Samarcanda. E non solo….

La prima cosa che colpisce arrivando in Uzbekistan, Paese musulmano ma repubblica laica, è che le donne non portano il velo. E hanno gli stessi diritti degli uomini. Pensandoci bene, non lo portano in nessun Paese musulmano dell’ex Unione Sovietica, mentre lo portano invece in tutti i Paesi islamici che hanno patito la colonizzazione europea. Nei Paesi musulmani dell’ex Unione Sovietica il fondamentalismo non attecchisce, tanto meno le sue  diramazioni eversivo terroristiche,, e se fa capolino viene combattuto rapidamente, senza se e senza ma, come è avvenuto proprio in Uzbekistan. Tutto ciò è l’ennesima prova che a spingere i musulmani verso un’interpretazione restrittiva, e a volte fanatica, della loro religione è solo la reazione al violento dominio subìto sotto il tallone europeo e quindi cristiano. Una reazione rinfocolata dalle troppe umiliazioni inflitte ancora oggi dall’Occidente neocolonialista, Stati Uniti in testa, che spinge scientemente quei Paesi verso il fanatismo religioso per poter meglio mobilitare le proprie opinioni pubbliche a favore del duro confronto col mondo islamico. Confronto che rischia di diventare scontro: “scontro di civiltà”, anche se a ben vedere lo vogliono le reciproche inciviltà…

La repubblica uzbeka è tanto laica da avere affittato agli Usa una grande base militare con annesso aeroporto dal quale partivano gli aerei per andare a bombardare il confinante Afganistan, musulmano anch’esso ma assai più retrivo. Poi però la repubblica uzbeka gli americani li ha sfrattati, forse percheé ha capito la reale strategia degli Usa: il solito vecchio “divide et impera” applicato all’Asia centrale. Uno sfratto che è un lusso reso possibile dal  fatto che l’Uzbekistan è talmente ricco di gas, avviato anche in Europa via Russia, da non avere bisogno di entrate straordinarie che alla lunga creano più problemi di quanti ne risolvano.

L’Uzbekistan, dunque. E dove si trova? Ma è civile come noi o è fermo al Medioevo? Me lo hanno chiesto in molti la prima volta che ci sono stato, nel maggio 2010, e ora al ritorno dal mio secondo viaggio. L’Uzbekistan si trova a nord dell’Afganistan e dell’India, a occidente della Cina, a sud della Russia, a est dell’Iran. Nel crogiuolo di una infinità di etnie dell’Asia Centrale, oltre 160 nel solo Uzbekistan, è stato Stalin a ordinare a un gruppo di storici sovietici di stabilire quanti Stati creare e da quali etnie avrebbero dovuto ricevere il nome. Le genti che usavano definirsi solo col nome e la cultura delle città di nascita e che vivevano nelle città  oggi dell’Uzbekistan vennero così chiamati in blocco uzbeki.  Idem per il Tagikistan con i tagiki, il Kazakistan con i kazaki e le altre repubbliche  oggi ex sovietiche con altre etnie dell’Asia Centrale.

Questa volta ero indeciso se tornarci per rivedere soprattutto Samarcanda o tornare in Iran per rivedere soprattutto  Isfahan, luogo di incantevole bellezza con la piazza principale semplicemente clamorosa.  Ho deciso per la prima meta, perché le due persone che mi hanno accompagnato temevano che l’Iran venisse bombardato da Israele proprio durante la nostra visita.

Da un bel pezzo non faccio viaggi “turistici”, quanto invece viaggi per vedere il mondo e cercare di capire. Cosa? Non lo so, di preciso. Ma più vedo “gli altri”, più capisco di “noi” e quindi almeno in parte di me stesso. In particolare, capisco quante balle, silenzi e omissioni ci propinano non solo le propagande, ma anche i libri di Storia. Le città dell’attuale Uzbekistan erano il crocevia della Via della Seta e della Via delle Spezie, che nel corso di oltre 20 secoli hanno alimentato l’Europa non solo di odori, sapori e di merci di lusso, ma anche di sapere scientifico e pratico veicolato da mercanti, viaggiatori, conquistatori, conquistati, libri e traduzioni. Ancora ai nostri giorni l’ex Segretario di Stato Usa Henry Kissinger ha detto chiaro e tondo che chi controlla l’Asia Centrale si assicura un vantaggio enorme perché oltre a essere ricca di minerali e altre risorse è la culla del nostro sapere scientifico. Non è certo un caso se gli Usa con la scusa della “guerra al terrorismo” hanno trasformato la tragedia delle Twin Towers in occasione per piazzare basi militari proprio in Asia Centrale. Due piccioni con una fava, dove il secondo piccione consiste nell’avere basi militari a ridosso dei colossi Russia e soprattutto Cina. Che col suo impetuoso sviluppo economico e con la sua potenza militare non più trascurabile rende attuale, mutatis  mutandis, il titolo del vecchio film “La Cina è vicina”.

Scesi dall’aereo a Urgench, sul pulmino che ci porta a Khiva la guida Baodir,, un giovane uzbeko che parla benissimo l’italiano, il francese e l’inglese, ci spiega che “questa è la terra una volta chiamata Sogdiana”. E così mi viene subito in mente Alessandro Magno, che passò di qui, volle far sposare – pare a Samarcanda – i suoi ufficiali con donne locali nel tentativo di fondere la civiltà greca con quella orientale, e infine proseguì per l’India. “La Sogdiana è stata poi chiamata anche Khorezm o Corasmia”, spiega Boadir. A sentire nominare Khorezm mi si rizzano subito le orecchie. Sto per chiedere dove è nato esattamente il matematico Al Khwarizmi, vissuto più o meno tra il 780 e l’840, al cui nome, dovuto all’essere nato proprio a Khorezm,  dobbiamo il vocabolo “algoritmo” e alla cui persona dobbiamo l’algebra e molto altro ancora. Per molti versi gli dobbiamo anche la conoscenza dei numeri “arabi”, in realtà indiani, che usiamo ancora oggi e senza i quali non avremmo potuto avere il progresso scientifico e industriale fonte del nostro progresso e benessere. Con i numeri romani e senza il numero zero infatti l’algebra, le equazioni e quant’altro non sarebbero mai stati possibili. Non faccio però in tempo a porre la domanda che Baodir  mi precede: “La città dove stiamo andando e passerete la prima notte si chiama Khiva, è c’è nato il matematico Al Kuvarizmi, al quale dobbiamo sia l’algebra che il termine algoritmo….”. Sono sorpreso.

