tessuto sociale che per anni ha garantito una straordinaria difesa dell’indipendenza e dell’autonomia del giornalismo italiano.

Ma non riconosce l’errore storico di aver firmato nel 2014 quel contratto che ha permesso tutto questo. Siamo pronti a un confronto pubblico con chi sostiene che quello in vigore sia un buon contratto che ha garantito maggiori spazi di informazione e posti di lavoro a volontà.

Per capire lo sfacelo che ha investito l’informazione basta leggere il documento di quello che ha caparbiamente voluto questo contratto, l’allora segretario Franco Siddi, il sindacalista che sta concludendo la sua carriera nel consiglio d’amministrazione della RAI.

http://www.senzabavaglio.info/2017/10/26/ecco-cosa-diceva-franco-siddi-nel-2009-sul-contratto-ora-siede-nel-cda-della-rai/

Se fossero seri e veramente interessati a difendere i giornalisti, i dirigenti della FNSI avrebbero dovuto ringraziare i colleghi che hanno fatto causa. Li avrebbero tratti d’impiccio da un errore clamoroso, il contratto appunto, fatto dai loro predecessori. Avrebbero dovuto dire: “Speriamo che i giudici vi diano ragione perché il contratto attuale è una porcheria”. Invece no. Si ostinano a sostenere che in fondo è un bel contratto. Vadano a dirlo ai colleghi ex RCS, della Mondadori, del Messaggero, della Domus, dell’Universo e di tante altre grandi case editrici, che hanno perso il posto di lavoro, alle decine di prepensionati, ai giornalisti delle piccole testate chiuse lasciati a spasso, a quelli che hanno dovuto cambiare lavoro perché con il giornalismo non vivono più, ai freelance sottopagati, a quanti hanno visto tagliati i loro compensi da editori incapaci. Si tratta di centinaia di colleghi.

A ringraziare questo sindacato sono i manager che hanno ricevuto bonus favolosi per aver svolto un compito inumano: tagliare i posti di lavoro e lasciare centinaia di famiglie sul lastrico.

E quegli editori che nonostante non avessero i bilanci in rosso hanno potuto cacciare i giornalisti.

Mentre la dirigenza sindacale si autocelebra, il giornalismo muore, i posti di lavoro vengono erosi, i giornali sono illeggibili e settori trainanti come gli esteri sono stati abbandonati.

E che il sindacato sia allo sbando e viva ormai fuori dalla realtà, lo dimostra l’atteggiamento preso sulla vertenza legale che lo oppone a 21 coraggiosi colleghi.

E’ singolare, diciamo noi, non che Gasparri abbia sollevato critiche alla FNSI ma che il sindacato unico dei giornalisti non si sia accorto di quanto abnorme sia l’ammontare delle spese legali che i 21 giornalisti sono stati condannati a pagare. Qui non si discute sul fatto che chi perde, se condannato a pagare le spese legali, deve saldare il conto. Quello che è assolutamente fuori norma è l’ammontare, 40.000 euro in totale. Chiaramente un’intimidazione contro questi 21 coraggiosi colleghi che hanno osato sfidare i poteri forti. “Lesa maestà”, potremmo dire, e un monito: “Non fatelo mai più”.

Un monito rafforzato dalla reazione rabbiosa dei legali FIEG (comprensibile, visto il ruolo) e sorprendentemente determinata di quelli della FNSI. Come dire: “Giù la testa. E con la vostra, anche la testa dell’informazione seria che deve essere orientata, a forza, verso una libertà di stampa sempre più minuscola. Sempre più lontana dai suoi lettori”.

Tanto per la cronaca. Ormai lo sport più in voga tra i dirigenti delle Istituzioni dei giornalisti è quello di disattendere Statuti e leggi e di interpretare le norme a vantaggio personale, quindi non resta che rivolgersi ai giudici sperando appunto di ristabilire giustizia. Ecco perché abbiamo fatto causa a Milano (e abbiamo vinto) e a Roma (e abbiamo perso). Le sentenze le trovate qui:

La sentenza dei giudici di Milano che ci dà ragione:

http://www.senzabavaglio.info/2017/10/10/niente-modifiche-allo-statuto-il-tribunale-accoglie-il-ricorso-di-senza-bavaglio-contro-la-lombarda/

