Senza Londra l’Europa sarà più tedesca?

L’Europa è già a guida tedesca dal crollo del muro di Berlino. E’ un fatto economico e di organizzazione. Il battibecco tra Renzi e Merkel è solo scena. Ecco i possibili scenari nel dopo Brexit. Punto sulle giunte formate dai nuovi sindaci. Intervista di Carla Signorile a Pierluigi Magnaschi, direttore di MF/MilanoFinanza e ItaliaOggi

 

Brexit: timori finanziari fondati o alibi per interventi eccezionali? Ovvero: una (altra) scusa per qualche (altra) fregatura?

Brexit: timori finanziari fondati o alibi per interventi eccezionali?

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Il risultato del referendum sulla Brexit avrà certamente un effetto profondo sull’economia britannica, sull’Unione europea e sul suo processo di integrazione.

Chi ci ha letto in passato sa che noi siamo sempre stati fautori di un’Europa forte, solidale e sovrana. Nondimeno ci sembra esagerata la reazione sia dei mercati che delle istituzioni finanziarie europee ed internazionali che paventano un nuovo sconquasso finanziario globale.

E’ come se l’emergenza Brexit serva a giustificare una probabile adozione di interventi eccezionali e a scaricare su di essa le conseguenze di una crisi già in atto, ma che oggettivamente non ha origine nell’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Ue.

Al riguardo è’ interessante notare che le grandi banche too big to fail americane ed internazionali, la Goldman Sachs, la JP Morgan, la Citibank, la Bank of America per nominarne alcune, sono state in prima fila, anche con notevoli donazioni in denaro, per sostenere la campagna “Remain”. Anche speculatori come George Soros sono scesi in campo contro la Brexit paventando cataclismi di ogni sorta.

La Federal Reserve ha deciso di lasciare i tassi fermi e ha annunciato che il costo del denaro salirà, ma più lentamente. L’incertezza sul referendum della Brexit “è uno dei fattori che ha pesato sulla decisione” di mantenere invariato il costo del denaro, ha affermato la governatrice Janet Yellen, sottolineando che un eventuale addio della Gran Bretagna all’Ue potrebbe avere ripercussioni sull’economia e sulla finanza globale. Dopo di che anche la Banca Centrale Europea ha affermato di essere pronta ad interventi di emergenza e in ogni caso di voler mantenere i suoi acquisti di asset finanziari pari a 80 miliardi di euro al mese fino a marzo 2017 e anche oltre, se fosse necessario.

Indubbiamente l’uscita dall’Ue avrà un grosso impatto in particolare per la City di Londra. Nella City operano circa 250 banche estere che in questo modo hanno un accesso diretto al mercato Ue. La City rappresenta circa il 10% del Pil britannico e contribuisce per il 12% a tutte le tasse raccolte dal governo. Essa è la prima esportatrice di servizi finanziari del mondo. Servizi che, per 20 miliardi di euro, vanno proprio verso l’Europa.

Una delle grandi preoccupazioni riguarda, per esempio, la sorte della Royal Bank of Scotland, che nel biennio 2014-15 ha accumulato perdite per oltre 7 miliardi di euro. Cosa succederebbe a questa banca in caso di un aggravamento della situazione inglese?

Secondo noi il nervosismo nella grande finanza riflette un profondo senso di incertezza e anche una vera e proprio paura di effetti a catena, simili a quelli non previsti e non voluti, della bancarotta della Lehman Brothers nel 2008.

L’ultimo bollettino della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea delinea andamenti finanziari e bancari che meritano una attenta disamina. Nell’ultimo trimestre del 2015 i crediti bancari transfrontalieri globali sono diminuiti di 651 miliardi di dollari, di cui 276 verso la zona euro. E’ una tendenza in crescita da tempo. La stessa cosa era avvenuta a seguito della crisi del 2008. E’ indubbiamente uno dei risultati della prolungata stagnazione economica mondiale.