E sono ancora più sorpreso quando arriviamo a Khiva: oltre a essere una piccola città rimasta intatta com’era nell’antichità, comprese le  mura ricoperte di fango esiccato dalle curiose protuberanze tronco coniche, Khiva vicino l’ingresso della sua porta principale ha un bel monumento in bronzo che ritrae proprio Al Khwarizmi, parole che significano “Il Corasmiano” essendo nato nella Corasmia. Il suo nome intero è Abu Ja’ far Muhammad ibn Musa Al-Khwarizmi e visse a Bagdad alla corte del califfo Al-Mamun, che per fortuna dell’umanità intera lo nominò responsabile della biblioteca, degna di quella di Alessandria distrutta dai fanatici aizzati dal vescovo Cirillo, lo stesso che fece assassinare Ipazia, la donne che aveva osato diventare grane matematica.  Al Khwarizmi è il padre, in quanto suo sistematizzatore e divulgatore, dell’algebra (già nota per certi versi a Diofanto, ma poi dimenticata), parola che deriva dal titolo del suo libro “Al-Kitāb al-mukhtaṣar fī ḥisāb al-gabr wa-al-muqābala”, vale a dire Compendio sul calcolo per ricomposizione e bilanciamento. Da notare che “algebra” deriva dalla parola araba “algiabarat”, che significa “ricomposizione” di cosa rotta. Nell’interno della Spagna, dominata per otto secoli dagli arabi, fino a non molto tempo fa il barbiere indicava la sua bottega con la scritta “algebrista y sangrador” perché quando era anche cerusico, vale a dire chirurgo, ricomponeva per l’appunto le fratture delle ossa dei clienti e si occupava di “sangre”, cioè di sangue, praticando salassi. Anche nell’Italia del XVI secolo la parola “algebra” indicava l’arte di aggiustare le ossa. Nelle equazioni algebriche la “ricomposizione” avviene riducendo da una parte l’incognita e dall’altra le quantità note. Le prime traduzioni del libro di al-Khwarizmi sono state quelle di Roberto di Chester a Segovia, nel 1145, e quella di Gerardo da Cremona, entrambe con il titolo Liber algebrae et almucabala, vale a dire Libro della ricomposizione e bilanciamento: infatti “algebra” significa “ricomposizione” e “almuqabala” significa “bilanciamento” o “semplificazione” e indica il portare le quantità della stessa incognita nello stesso membro di una equazione.

Per essere più precisi, i numeri “arabi” che usiamo da qualche secolo nella vita quotidiana e nelle attività scientifiche sono in realtà nati in India. Scoperti e divulgati dal matematico nato a Khiva e dal matematico arabo Al Kindi, che sui numeri indiani scrisse ben quattro libri (Kitāb fī istiʿmāl al-ʿadad al-hindī, cioè “Sull’utilizzo dei numeri indiani”), sono arrivati in Italia e in Europa portati dal pisano Fibonacci, che ne aveva imparato l’uso in Algeria. Grazie ai due matematici orientali, dall’India arriva anche il simbolo e il concetto rivoluzionario di numero zero, inesistente nella precedente numerazione romana e non meno importante degli altri numeri.

Al matematico uzbeko dobbiamo anche una raccolta di tavole astronomiche di grande importanza, che documentano cinque secoli di osservazioni dei corpi celesti. Se vi aggiungiamo le osservazioni astronomiche di oltre mille stelle condotte a Samarcanda per anni da Ulug Beg (Beg significa  Re), nipote del famoso Tamerlano, e magari anche quelle di Tolomeo salvate dagli arabi, allora capiamo meglio perché e come è nata la moderna astronomia europea.

Come si vede già dalla storia di Khiva, non stiamo parlando di cose esotiche, turistiche o d’importanza relativa: stiamo parlando di innovazioni senza le quali nell’intero Occidente NON sarebbe stato possibile l’immenso progresso scientifico, tecnologico e quindi anche sociale, del quale tuttora godiamo. Prima dell’arrivo dei numeri “arabi” era ancora in uso fin dai tempi dei romani l’abaco, una sorte di pallottoliere con palline di pietra: dal fatto che pietra in latino si dice “calculus” deriva la parola “calcolo”, e i calcoli renali si chiamano così perché appunto di piccole pietre si tratta. Con l’abaco NON sarebbe stato possibile nessuno dei calcoli che da secoli hanno reso più avanzata, ricca e moderna l’Europa e al suo seguito l’intero Occidente.

Tutto ciò dimostra che arrivare in Uzbekistan non significa solo arrivare in una terra interessante per il turismo,  ma anche arrivare nella culla dove è nata la base del nostro progresso scientifico. Il nostro maniacale eurocentrismo ci ha abituati a pensare – a torto – che il progresso, la matematica e le scienze sono creature europee e che il Vecchio Continente è l’ombelico del mondo.

Ma andiamo per ordine.

Khiva non può essere raccontata: bisogna vederla. Khiva è un gioiello, un pezzo d’ambra antica che racchiude qualcosa che resta nel cuore. L’intera città antica è un grande museo all’aperto la cui intera popolazione vive e lavora per tenerlo in funzione e accogliervi il flusso di turisti. Moschee, madrasse, cioè scuole coraniche, mausolei, minareti, cortili, piazze, residenze di governatori e di ricchi e potenti vari, caravanserragli, harem, torri, ecc., tutto è oggi come era ieri. Anche vari pozzi d’acqua, a uno dei quali Khiva deve la sua nascita e il suo nome, che deriva infatti dal grido di gioia – qualcosa come “Incredibile!” – dei carovanieri che attraversando il deserto trovavano qui un generoso pozzo d’acqua per dissetare uomini e animali. E’ un po’ come se il foro romano e i fori imperiali di Roma fossero ancora intatti anziché essere ridotti a rovine. A Khiva però stupisce che governatori e reucci pur avendo palazzi suntuosi volevano non di rado avere nel proprio cortile anche una yurta, cioè la classica tenda rotonda e smontabile dei nomadi momgoli, per ricevere magari gli ospiti o per riposarvi.

In questo secondo viaggio grazie a Baodir che ce le fa notare scopro sui muri di molte moschee e costruzioni varie, a partire già da Khiva, piastrelle di ceramica che ripetono all’infinito alcune variazioni geometriche di un concetto religioso, morale e civile nato dalla fusione del buddismo con lo zoroastrismo. Si tratta di mattonelle a forma di fiocco con due braccini centrali, dove la parte superiore indica il bene e il paradiso, la parte inferiore il male e la dannazione eterna, la parte centrale rappresenta la zona di confine e di passaggio tra il bene e il male. Mi sorprendo a pensare che capovolgendo la piastrella il bene diventa il male e il male diventa il bene…. Per fortuna a volte quel simbolo contiene anche tre cerchietti, che indicano i tre comandamenti summa dello zoroastrismo: “pensare bene, dire bene, fare bene”. Anche se si capovolgono le piastrelle i tre concetti non cambiano: cambia solo la loro successione, ma i tre comandamenti che consigliano i tre tipi di bene restano intatti…..

Mi rendo conto che quel simbolo a forma di fiocco con le due braccine centrali in qualche modo anticipa di fatto il disegno della croce nel mondo cristiano.  Mi viene in mente, e diventa una pulce nell’orecchio, che la croce in Europa ha fatto la sua comparsa ben tre secoli dopo Cristo, per l’esattezza grazie a un viaggio a Gerusalemme di Elena madre dell’imperatore Costantino. A Gerusalemme, che a quell’epoca si chiamava Aelia Capitolina ed era la capitale della Siria Palestina perché l’imperatore Adriano aveva abolito sia il nome Gerusalemme che il nome Giudea  dell’intera sua regione attorno. E’ molto probabile che in Siria Palestina siano arrivate, grazie alla Via della Seta e alla Via delle Spezie, influenze centroasiatiche e quindi anche buddiste e zoroastriane. Ancora oggi in Iran esistono ancora piccole comunità di zoroastriani, con un loro tempio dove arde perennemente il fuoco, simbolo del loro Dio. Come che sia, a Tashkent, capitale de’’Uzbekistan, scoprirò con grande meraviglia che le mattonelle con questi simboli sono state utilizzate pochi anni fa perfino dagli arabi sauditi che hanno ricostruito un complesso di moschee e madrasse andato completamente distrutto con il terremoto del 25 aprile 1966, che privò delle abitazioni 300.000 persone.  Forse la sorpresa più grande è scoprire che quei simboli sono utilizzati, oggi, perfino  per le piastrelle dei marciapiedi. Evidentemente certi concetti si fissano nel DNA culturale e riemergono anche inconsciamente.