La sentenza dei giudici di Roma che ci dà torto:
http://www.senzabavaglio.info/2017/11/13/la-sentenza-dei-giudici-di-roma-che-ci-da-torto/

Credevamo che il sindacato dei giornalisti avesse tra i suoi compiti la difesa dello Stato di diritto. Forse i suoi capi non si sono accorti che la sentenza di Roma sancisce un principio aberrante: solo chi è ricco può intraprendere un’azione giudiziaria. Chi non ha i mezzi invece stia zitto e pieghi la testa. Il sindacato dei giornalisti – quello che parlava di schiena dritta, vi ricordate? – non esiste più: davanti ai poteri forti non si deve reagire. Invece noi abbiamo un vizio: reagiamo alla prepotenza e all’arroganza. Scusate siamo fatti così: noi siamo giornalisti!

Senza Bavaglio

Noi continuiamo a lottare per tutti i giornalisti e per difendere i diritti calpestati.

Se volete aiutarci a sostenere i costi legali della battaglia comune

potete versare il vostro contributo sul conto intestato a:

Senza Bavaglio – Centro studi per il giornalismo

UBI Banca, sede di Milano

IBAN IT10B0311101603000000000413

RICEVO DAL MIO AMICO ROM MUSICISTA, MUSICOLOGO E DIRETTORE D’ORCHESTRA ALEXIAN SANTINO SPINELLI IL SEGUENTE COMUNICATO CHE PUBBLICO VOLENTIERI

RICEVO DAL MIO AMICO MUSICISTA, MUSICOLOGO E DIRETTORE D’ORCHESTRA ALEXIAN SANTINO SPINELLI ( https://it.wikipedia.org/wiki/Santino_Spinelli ) IL SEGUENTE COMUNICATO CHE PUBBLICO VOLENTIERI:

Alexian Santino spinelli: La lettera aperta delle associazioni e delle federazioni rom e sinte italiane, rivolta alla cultura e alla politica, che ha preso spunto da un convegno organizzato dall’icismi presso l’università del Salento, ha suscitato reazioni inaspettate. Non vogliamo sopravvalutare l’importanza di un convegno disertato dalla politica e dal pubblico, ma neppure sottovalutare il fatto che nel corso del dibattito pubblico si è arrivati a definire attacchi fascisti quelli di chi, come Santino Spinelli, sui social, ha posto problemi di metodo e di sostanza. Basterebbe questo a squalificare il livello del dibattito e a interrompere qualunque tipo di interlocuzione. Ricordiamo, a chi non ha gusto per la memoria e il rispetto che le si deve, che la famiglia di Santino Spinelli, come quella di tanti rom e sinti italiani, ha subìto l’infame internamento nei lager italiani per rom e sinti organizzati dai fascisti dall’11 settembre del 1942. Ci auguriamo che la supponenza accademica ammetta l’ignoranza e soprattutto la vergogna.
Così come ci è parso supponente chiederci: “ Solo i rom possono parlare di “questioni rom”? E se si, quali rom sono legittimati a farlo?” perché la lettera aperta poneva il problema antico che ricerche, analisi, dibattiti, convegni che riguardano le comunità rom e sinte escludono, se non nella parte di comprimari e comunque sempre come oggetto e non come soggetto, il punto di vista che pure rom e sinti hanno sviluppato in questi anni, organizzandosi e misurandosi con i problemi della propria condizione.
Ma detto questo, ci interessa riprendere in un dibattito più ampio le considerazioni che proponevamo nella lettera aperta, aggiungendo alcune domande, non solo agli interlocutori del convegno di Lecce, ma come temi di una discussione aperta.
La prima. Dal dibattito in corso, anche a livello delle politiche sociali sul territorio, emerge un antico dilemma: gli “zingari” sono una “piaga sociale”, come teorizzato nel dopoguerra anche in Italia per giustificarne la persecuzione, oppure sono un popolo complesso e articolato con una storia, una cultura, una lingua e quindi con un’identità? Le politiche assistenziali degli ultimi trent’anni – dai campi istituzionali ai Centri di emergenza sociale – sono legate alla prima ipotesi. In questo modo il pregiudizio e la discriminazione sono frutto non della costante persecuzione di un popolo ma del disagio di fronte alle brutture delle condizioni materiali in cui è condannato proprio da quel pregiudizio e da quella discriminazione. Quando si dice che il problema riguarda solo le “poche” migliaia di rom e sinti che vivono nei campi, avendo sempre come modello i lager romani e non altre ben diverse situazioni in giro per tutta l’Italia, si cerca la scorciatoia per eludere proprio il tema dell’antiziganismo che pervade la società, in Italia come in tutta Europa (e non a caso il tema qui arriva dopo che anche a livello istituzionale è stato posto dalla Comunità europea) e per non affrontare del riconoscimento storico-culturale della minoranza rom e sinta anche come modo per eliminare la discriminazione istituzionale.
La seconda domanda. In questo Paese esiste una vera ricchezza: la capacità di infiniti soggetti di organizzarsi in forme associative per rappresentare propri punti di vista e interessi e nessuno mette in discussione questo loro diritto che si trasforma poi, giustamente, in quello di essere ascoltati come interlocutori di un dato interesse. Perché rom e sinti dovrebbero lasciare questo diritto ad altri soggetti che, guarda caso, di norma sono soggetti che hanno come attività propria l’ “assistenza” delle comunità rom e sinte? Mafia Capitale, lo diciamo brutalmente, era solo l’aspetto criminale, di un sistema fondato sull’assistenza nel quale i vantaggi economici e politici erano tutti degli “assistenti” e nessuno degli “assistiti.
Se uno più uno fa due, allora la condizione di “emergenza sociale” indotta è funzionale a sostenere un sistema che negli ultimi decenni ha prodotto danni sociali e culturali spaventosi nelle comunità rom e sinte. Crediamo che quindi si possa capire una certa riluttanza a considerare nostri interpreti o addirittura portavoce questi soggetti. Lo diciamo senza disprezzare il ruolo caritatevole che in molte situazioni riempie un vuoto e una disperazione e neppure il contributo che possono dare a disvelare una condizione umana insostenibile. Ma la carità non basta e a volte può essere pelosa.
Terza e ultima domanda. La risposta alla nostra lettera aperta si concludeva con l’augurio “che in seguito su queste questioni si possano trovare, con i firmatari della lettera aperta, il modo e le sedi per un confronto civile e sereno”. Lo stesso chiedevamo nella nostra lettera perché siamo ben consapevoli che nessun diritto di una minoranza può essere conquistato senza la consapevolezza sociale della sua legittimità ed è nostro interesse un dialogo e un confronto con la cultura e la politica di questo Paese. Però, lo chiediamo esplicitamente, siamo in grado veramente di aprire questo confronto riconoscendoci pari dignità di interlocuzione, il che significa senza pregiudizi o teorie preconfezionate o condizionate da ideologie?
Noi non siamo insetti per entomologi.
Nel 2010 all’università Bicocca di Milano si svolse un fondamentale convegno internazionale di tre giorni sulla condizione giuridica di rom e sinti in Italia. Con un orgoglio che era anche il segno della delusione per una esperienza purtroppo unica, nell’introduzione si diceva che per la prima volta un lavoro del genere era stato preparato in lunghi mesi di confronto con le comunità rom e sinti. E il risultato di quel lavoro fu una proposta per una legge organica per il riconoscimento della minoranza rom e sinta anche in Italia, proposta oggetto di una campagna delle associazioni rom e sinte e che è ora depositata in Parlamento. Ecco cosa intendiamo quando parliamo di partecipazione: un lavoro comune nel riconoscimento reciproco di ruoli e identità che porta a passi concreti. Crediamo che sia tempo di riprendere quella strada. Noi siamo pronti.

Alleanza Romanì, Federazione Federarte Rom, Federazione Rom e Sinti Insieme, Associazione Romano Glaso, Associazione nazionale Them Romanò, Associazione Nevo Drom, Associazione Sinti italiani Prato, Associazione Stay Human, Accademia europea d’arte romanì, Associazione FutuRom, Associazione Upre Roma, Cooperativa Romano Drom, Amici del beato Zefferino, Associazione Romano Krlo, Museo del viaggio Fabrizio De Andre, Associazione Liberi, Associazione Sucar Drom, Associazione Roma Onlus, Cooperativa Roma Roma e Assiciazione Sinti Project International