E’ anche rilevante notare che il valore nozionale dei derivati otc è finalmente sceso di quasi 200.000 miliardi di dollari, da 700 mila di giugno 2014 ai circa 500 mila di fine 2015. E’ un fatto di indubbia positività.

Si tratta di cambiamenti necessari e ulteriormente auspicabili. Noi abbiamo sempre ribadito l’importanza di ‘prosciugare’ la palude dei derivati finanziari speculativi otc e di contenere le operazioni bancarie non produttive.

I dati della Bri sono di grandezze eccezionali, però richiedono un attento controllo e anche interventi precisi da parte delle autorità competenti. Se fossero soltanto il risultato di performance autonome dei mercati, allora dietro ai numeri potrebbero nascondersi ‘macerie’.

Sarebbe proprio come spesso accade dopo fenomeni alluvionali. Dopo una violenta inondazione si è tutti contenti di vedere che le acque si sono ritirate. Ma prima di permettere il ritorno delle famiglie evacuate o addirittura concedere dei permessi di costruzione è necessario che la Protezione Civile faccia un attento controllo del territorio per determinare se la catastrofe ha minato le fondamenta dei palazzi e la compattezza del terreno.

Di certo sono in atto profondi rivolgimenti nei settori finanziari e bancari per cui ogni evento, anche di portata minore, rischia di produrre conseguenze destabilizzanti. Con effetti sistemici!

*già sottosegretario all’Economia **economista

Magari la Gran Bretagna finisse a pezzi dopo il voto contro l’Unione Europea!

Che l’Europa sia una realtà inventata dalla Chiesa spaccando l’unità con l’Oriente e da questa fatta imporre con le armi di Carlo Magno è cosa che ho detto e ripetuto più volte, per esempio in http://www.pinonicotri.it/2008/10/ancora-sta-storia-delle-radici-cristiane-ma-in-italia-e-in-europa-ce-ne-sono-varie-altre-e-se-non-vogliamo-la-catastrofe-e-bene-tenerne-conto-ora-che-non-solo-la-cina-e-vicina-e-gli-usa-un-p/ . Del resto la stessa parola Europa è stata usata politicamente per la prima volta da uomini di Chiesa. Alla fine del VI secolo fu l’abate irlandese San Colombano, il fondatore dell’abbazia di Bobbio, a citarlo – “tutus Europae” – in una lettera a papa Gregorio Magno. Poi il  monaco Isidoro Pacensis usò il termine “europei” per indicare i soldati di Carlo Martello che avevano combattuto a Poitiers: “prospiciunt Europenses Arabum tentoria, nescientes cuncta esse pervacua”. E tralasciamo la truffa che da sempre afferma che a Poitiers si combatte contro gli arabi cioè contro gli islamici, quando invece si combattè contro un’orda di pastori baschi. Uno dei miti fondanti dell’identità europea è quindi anch’esso una truffa. Ovviamente. A partire dall’Orlando furioso….

Ho anche scritto più volte che le tradizioni e le radici “pagane”  tranciate con la spada, col fuoco  e col sangue da Carlo Magno in poi hanno sempre teso a riemergere qua e là nonostante tutto. E ho spesso aggiunto che senza la civiltà arabo islamica e le invenzioni, scienze e culture che essa ci ha veicolato l’Europa non sarebbe diventata quello che è diventata. Logico quindi che a furia di negare la realtà storica e di voler mantenere la frattura con l’Oriente e gli Orienti si rischia che l’Europa subisca un tracollo epocale.

E’ inoltre noto che l’Inghilterra, nonostante il ruolo di San Colombano nell’edificare la coscienza dell’Europa,  ha sempre combattuto contro la possibilità che nel Vecchio Continente dopo il Sacro Romano Impero si potesse realizzare un potere egemone che lo riunificasse.