A Khiva la sera abbiamo assistito  a una festa in piazza che pure non si può raccontare. Molti i turisti italiani presenti, chissà perché in gran parte veneti, ma unica l’espressione stampata sulla faccia di tutti, italiani e non: gioia e commozione. A me si sono inumiditi gli occhi a vedere così tanti bambini e bambine, dai due ai dieci anni, forse dodici, ballare felici assieme a giovani, anziani, vecchi, parenti e sconosciuti, al suono d’una orchestra d’altri tempi e alla voce di un cantante e una cantante che non sfigurerebbero non dico a S. Remo, che ritengo ormai una pochade, ma in una festa in piazza nella Napoli verace o nella Palermo profonda o in Alexander Platz a Berlino.

A Khiva è iniziata l’orgia di minareti, moschee, madrasse, caravanserragli, harem, mausolei, musei e residenze storiche che ci ha accompagnato come un delirio per tutto il viaggio, denso come una continua abboffata di cassate siciliane. Uno stordimento permanente. Le cupole a cipolla o di altra forma rotonda delle moschee a un certo punto sembrano piccole nuvole irraggianti luce smaltata, ventri beati della dea Venere posati sul pianeta Terra per consolare gli umani della durezza del quotidiano. Il complesso delle tre moschee e madrasse di Samarcanda, noto come Registan,  è di una bellezza sublime. Ha qualcosa in meno di piazza S. Marco, forse perché manca il mare, ma ha anche qualcosa di più. Il perimetro interno delle tre moschee e madrasse è un susseguirsi di botteghe artigiane, come del resto in quasi tutte le moschee e madrasse non più in funzione dell’intero Uzbekistan. L’elenco delle cose indicibilmente belle, stoffe, tappeti, capi d’abbigliamento, miniature, ceramiche, strumenti musicali, terrecotte, pezzi d’artiginato di vario tipo, ecc., è talmente lungo che posso solo risparmiarvelo.

Sorprende sempre la varietà, la vivacità e la libertà del vestire di tutti, specie delle donne: una marea di colori che surclassa il grigiore omogeneizzato e omologante della moda in voga da noi, nelle nostre città il nero e il grigio sono così dominanti da far sembrare le folle in metropolitana e negli autobus gente che partecipa a un funerale che non finisce mai. In Uzbekistan ho visto donne vestite con abiti dai disegni talmente luccicanti da parere piccoli cieli stellati. Quando le donne così vestite camminano il luccichio si frammenta in mille piccole intermittenze: ai loro bambini quelle madri devono  parere davvero celestiali, il firmamento tremulo di stelle…. E ho visto bambini tenuti e vestiti come piccole bomboniere, preziosi confetti coloratissimi. Ho visto donne cullare incessantemente il proprio bimbo in culle di legno fantasiose e variopinte con un piede mentre con le mani lavorano sedute. Non si può evitare di restare non solo piacevolmente sorpresi, ma anche sgomenti: da quand’è che noi non curiamo così i nostri piccoli?

Mi sorprende anche nelle moschee uzbeke ciò che già avevo notato nelle moschee dell’Iran e del Marocco, oltre che nelle sinagoghe ebraiche. Quest’ultime però non irradiano così tanta luce e colore come le moschee antiche, sempre rivestite di piastrelle e decorazioni varie smaltate come in Russia le pareti interne di certe chiese ortodosse sono interamente rivestite di minuscole icone di grande bellezza. Mi sorprende cioè l’assoluta assenza di raffigurazioni di corpi umani variamente martoriati e martirizzati che si sono accumulate nelle nostre chiese per secoli e secoli fino a farne un incubo sgradevole e a volte orribile a vedersi, una continua via crucis vessatoria e colpevolizzante dalle infinite stazioni grondanti sangue: un tutto che vuole imporre – e ha imposto per secoli e secoli – la visione della vita umana come valle di lacrime, parentesi utile solo a soffrire per guadagnarsi il paradiso…. Poiché la religione musulmana proibisce la raffigurazione sia di Dio che degli esseri umani, non c’è stata la sterminata produzione di affreschi e dipinti a carattere immancabilmente sacro tipica dell’Europa. Nelle moschee non solo uzbeke gli artisti non hanno elucubrato in tutte le declinazioni possibili e immaginabili né le passioni con corone di spine né le crocifissioni, le piaghe e i volti “sacri” stralunati dal dolore, i costati trafitti e le vergini martoriate, le Madonne espropriate sia della femminilità che del figliolo. Espropriate cioè del povero Cristo eternamente frustato da legionari e inchiodato alla croce, il Cristo sempre sanguinante – dalle stimmate, dalla fronte cinta con la corona di spine, da tutti i pori possibili e immaginabili – e sempre afflitto e sofferente. Le nostre chiese sono fatte per incupirsi e recitare il Mea Culpa, i minareti e le sinagoghe sono fatte invece per respirare, liberarci del peso del quotidiano, lasciare andare l’immaginazione e stimolare il nostro spirito verso l’alto, verso il cielo, senza afflizioni di sorta. Le moschee di Samarcanda e di molte località uzbeke sono arcobaleni e pezzi di cielo permanenti.

Però un tarlo mi rovina il grande godimento delle infinite forme e policromie che adornano qualunque spazio esterno e interno delle moschee, minareti, madrasse, e quant’altro di bello e luminoso depositato nel corso dei secoli. Il tarlo che mi rode è la Storia. Il tarlo è sapere che qui e in altri spazi immensi, da est e ovest, da nord a sud,  Tamerlano – che in realtà si chiamava Amir (Emiro)  Timur Beg (Re) e soprannominato da morto Timur Lenk, cioè Timur Zoppo, perché secondo la leggenda era claudicante per una vecchia ferita in guerra – ha commesso stragi e orrori indicibili. Il nome Tamerlano non è altro che la latinizzazione del nome Timur e del soprannome Lenk. La  parola Lenk mi fa venire in mente il nostro vocabolo “sbilenco”, che in definitiva indica una persona o una cosa che zoppica, e scopro divertito che in effetti hanno origine comune: chi l’avrebbe mai detto! Le stragi e le distruzioni dello Zoppo erano state per giunta precedute dalle stragi e dagli orrori ben peggiori  seminati ovunque e su vasta scala da un suo precedessore e parente, Gengis Khan, padrone dell’impero più vasto mai esistito al mondo e le cui vittime si contano a milioni, ben più delle vittime di Hitler e Stalin messe assieme. In uzbeko la parola “ferrovia” contiene il vocabolo “timur”, che evidentemente deve significare “ferro”, perciò nel viaggio del 2010 mi venne da pensare a Stalin, che significa appunto “di ferro” e che ha seminato orrori fino a rendere mostruoso ciò che almeno come idea e intenzioni era più bello di mille moschee: fino a rendere cioè mostruoso il comunismo. Insomma, come dire che Timur Lenk, il “Ferro Zoppo” che a Napoli chiamerebbero “‘O Fierro Sciancato”, in definitiva è stato un predecessore di Stalin sia nel nome che nei fatti. Ed è grazie a Baodir che nel viaggio recente ho appreso che effettivamente a Tamerlano venne dato il nome Ferro, cioè Timur, su consiglio di Seiid Berke, un saggio ritenuto santo e che ne sarà il tutore e maestro, tanto amato dal suo discepolo e re da convincere questi a voler “essere seppellito sotto le gambe  di Seiid”. Che infatti riposa nello stesso mausoleo di Tamerlano e di alcuni suoi discendenti in una tomba a pochi metri di distanza da quella del suo ex discepolo  sistemata in modo che la testa di quest’ultimo sia vicina alle gambe del suo tutore.

Il tarlo che mi rode consiste nel mio continuo chiedermi come sia possibile, e che senso, che ruolo e  che significato abbia il fatto che meraviglie architettoniche, artistiche e urbanistiche come quelle che vedo siano opera di chi nel contempo ha seminato morte e distruzione a piene mani. Il palazzo di Tamerlano a Shakhrisabz, alto 55 metri, era imponente non solo nelle dimensioni. Era completamente rivestito di ceramiche dorate perché potesse essere visto come un miraggio brillante anche a grande distanza. Aveva pareti con cascate d’acqua fatta arrivare con chilometri di tubazioni dalle montagne del Pamir. Tutto distrutto dopo la morte di Tamerlano dal conquistatore di turno che distruggendo il palazzo, del quale restano alcune rovine comunque imponenti, voleva dimostra ei essere più potente di Tamerlano. Mentalità neppure da asilo infantile….

Conquistato e ingrandito il regno, immenso, Tamerlano riuscì a renderlo pacifico, prospero e sicuro. La sua concezione della gestione del potere e dello Stato,tramandata nel suo famoso “Codice”, è quanto mai moderna, adatta ai nostri tempi, il suo succo infatti è: “La forza è nella giustizia”. La potenza dello Stato era fondata no tanto sulla spada quanto su un efficiente sistema legislativo. Tanto da potersi così vantare: “Io ho stabilito tale ordine e disciplina che permettono a un bambino attraversare tutto il mio stato con un piatto pieno di oro in testa senza perderne una particella”. Motivo per cui mercanti e artigiani potevano commerciare anche viaggiando restando sempre sicuri di non avere sgradevoli sorprese da parte dei ladroni che un tempo non mancavano.

Sì, lo so da un pezzo che la Storia gronda luci, bellezza, sangue e merda. Ma qui l’accumulo colpisce. Più che altrove. Forse perché si arriva nelle città attraversando deserti e perciò sono viste come miraggi. E i miraggi, si sa, si pretende siano solo belli, luminosi, splendidi, e invece le città di tutto il mondo  deludono con la loro parte di viscere oscure: la Storia… Che ha ovunque un cuore oscuro, cosa che mi delude e mi turba non poco.

A proposito di Storia: una armata di 50 mila mongoli a cavallo al comando di Batu Khan, nipote dei Gengis Khan, dopo avere invaso l’Ungheria e la Polonia stava per dirigersi su Vienna e oltre, ma non appena saputo della morte di Ogodai, il capo di tutti i Khan,  ha fatto dietro front per partecipare all’elezione del successore. Se avesse invece proseguito, e se lo avessero magari raggiunto le altre due armate da 50 mila cavalieri ognuna impegnate a sud dell’Ungheria, la Storia del mondo sarebbe stata molto diversa: perché sarebbe stata diversa la storia dell’Europa, Italia compresa.

Gengis Khan, che tradotto significa Grande Khan, cioè Grande Re, ha conquistato un impero enorme utilizzando soprattutto il terrore: le città conquistate venivano quasi sempre distrutte e le loro popolazioni sterminate in modo da impedire velleità di resistenza da parte degli altri popoli e delle altre città da conquistare. Le sue vittime si contano a milioni, e c’è chi dice a decine di milioni. Ma il va e vieni di conquistatori di ogni tipo ed etnia, dagli arabi ai persiani, dai mongoli ai turchi nomadi e ai carakanidi, è stato tale che in pratica tutte le città dell’Uzbekistan sono state ricostruite e negli ultimissimi secoli è invalso l’uso di ricostruirne anche i vari monumenti, dalle moschee ai mausolei. La città che conserva più tracce di epoche storiche diverse è senza dubbio Bukhara, la cui costruzione più antica è l’imponente fortezza Ark, anche questa con le strane mura come quelle di Khiva. A Bukhara si trova la moschea dell’Acqua di Giobbe, costruita su un pozzo d’acqua ritenuta ancora oggi miracolosa e porta fortuna, tant’è che i pellegrini la bevono lasciando offerte in danaro. Afflitti a suo tempo da una siccità terribile, gli abitanti di Bukhara pregarono il profeta Giobbe finché sgorgò miracolosamente un pozzo d’acqua che evitò morissero in massa di sete. Ecco il perché di questa moschea e del suo nome.

Sulla vecchia piazza caratterizzata da una grande vasca d’acqua c’è il curioso monumento in bronzo al mitico Khodja Nasriddin sul suo asino. Nasriddin era il mullah e il saggio più famoso dell’islam sufi, protesse i poveri e lottò per la giustizia, perciò mollto amato dal popolo. Il mullah e l’asino guardano verso il lato della piazza sul quale si affaccia un bell’edificio costruito per ospitare i dervisci, predicatori itineranti musulmani senza famiglia né fissa dimora. Alle spalle di Nasdriddin e dietro il sedere del suo asino c’è un palazzo privato che una volta era una madrassa, mentre oggi nel suo grande cortile si può mangiare all’aperto e assistere a spettacoli e danze folcloristiche, a me è capitato di vedervi anche una sfilata di moda. L’ostello per i dervisci ha una storia curiosa: a suo tempo un certo Nadir Divanbeghi offrì un paio di orecchini alla donna della quale era innamorato, ma lei non accettò il regalo. Gli orecchini dovevano valere una fortuna visto che l’uomo decise di venderli e col ricavato costruì l’ostello per i dervisci.