Tutto ciò premesso, non sarebbe male che la Gran Bretagna finisse travolta dal suo orgoglio ebete e guerriero espresso col voto che vuole a maggioranza l’uscita dall’Unione Europea, vale a dire la vittoria del Brexit contro il Remain. Gli inglesi se ne stanno già pentendo velocemente, le firme per un nuovo referendum sono già a quota tre milioni, ma la possibilità che Scozia, Irlanda tutta e la stessa Londra mandino in malora l’unione con il Regno Unito e le preferiscano invece l’unione con l’Europa è francamente uno scenario elettrizzante. Compreso il togliersi dai piedi la ridicola e costosissima famiglia reale capeggiata da Elisabetta e dal suo incartapecorito marito Filippo e stagionato figlio Carlo somigliante a un wuerstel. Ahhh, magari togliersi dai piedi  anche i “fascinosi” nipoti e annesse “fascinose” consorti, tutta gente più adatta a riviste specializzate in gossip che a gestire un moderno Paese europeo. I filmati dei festeggiamenti per i 90 anni della regina fanno morir dal ridere per il ridicolo, a partire dal 92enne Filippo esibito con un altissimo colbacco fissato marzialmente alla gola  come un Dragone o un Ussaro in procinto di guidare un assalto di cavalleria anziché essere scarrozzato nell’augusta auto scoperta usata per le esibizioni dei sovrani al popolo, che dovrebbe essere il vero sovrano.

L’Inghilterra punta tanto per cambiare alla disgregazione dell’Europa, con il seguito di inevitabili guerre. Grazie alle quali poter ancora esercitare il suo potere più o meno arbitrale non solo sul Vecchio Continente. Gli inglesi che vivono nella muffa e nella naftalina e che applaudono entusiasti la famiglia reale non si sono ancora resi conto che dalla fine della seconda guerra mondiale il mondo è piuttosto cambiato. Un amaro risveglio non sarebbe male.

Trasformismo, malattia del giornalismo anche “de sinistra”

Pubblico volentieri questo articolo della “lepre marzolina” comparso su http://www.criticaliberale.it/news/235604

VOLTA&GABBANA: repubblica cambia fronte
la lepre marzolina

Nell’ultimo mese ha fatto propaganda scatenata contro il M5S e a favore di Renzi. Scavalcando persino ”l’Unità”, che perlomeno notizie false non le ha spacciate. Si è scomodato anche il Fondatore che è arrivato a paragonare il presidente del consiglio a Giovanni Giolitti. E ha esaltato il renziano “carisma”, e si è convertito pubblicamente al “comando di un uomo solo”. Dietro di lui, con affanno e deferenza, i poveri redattori…“L’editore lo vole!”. A rileggere le loro previsioni e le loro piaggerie col senno di poi si potrebbe comporre un regesto corposo del conformismo e del servilismo giornalistico italiano.
Poi gli elettori votano.
Spingiamo il pulsante del cronometro: quanto ci metterà “Repubblica” a voltare gabbana? Poche ore. Dai piani alti, un immaginario altoparlante tuona: “fuori Merlo, si prepari Concita de Gregorio”. E infatti oggi martedì ecco l’editoriale in prima e ben due paginate a seguire, con un concerto di violino e orchestra a favore delle due neo-sindache. Concita si industria come può a rappresentare un’ala del nuovo corso (almeno per alcuni mesi sicuramente cerchiobottista), ma non esita a togliersi qualche sassolino dalla scarpa : «Come Madrid e Barcellona in Spagna, così Roma e Torino in Italia. Là due donne sindaco elette con Podemos, qui coi Cinquestelle. In entrambi i casi: la capitale, la città simbolo del lavoro. Quattro donne cresciute nel contrasto alla classe politica dominante, di governo o di opposizione, guidano oggi le prime città dei due Paesi europei. Le analisi di quel che sta cambiando (che è già cambiato da tempo) lasciamole ad altri: non sempre e non tutti hanno avuto il dono della preveggenza. Restiamo piuttosto ai fatti, riprendiamo da dove eravamo rimasti due settimane fa. «Vorrei parlare di Virginia Raggi e Chiara Appendino », dicevo. «Di cosa stiamo parlando? », ha replicato su questo giornale qualcuno, molto vicino all’ex sindaco di Torino. Risposta: dei nuovi sindaci».
E’ cominciata la guerra.