Bukhara ha più tracce di Storia, ma la città più bella è Samarcanda. Il complesso del registan vale anche da solo il viaggio. Ci sono altre meraviglie. Tra queste, il mausoleo di Tamerlano e suo nipote Ulug Beg, oltre che di altri successori e del tutore Seiid Berke. Tamerlano non era certo neppure lui un cuore tenero, ma ha il merito di avere ricostruito varie città e di avere stimolato anche la rinascita culturale, che con suo nipote Ulug Beg porterà Samarcanda ad essere la capitale mondiale delle scienze, cosa che Ulug Beg pagò con un prezzo assai più grande di quello che la Chiesa fece pagare a Galileo Galilei. Desiderosi di scalzarlo per prenderne il posto e il regno, un gruppo di musulmani di un’altra etnia, i turchi nomadi, lo uccise e giustificò l’assassinio accusandolo post mortem di essere stato un grande peccatore perché aveva osato scrutare e studiare il cielo. Grande astronomo, Ulug Beg nel 1428 volle infatti realizzare il più grande osservatorio astronomico del mondo con un sestante di 40 metri di raggio, in parte scavato nella roccia e in parte eretto in muratura. Attorno al sestante fece erigere un edificio cilindrico su quattro livelli alto 35 metri e largo 60. Ogni livello poggiava su decine di pilastri e si apriva su una serie di 28 portali simboleggianti le 28 case del ciclo lunare. Sul tetto si trovava un enorme regolo parallattico per il calcolo dell’azimut. Con un sistema di mire si poteva misurare con precisione quando un astro passava in meridiano. Ulug Beg poté così compilare un catalogo stellare, il “Zidji Kuraganiy”, con le coordinate di 992 stelle fisse,  misurate con la straordinaria precisione di 2″d’arco, più le coordinate di 27 stelle prese dal Libro delle stelle fisse scritto nel 964 dal persiano Abd al-Rahman al-Sufi. Inoltre – prima che Cristoforo Colombo pensasse che la Terra fosse rotonda e che quindi si poteva raggiungere l’India navigando verso Occidente anziché vero Oriente, idea che lo portò a “scoprire” l’America – Ulug Beg, esperto di trigonometria e geometria sferica, faceva calcoli su un mappamondo. Studiando Averroè aveva appreso  che i pianeti non girano attorno alla Terra ma attorno al Sole, aveva inoltre calcolato la durata dell’anno terrestre con un errore di appena 58 secondi e le traiettorie dei pianeti.

Se l’Asia Centrale è musulmana lo si deve a Tamerlano, che dopo avere conquistato territori oggi dell’Iraq portò da Bassora a Samarcanda l’unica copia esistente del corano, il libro di grandi dimensioni – oggi conservato a Tashkent – scritto direttamente da Osman, il discepolo e amico di Maometto. Il profeta dettava a Osman ciò che Dio man mano gli diceva comparendogli in sogno.

A quanto pare Tamerlano lanciò una maledizione su chiunque avesse osato disturbare il suo sonno eterno. Per poterlo studiare, il corpo di Tamerlano fu portato nel 1941 a Mosca togliendolo il 19 giugno dalla sua tomba nel Mausoleo Gur-e Amir di Samarcanda, ancora oggi meta di pellegrinaggi e di preghiere,   dall’antropologo russo Mikhail M. Gerasimov, che scoprì che “Lo Zoppo” non era diventato tale per una ferita in battaglia, ma perché era nato con la gamba destra più corta della sinistra. Tre giorni dopo l’esumazione la Germania di Hitler invase l’Unione Sovietica. Quando la leggenda della maledizione giunse alle orecchie di Stalin, il dittatore sovietico ordinò che entro 48 ore la salma di Tamerlano fosse rimessa al suo posto nel mausoleo e con il rito musulmano, cosa che avvenne a fine 1942. Dopo qualche settimana, esattamente il 31 gennaio del ’43, gli invasori tedeschi si arrendevano a Stalingrado segnando l’inizio della riscossa sovietica.

Nei paraggi di Samarcanda c’è un’altra tomba eccezionale, quella del profeta Daniele. La leggenda dice che la sua salma si allunga di un centimetro l’anno, tant’è che gli hanno fatto una tomba lunga 18 metri, sempre affollata di pellegrini che pregano.  Quando la salma di Daniele cesserà di crescere, finirà la storia di Samarcanda e del mondo. Speriamo che cresca ancora di molto, ben più di 18 metri e che allunghino quindi di vari chilometri il sarcofago…

Faccio il giornalista da quasi 40 anni, perciò ho lavorato soprattutto nel giornalismo cartaceo. Se conosciamo e usiamo la carta, prodotto che non riguarda solo noi giornalisti, ma l’intera cultura, la sua diffusione e trasmissione, lo dobbiamo alla battaglia di Talas, nell’attuale Kazakistan, combattuta nel luglio del 751. Quella di Talas è stata una delle rarissime battaglie che dal punto di vista della diffusione delle tecnologie e delle culture, materiali e non, ha un’importanza positiva e decisiva nella Storia dell’intero genere umano. A Talas i 30 mila arabi guidati da  Ziyād ibn Ṣāliḥ al-Khuzāʿī, signore di Bukara e della Sogdiana per conto del califfo di Bagdad Abu Muslim, affrontarono e vinsero i 30.000 soldati del coreano Kao Hsien-chih, incaricato dall’imperatore cinese di occupare la Transoxiana, cioè la terra ad ovest del fiume Oxian, oggi Amu Darya, che con il Syr Darya delimita un territorio chiamato con un nome equivalente a Mesopotamia, cioè Terra tra i due Fiumi. A fare il tifo per Ziyad c’era pure il fratello del signore di Shāsh, oggi Tashkent, occupata dai cinesi. Bene. A Talas gli arabi vinsero e tra i loro prigionieri c’erano dei tecnici addetti alla produzione di carta, invenzione cinese sconosciuta agli arabi e al resto del mondo, che usava ancora il papiro, invenzione egiziana, o la pergamena, invenzione di Pergamo, oggi in Turchia. Quei tecnici fatti prigionieri si dissero disposti a insegnare ai vincitori come produrre un’utile novità: la carta. Vennero così portati a Samarcanda, dove c’erano 400 molini ad acqua, perche mostrassero l’intero procedimento. Che io ho visto con i miei occhi in uno di quei 400 mulini sopravvissuti a Samarcanda!

Il procedimento è questo: si tagliano e si mettono ad ammollo in acqua dei rami di gelso, dello stesso albero cioè che ci dà la seta tramite il baco che si nutre esclusivamente delle sue foglie. Poi si taglia per il lungo la corteccia, della quale con una lama si separa la corteccia interna da quelle esterna così come a tavola togliamo come un guanto la pelle dell’anguilla cotta ai ferri. Poi si raccolgono le cortecce interne e si fanno pestare in mortai azionati ad acqua fino a che diventano poltiglia. Mentre osservo affascinato le mani della ragazza che fa queste cose mi viene in mente che i romani quella corteccia interna la chiamavano “liber”, donde  la parola “libro” oltre, si badi bene, alla parola “libero”. Un caso? Se sì, è meraviglioso: i libri infatti oggi sono fatti di carta, nata da quella corteccia “liber”… I buoni libri inoltre aiutano a diventare liberi.

La poltiglia delle cortecce interne viene infine immersa in un pentolone pieno d’acqua, il tutto viene rimestato con un paiolo, vi si immerge un telaio a rete metallica quadrata e infine lo si tira su tenendolo orizzontale et voilà: scolata via l’acqua, ecco il foglio di carta! Che ovviamente va tolto dal telaio, pressato con gli altri, messo ad asciugare e poi lisciato con apposite pietre o conchiglie lisce. Pietre e conchiglie che a furia di essere usate son ridotte alla metà di com’erano, e hanno una facciata perfettamente liscia. Un procedimento simile l’ho visto fare 5-6 anni fa ad Amalfi, dove una antica cartiera usa gli stracci al posto della corteccia di gelsi o del legno d’alberi in uso ormai un po’ ovunque. Il passo avanti fatto fare alla carta dall’Europa è stata infatti l’idea di usare la poltiglia degli stracci prima e del legno dopo invece che il “liber” dei gelsi. Ma attenzione: gli stracci erano prevalentemente di cotone, e il cotone, già usato dagli egizi, è la grande risorsa uzbeka e dell’Oriente in generale.

Usciamo dalla antica piccola cartiera visibilmente affascinati. A scuola dovrebbero insegnarci di più e più onestamente molte cose…

La prossima volta vorrei vedere il Kazakistan, a partire proprio da Talas, e l’Uzbekistan del lago d’Aral, che una volta era il quarto lago più grande del mondo ed era ricco di pescherecci, di porti, di storioni che alimentavano una gagliarda produzione di caviale, mentre oggi invece è ridotto ai minimi termini, con le navi in secca a molti chilometri dall’Aral, i porti diventati terra arida e molta gente fuggita altrove per sfuggire alla disoccupazione. I sovietici hanno infatti utilizzato l’acqua dei due fiumi che lo alimentavano, il Syr Darya e l’Amu Darya, per dotare le città di acqua potabile, ponendo fine alle morie per infezioni intestinali, e alimentare le immense distese di campi di cotone dopo avere deciso che l’Uzbekistan doveva specializzarsi soprattutto nella coltivazione e produzione di cotone. Da allora il lago d’Aral di acqua ne riceve sempre meno.

Dopo tanta Storia piuttosto cupa, una bella visita al mercato di Samarcanda, una marea colorata di bancarelle e banconi di ogni tipo con una massa incessante di gente che fa la spesa o si rifornisce di frutta fresca, frutta secca, carne, spezie, pane, ortaggi, dolci, ecc. Anche questa volta uscendo dal mercato per la via che conduce al mausoleo di Bibi Khanim, una delle mogli di Tamerlano, c’è la solita ressa di ragazzi e ragazze che si dicono zoppi o variamente  malati e di giovani madri con bambini “molto malati”. Strano, ma appena intascano l’elemosina i ragazzini e le ragazzine smettono di zoppicare e si allontanano di corsa…. Segno che, per fortuna, anche i bimbi “molto malati” in braccio alle madri meste sono in realtà sani come pesci. Il che non è un buon motivo per non dare a tutti un biglietto da 1.000 sum, moneta nazionale, equivalenti ad appena 40 centesimi di euro.

Arriviamo alla moschea di Bibi Khanum, la moglie favorita del terribile  Tamerlano. La tradizione dice che le donne musulmane portano il velo per una storia romantica e tragica capitata a Bibi, che nel 1.400 decise di costruire la moschea più grande di tutta l’Asia, con una cupola alta ben 55 metri, tanto quanto lo splendido e maestoso palazzo di Shakhrisabz. Tamerlano le fece avere i più bravi specialisti, compreso un focoso architetto arabo che si innamorò della bellissima Bibi. Per poterla vedere e frequentare il più possibile l’architetto ricorse allo stratagemma di tirare per le lunghe l’edificazione della moschea. E quando Bibi spazientita gli chiese cosa volesse per accelerare i tempi l’uomo le rispose: “Un bacio”. Lei ne restò turbata, ma acconsentì. Porgendo però solo una guancia anziché le labbra. Per giunta, presa da pudore se la coprì all’ultimo momento con la mano prima che l’architetto le scoccasse il bacio d’amore. Un ripensamento che però non impedì la nascita di una macchia rosea sulla guancia. Quando Tamerlano le chiese il perché di quella macchia Bibi rispose “E’ una cosa del pudore delle donne”.

Alla fine però il terribile condottiero venne a sapere la verità. Pazzo furioso di gelosia fece murare viva la moglie nella moschea ormai quasi terminata, che divenne così il mausoleo di Bibi. L’architetto riuscì a sfuggire alla condanna a morte rifugiandosi su una torre. Inseguito, piuttosto che essere catturato preferì buttarsi giù per morire. Ma mentre precipitava gli spuntarono le ali, si trasformò in uccello e volò via.

Mi è stata però raccontata anche un’altra versione. Secondo la quale  Bibi offrì all’architetto innamorato non il proprio amore, ma l’amicizia. L’uomo però  le offrì da bere dell’acqua e del vino, facendole notare che l’acqua non ha sapore mentre il vino ha sapori forti “e brucia la gola come il mio cuore brucia per te”. E così Bibi concesse molto di più di un casto bacio sulle guance. Ma fu talmente imprudente da confessarlo al marito quando rientrò vittorioso da una delle sue guerre. Tamerlano mise a morte il troppo audace architetto e ordinò di gettare la donna dall’alto della sua moschea. C’è chi dice che quando la gettarono giù le gonne le fecero da paracadute e lei riuscì a toccare terra senza danni. “E vissero felici e contenti”. C’è però anche chi dice che Bibi precipitando si trasformò in uccello e volò via libera.

Oggi la moschea è in rovina, le sue pareti a tratti sono scrostate e negli anfratti ospitano qualche nido di uccelli, ogni tanto ne sbuca fuori uno e vola via oppure ne arriva un altro col cibo per la nidiata. Penso a questa leggenda mentre fotografo col teleobiettivo le pareti della moschea: voglio ritrarre in primo piano le mattonelle smaltate, coloratissime e dai disegni sempre diversi, che danno un aspetto fantasmagorico anche a questa malandata e imponente costruzione. Ecco perché aziono il teleobiettivo. Mettendo a fuoco l’immagine, nel viaggio del 2010 a un certo punto ho visto inquadrato un merlo: si affaccia da un nido, pare mi guardi e dopo un attimo di esitazione vola via cinguettando allegramente… Era Bibi? Spero di sì. Anzi, emozionatissimo, ne sono sicuro. Nel secondo viaggio scruto col teleobiettivo le pareti del mausoleo di Bibi, ma il merlo non lo vedo. Mi sento spaesato e deluso. Poi di colpo la vedo di nuovo: Bibi è lì, con le sembianze di una tortorella, sopra un minareto della sua moschea. Pare mi guardi, tranquilla e sicura di sé, poi spicca ancora una volta il volo.

Spero di rivederti, Bibi. Anzi, ne sono sicuro.

Un pezzo del mio cuore è rimasto a Samarcanda.

161 commenti
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  1. Cerutti Gino
    Cerutti Gino says:

    Sempre che tu non te la meni con “ci vogliono buttare tutti a mare”
    puoi scrivere qualsiasi cosa. Sono vaccinato anche di rimando.
    Tranquillo, puoi anche scrivere un paio delle tue solite kazzate senza però esagerare, ti saranno concesse.

    C.G.