P.S.: Vi preghiamo di segnalare a info@criticaliberale.it tutti di casi di trasformismo, di nuova piaggeria e cialtronaggine di cui saremo invasi nei prossimi mesi.

{ Pubblicato il: 21.06.2016 }

Hilary Clinton lo definisce non a caso “La nostra NATO economica”: la strategia del silenzio e della non informazione per far passare il trattato TTIP, che con la scusa del libero scambio ci rende di fatto colonia anche agroalimentare degli USA

TTIP: chi difende l’interesse dell’Europa?

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Si sta facendo di tutto affinché in Europa la stessa politica e la società civile non siano in grado di esprimere in modo sovrano e pacato un giudizio consapevole sul Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), il Trattato di libero scambio tra Stati Uniti e Unione Europea in cantiere da ben tre anni. Da una parte è stata imposta una peculiare quanto ingiustificata ed intollerabile segretezza sui documenti, sulle procedure e sul contenuto del Trattato. Dall’altra, avendo radicalizzato l’argomento e avendolo portato nelle piazze con forti dimostrazioni, a volte anche provocatoriamente degenerate in scontri, si tenta di etichettare come “facinoroso” chiunque chiede chiarezza e vuole esprimere la sua democratica opposizione.

Eppure, dal poco che è trapelato, il TTIP potrebbe avere un impatto profondo, per alcuni anche devastante, sulle nostre produzioni, soprattutto, ma non solo, nel settore agricolo ed agroalimentare, sul nostro sistema sociale di mercato e sul nostro commercio. I promotori vorrebbero la sua ratifica prima della scadenza della presidenza Obama, che ne è stato uno dei grandi promotori. Hilary Clinton lo ha già definito la nostra ‘Nato economica’. Alcuni parlamentari tedeschi hanno recentemente chiesto di visionare i documenti presso il Ministero dell’Economia di Berlino. Ne hanno fatto un resoconto desolante. Si possono leggere alcuni documenti solo sul computer in una stanza controllata, per poche ore senza consultazioni con altri e senza prendere appunti. Del materiale letto non se ne può neanche parlare pubblicamente.

E’ grave che il commissario europeo per il Commercio, Cecilia Malmström, sostenga che la stesura del trattato non sia di competenza dei parlamenti nazionali. L’obiettivo del TTIP sarebbe la creazione della più grande zona di libero scambio commerciale del pianeta, con circa 800 milioni di consumatori. Questa rappresenterebbe quasi la metà del Pil mondiale e un terzo del commercio globale. L’Ue è la principale economia e il maggior mercato del mondo. In gioco, quindi, ci sono enormi interessi economici. Ma in gioco c’è anche il futuro delle relazioni politiche internazionali. Non si tratta di mettere in discussione il rapporto di amicizia con gli Stati Uniti, ma la mancanza di trasparenza fa dubitare della bontà dell’accordo. Gli interrogativi che i cittadini e gli operatori economici, non solo italiani, si pongono sono tanti. Gli Usa usano gli ogm in agricoltura. Sarà anche l’Europa costretta a introdurli nelle sue coltivazioni? L’Italia ha 280 prodotti a denominazione d’origine protetta. E’ il numero più grande in Europa. Gli Usa li rispetteranno oppure avremo il ‘parmisan della Virginia’ o il ‘san danny del Minnesota’? Eventualmente venduti anche nei nostri mercati?

Molti, anche negli Stai Uniti, credono che uno dei principali pericoli del TTIP sia la possibilità che investitori privati possano iniziare procedimenti legali e querele milionarie contro gli Stati in tribunali internazionali d’arbitraggio. L’intenzione positiva di proteggere l’interesse pubblico potrebbe essere interpretata dalle multinazionali come una “limitazione dei profitti degli investitori stranieri”, un ostacolo al business e alla libera concorrenza. E’ molto importante notare che questa è anche la maggior preoccupazione della London School of Economics che punta appunto il dito sulle camere arbitrali, i tribunati istituiti dal Trattato. Nel suo studio l’istituto inglese cita come esempio una serie di querele passate, come quelle della Phillips Morris contro l’Uruguay e l’Australia per aver lanciato delle campagne contro il fumo.

In Europa si sentono voci di grande preoccupazione, anche se ancora espresse troppo sottovoce. Il governo francese afferma che dirà un forte no se il Trattato dovesse mettere in discussione la struttura della sua agricoltura. Ci si augura che l’Italia non si dica soddisfatta di qualche generica garanzia di rispetto del nostro ‘made in italy’. Per il sistema agroalimentare italiano, a partire da quello del Sud, il Trattato sarebbe esiziale. La geopolitica e il business tout court non possono mortificare le prerogative democratiche e indisponibili dei popoli e dei loro parlamenti, a partire dal diritto alla conoscenza.

*già sottosegretario all’Economia **economista

Gli USA, in buona parte parassiti del mondo

 

Gli Usa vivono in gran parte sulle spalle del resto del mondo

Mario Lettieri * e Paolo Raimondi**

Anche negli Usa non è tutto oro quello che luccica. Nel mondo non è adeguata l’attenzione all’andamento del debito degli Stati Uniti. La realtà è che esso, insieme ad altri indicatori economici, segna rosso costante.

E’ come per le automobili, quando il cruscotto segnala un problema, anche se la macchina ancora cammina non è consigliabile continuare a guidare come se nulla fosse.

E’ un dato inoppugnabile che ciò che avviene negli Usa non riguarda solo gli americani perché esso riverbera i suoi effetti nel resto del mondo.

All’inizio del 2016 il debito pubblico federale americano ha raggiunto i 19.200 miliardi di dollari, pari a circa il 105% del Pil. Alla fine del 2007 era di 9.200 miliardi pari al 65% del Prodotto interno lordo. Nel 2000 era di 5.600 miliardi. In pratica si è più che triplicato. Perciò per il sistema americano è il suo tasso di crescita, o meglio, di accelerazione della sua crescita esponenziale che deve preoccupare maggiormente.

Lo stesso andamento si è avuto per il debito delle corporation private non finanziarie che oggi è pari a 6.600 miliardi di dollari. Era di 3.300 miliardi nel 2007ed è raddoppiato.

Di conseguenza non ci si deve stupire dell’attuale stratosferica cifra di quasi 64.000 miliardi di debito totale (governo federale, singoli stati, enti locali, business, famiglie e ipoteche). Era di 28.600 miliardi nel 2000. Si sottolinea che oggi è evidente che è più che raddoppiato.

In pratica si tratta in gran parte di “debito sporco”. Fatto per tappare i buchi di bilancio, per evitare i fallimenti di banche e corporation e non per sostenere investimenti e sviluppo. La spia rivelatrice è il perenne deficit di bilancio degli Usa. Nel 2009 esso aveva raggiunto l’incredibile vetta di 1.413 miliardi di dollari portando gli Usa fino alla soglia della bancarotta. Anche il 2015 si è chiuso con un deficit di 438 miliardi.

Significativo quanto preoccupante è il crollo della bilancia commerciale. Dal 2000 ad oggi gli Usa hanno accumulato un deficit commerciale di oltre 8.630 miliardi di dollari. Dallo scoppio della crisi ad oggi è aumentato di ben 3.500 miliardi. Sarebbe ancora peggiore se si considerasse soltanto la bilancia commerciare di beni reali che dal 2000 è in negativo per oltre 10.500 miliardi. Quasi 4.700 miliardi a partire dal 2009.