  2. Uroburo
    Uroburo says:

    1) Prima guerra mondiale ! Esattamente! E non sono stati sicuramente gli americani a pretendere una punizione così dura!
    E chi fu , nella II GM che tradì criminalmente i cosacchi
    2) L’IVA viene pagata su quel che effettivamente e realmente si consuma, non sulla probabilità dei consumi di tutti i cittadini!
    3) Ora non so se la Fiat e i sindacati davano ordine agli operai di lasciar laschi i bulloni
    4) Spiegatemi voi perchè l’ Italia per la produttività è agli ultimi posti in Europa! Colpa della PMI?
    E quelli che non la pensano come voi Da mandare nei gulag?
    —————————————————————
    Cara Silvy,
    parlare conte sta diventando faticoso: non tanto per le argomentazioni in sé (inesistenti) ma per il tono livoroso e per la tendenza a sparare ad alzo zero senza minimamente capire le conseguenze di quel che dici e meno ancor ai contesti ai quali ti riferisci, del tutto cancellati dalla memoria (la tua) com’è tipico del piccolo ittagliano medio.
    I corpi politici non sono mai del tutto omogenei ma comprendono varie e svariate tendenze o correnti. La destra oscilla tra i fascisti duri e puri come ’Sto Race ed Alamanno ed i professori apparentemente democratici come il Monti. Nel Centro ci sono i mafiosi come il Gobbo o PierFürby e le persone per bene come Martinazzoli (magari un po’ scemo ma serio ed onesto).
    All’interno della sinistra ittagliana c’è stato per anni il fenomeno del partito armato, ultra-minoritario ma tuttavia presente,soprattutto nelle grandi fabbriche. Naturalmente era colpa dei kommmunisti e dei sindacati, come ci suggerisci, conosciamo benissimo questo tuo disco rotto che canta sempre la medesima nota. Prendiamone atto mia cara. L’abolizione della sinistra e del sindacato sono le premesse (ultra-democratiche) per il progresso. E’ per questo che la Confindustria (TUTTA, compreso la famigerata PMI) ha votato a corpo morto per il Banana, che aveva assicurato evasione fiscale impunita. Ti si chiederebbe una valutazione a posteriori, perchè è proprio degli imbecilli (che in Ittaglia abbondano) non fare mai una valutazione del proprio passato.
    La tua visione è fondamentalmente binaria, come quella dei compiutaaa: si-no, bianco-nero, zero-uno. Avanti così e capirai sempre tutto!
    La nostra classe digggerente, alla quale sarebbe demandato, fino a prova contraria, il maggior titolo della direzione del paese, è la migliore possibile, a cominciare dalla famosa PMI, il cuore dell’ittaglianità!
    Una visione come la tua è becera, perderci tempo è inutile, proprio come parlare con Rodolfo.
    Mando in onda – non per te, naturalmente – alcune considerazioni generali sul nostro paese. Magari aiutano qualcuno ad essere un po’ meno superficiale.
    “La classe imprenditoriale milanese e lombarda (io direi del Nord Italia in genere, tranne gli Agnelli) ha continuato a disertare la vita pubblica, cioè l’amministrazione dello Stato e … gli interessi generali della collettività. [Si sono] buttati a testa bassa nella ricerca del prodotto familiare o aziendale che fosse, trascurando ogni dovere e impegno pubblici … hanno lasciato che agli affari di tutti pensassero gli altri.
    I ceti dirigenti del Paese, intellettuali e imprenditori compresi, hanno svolto solo di rado e in periodi eccezionali il compito di aggregare la società, operato per finalità di comune interesse. … Notevole il rovesciamento del luogo comune secondo cui la società detta civile sarebbe di gran lunga migliore di quelle politica, detta anche “casta”. … i due strati della società, ammesso che siano nettamente distinguibili, si riflettono invece l’uno nell’altro … Leopardi, Manzoni … Gramsci sono stati tra i pochi a descrivere fino al dettaglio i caratteri regressivi che affliggono le classi dirigenti del Paese, causa non ultima dei guasti e ritardi nell’aggiornamento, la modernizzazione del processo unitario”.
    E potrei continuare anche dicendo che “Il Mezzogiorno è il gran vivaio, quasi il solo vivaio, di tutta la burocrazia italiana, di tutti i gradi, dal capodivisione alla guardia carceraria. … Questi uffici [dello Stato] sono diventati uffici di collocamento per quella che chiamerei la mano d’opera cerebrale disoccupata, inadatta a qualunque utile servizio”. “L’amministrazione dello Stato è assediata dalle richieste importune dei moltissimi piccoli borghesi incapaci di trovare un proficuo lavoro nell’ambito professionale e sprovvisti dell’energia necessaria per indossare il camiciotto dell’operaio”.
    Questo paese ha dei problemi gravi, profondi e secolari, problemi di struttura, come diceva, inascoltato, Togliatti. Attribuire la colpa di tutto a sinistra e sindacati, che hanno per altro i loro limiti perché la botte dà il vino che ha, è un corto circuito intellettuale abbastanza stupido. Ma contenta te , contenti tutti.
    Ciao cara, allegra, che tra men di un mese il Banana e gl’ittagliani come te troveranno un’ottima soluzione a tutti i nostri problemi. U.
    PS. Ed ora alcune note a margine.
    1) Tutti i russi catturati da tutti gli Alleati sono stati riconsegnati ai russi in base al trattato di Jalta. Gli useggetta come tutti gli altri.
    2) Ma mia cara, ci sono stati anni di governo bananiero che avrebbe potutto cambiar le cose. Epperchè non te la prendi con loro? Come diceva il Banana alla Confindustria (Parma 2001): Il vostro programma è il mio programma.
    3) Senza commenti: non vale la pena.
    4) L’accenno ai gulag da parte di una classe digggerente che ha inventato il confino è un po’ ridicolo ma tant’è. La colpa è TUTTA dei kommmunisti e del sindacato, compreso l’evasione fiscale degli operai che tagliano l’erba del vicino. Abbiamo capito.

  3. Uroburo
    Uroburo says:

    Oggi pizzocheri e vino della Valtellina (Sassella, purtroppo non eccezionale).
    E per finire torta di carote, biscottini fatti in casa e chiacchiere con zucchero a velo.
    Ma da stasera dieta!
    Un saluto U.

  4. Rodolfo
    Rodolfo says:

    “perderci tempo è inutile, proprio come parlare con Rodolfo”

    Caro Uroburo…non offenda inutilmente…lei sa’ benissimo che non e’ cosi….
    Il discorso sugli
    “”” uffici dello Stato che sono diventati uffici di collocamento per quella che chiamerei la mano d’opera cerebrale””””…ecc.ecc…..
    e’ un discorso che io ho gia’ fatto in questo blog tempo fa’ con vari esempi accennando alle segreterie dei politici trasformate in veri e propri uffici di collocamento….sono dunque daccordo con lei…e chi mai non potrebbe esserlo.
    Interessante le sue “chiacchere” chiamate anche “frappe” “cenci” o “bugie”….fantastiche ….nell’ ultima settimana le ho fatte due volte….ma io amo metterci su il miele.
    Buona Domenica
    Rodolfo

  5. Rodolfo
    Rodolfo says:

    Oggi Anita fa’ un brodo di pollo….leggero…
    Ieri invece uno spezzatino di vitello….mi son leccato le dita….
    R

  6. Luisa Morgantini
    Luisa Morgantini says:

    Purtroppo a Gaza non c’è solo l’occupazione israeliana. con i suoi crimini continui contro la popolazione civile, ma anche altre forme striscianti di oppressione..
    Free Gaza.

    Ali Jarbawi, ministro per l’Istruzione nel governo del Primo Ministro Salam Fayyad ha condannato ufficialmente la decisione dell’ Università Islamica di Gaza imporre alle studentesse un abbigliamento che segua i canoni del codice “islamico” .
    Il presidente dell’ Università Salam al-Agha ha detto che il codice, che dovrà essere applicato all’inizio del nuovo semestre , non richiede il jilbab (full-length cappotto lungo ) o niqab (velo-faccia), ma piuttosto ciò che lui definisce un abito degno dell’università. Ha detto che le studentesse non verrebbero espulse in caso di violazione del codice di abbigliamento.
    Ali Jarbawi, PA Ministro dell’istruzione superiore, ha rilasciato una risposta ufficiale all’annuncio dell’università, dove sostiene che la richiesta e “illegale, e quindi nulla e inapplicabile”. Non esiste un sistema in atto per definire ciò che costituisce “vestito modesto”, ha detto Jarbawi, e l’articolo 11 della Legge fondamentale palestinese garantisce specificamente libertà personali e pubbliche. il Ministro Jarbawi ha poi aggiunto che non si accettino quindi intimidazioni e non si tenga conto di quanto deciso dal Consiglio dell’ Università di Al-Aqsa, perchè anche se l’università gode di indipendenza finanziaria, accademico e amministrativo, non può attuare politiche che contraddicono la legge fondamentale. (http://maannews.net/eng/ViewDetails.aspx?ID=559696)

  7. sylvi
    sylvi says:

    Il mio simpatico cuoco veneziano si è volatilizzato, perciò tocca a me aggiornare la cucina di pesce nel blog, dato che Uroburo predilige bei tagli di cappello del prete o di spalla di manzo per i suoi brasati!

    Gnocchi con ragù di pesce
    Sabato ho comprato un misto di pescetti vari per zuppa e ho fatto il ragù di pesce che non è altro che una zuppetta asciutta accuratamente liberata di spine, lische , teste…
    Attenzione…le teste si buttano DOPO la cottura, perchè se il pesce puzza dalla testa, è nella testa ( FRESCHISSIMA ovvio) che tiene i suoi umori più succulenti da lasciar dolcemente sprigionare durante la cottura che dev’essere di mezz’ora max.

    Per gli gnocchi ho passato allo schiacciapatate le patate e lasciate sul tavolo da lavoro a evaporare e intiepidire perchè poi assorbano poca farina. Un uovo per legare e voilà…tanti begli gnocchi più grossi del normale.
    Importante passarli nel trafilagnocchi perchè assorbano poi il ragù.
    Un malvasia del Carso o istriano fresco.
    Il mio premio? Vedere l’ultimo nato sbafarsi gli gnocchi!!!
    ———————————————————————–
    Avrei voluto scrivere di Cameron che ci ha annunciato che SE LUI nel 2015 ! vincerà le elezioni…nel 2017!!! indirà il Referendum per staccarsi dall’Europa.
    Nel frattempo la Scozia si staccherà dall’Inghilterra per unirsi all’Europa.
    Il Continente trema davanti a queste minacce?
    La Merkel e Hollande si stanno, rispettivamente, scolando un boccalone di birra e una bottiglia di champagne.
    Prosit- Salue!
    Io finisco il malvasia avanzato!

    Sylvi

  8. controcorrente
    controcorrente says:

    Ieri, pochi sanno che ricorreva anche questa memoria..

    http://leonardo.com.unita.it/politica/2013/01/28/cosa-pensiamo-di-benito-m/

    Anche per voi “ragazzi”,che da tempo più non siete tra di noi,valga la promessa, che noi non molleremo!

    cc

    Mi sento assediato ed in terra straniera, oggi a casa mia,ma come un ragazzo della Tridentina , non mollerò !
    Pur di ritornare a casa mia..oggi sono uno straniero in patria !
    Potrebbe essere solo uno sfogo…,ma chi se frega..mi sento meglio !

  9. Uroburo
    Uroburo says:

    Caro CC,
    la classe digggerente di cotesto infelice paese è sempre stata autoritaria e parassitaria, quindi in senso lato fascista.
    Il poppppolo ignora e quindi o segue o si rivolta bruciando i municipi. Mai però faticando con intelligenza e tenacia giorno dopo giorno, cambiando pian pianino quel che si può realmente cambiare e capendo chi è nefasto per il paese e chi non lo è.
    Gli intellettuali sono in gran parte organici al Banana …
    Pertanto il nostro bravo Ingroia , (er rivoluzzzzionario der palazzo degggiustizzzia) si beccherà il suo bel 4% con il quale il PD perderà la maggioranza al senato e quindi si manterrà la legge elettorale attuale o, al massimo un sistema alla tedesca, del tutto inapplicabile in un paese con 20 partiti.
    Insomma siamo nella emme e cui rimarremo, destino che mi sembra del tutto consono per un paese finito come questo.
    Comunque ti ribadisco che questa volta andrò a votare perchè questa è proprio l’ultima occasione ed i limiti notori del PD sono cosa secondaria rispetto al marasma a cui ci porteranno gli altri. Tutti, Monti compreso.
    Un caro saluto U.

  10. peter
    peter says:

    sempre faceta la nostra arguta friulana, che si intende bene di malvasia e di grappa…
    Per quello che vale ricordarlo, gli inglesi hanno contato ben poco nell’assetto geopolitico del mondo dopo la Seconda GM, il quale venne deciso da Roosevelt e Stalin soltanto. Ovviamente, avranno trascurato il Friuli e La Venezia Giulia, che sbadati, nello schema vasto delle cose…
    Dopo la Prima GM, gli USA non contavano ancora molto, anche perche’ erano entrati in guerra l’anno prima che finisse o giu’ di li’. Con la sua Societa’ delle Nazioni, Wilson mise in moto pero’ la macchina che avrebbe poi portato alla fine dell’impero britannico mezzo secolo dopo.
    L’assetto della Germania dopo la Prima GM era voluto in gran parte dai francesi, i quali imposero tributi gravissimi per rifarsi dei ‘danni di guerra’, e mantennero truppe di occupazione per anni. La mia opinione era che fatto 30, dovevano fare 31, e disfare del tutto la federazione di stati tedesca voluta dal Bismarck. Le mezze misure non tengono. Ma ad opporsi a questa ultima soluzione furono probabilmente proprio gli inglesi.

    Sylvi non si rende conto che la maggioranza della gente di qui non vuole stare in EU e non vuole essere chiamata europea. Se chiedo le taglie continentali in un negozio di vestiti, mi dicono le ‘taglie europee’. Se viaggiano verso il continente, ‘vanno in Europa’. E questo vale per tutti, scozzesi e gallesi compresi. I quali non verrebbero, del resto, accettati in EU da soli, dato che vi portano ben poco, e una loro adesione senza l’Inghilterra sarebbe assai dubbia.
    L’alta finanza vuole ‘competitivita’ sui mercati’, e vede l’EU ed i suoi regolamennti come un grave intoppo. Ma sa che un futuro fuori da EU sarebbe difficilissimo, per cui vorrebbe una nicchia di ‘libero mercato’, o mercato privilegiato in EU, senza vera membership…
    Immaginavo comunque che Cameron avrebbe posposto il referendum a dopo le prossime elezioni, e cosi’ passa la patata bollente a qualcun altro

    Peter

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