E’ evidente che l’avanzo commerciale nel settore dei servizi ne attenua la portata. Anche se nei servizi convivono quelli dell’ingegneristica e quelli finanziari, dove la componente speculativa è notevole.

E’ quindi naturale chiedersi come facciano gli Usa a continuare a stampare e a spendere dollari quando l’economia sottostante,come visto, non è tanto solida.

Il tutto sembra molto simile al gioco delle tre carte.

La prima è sicuramente il Quantitative easing, cioè la decisione a suo tempo adottata dalla Federal Reserve di immettere nuova liquidità nel sistema.

L’effetto è ben visibile nella crescita straordinaria del bilancio della Fed che è passato da 860 miliardi di dollari del 2007 ai circa 4.500 miliardi di oggi. La decisione della Fed e del governo di Washington anche se ha una valenza monetaria è soprattutto politica. Secondo noi la situazione non può durare all’infinito. I nodi prima o poi verranno al pettine.

La seconda carta è il debito pubblico americano, finora largamente scaricato sulle ‘spalle’ del resto del mondo che, in verità, per varie ragioni ha assecondato tale tendenza.

Infatti circa 6.000 miliardi di dollari di obbligazione del Tesoro Usa sono in mani straniere. La Cina da sola ne ha 1250 miliardi ed il Giappone ne possiede ben 1.133 miliardi. La Fed ha in bilancio T-bond fino a 2.500 miliardi.

La terza carta si chiama derivati otc (over the counter), cioè quelli trattati al di fuori dei mercati regolamentati e tenuti fuori dai bilanci. Si sottolinea che, a seguito del tasso di interesse zero, il’ammontare complessivo di tali derivati a livello mondiale è sceso a 500.00 miliardi di dollari. Però di questi ben 180 mila sono nella banche americane. Come è noto, i derivati sono un mezzo per generare nuova liquidità quando se ne ha bisogno. Sono titoli creati attraverso una forte leva finanziaria e con alti rischi. Possono anche essere messi in garanzia per ottenere dei prestiti veri dalla Fed o dalla Bce.

Fin tanto che gli Usa riescono a scaricare il proprio debito sul resto del mondo e sui propri cittadini avranno mano libera per creare la liquidità necessaria per continuare a comprare a debito e finanziare spese di ogni tipo prescindendo, purtroppo, dalla loro effettiva capacità economica e finanziaria.

*già sottosegretario all’Economia **economista

Cassius Clay Mohamed Alì ci ha lasciato: è stato un grande campione anche dei diritti civili e del rifiuto della guerra

http://www.repubblica.it/sport/vari/2016/06/04/news/morto_muhammad_ali_la_leggenda_del_pugilato-141246310/ http://video.repubblica.it/dossier/addio-a-muhammad-ali/muhammad-ali-il-rifiuto-alla-guerra-in-vietnam-loro-non-mi-hanno-chiamato-negro/241933/241933?ref=tbl http://video.repubblica.it/dossier/addio-a-muhammad-ali/muhammad-ali-audisio–senza-di-lui-non-ci-sarebbe-stato-obama-alla-casa-bianca/241931/241931 http://video.repubblica.it/dossier/addio-a-muhammad-ali/muhammad-ali-ad-atlanta-1996-emoziono-il-mondo-fu-l-ultimo-tedoforo/241928/241928 http://video.repubblica.it/dossier/addio-a-muhammad-ali/ali-vs-foreman-il-celebre-combattimento-del-1974/241927/241943 http://video.repubblica.it/dossier/addio-a-muhammad-ali/muhammad-ali-vs-stallone-la-gag-alla-cerimonia-degli-oscar/241941 http://video.repubblica.it/dossier/addio-a-muhammad-ali/addio-a-muhammad-ali-benvenuti-quando-era-cassius-clay/241927/241941