L’anima latina di Lucio Battisti: retroscena e curiosità raccontate nel nuovo libro di Renzo Stefanel

Da bambina Lucio Battisti mi piaceva assai, i dischi li aveva mia sorella più grande, li ascoltavamo nel suo mangiadischi portatile, che ci portavano dietro anche in macchina durante i viaggi d’agosto con mamma e papà. Da allora le sue canzoni più belle me le porto dietro come “Signore sei tu il mio pastore” cantata in chiesa. Le so e le saprò sempre a memoria, punto e basta. Di “Anima latina” non so nulla, se non che l’hit “Due mondi” mi faceva orrore. Quella voce femminile che cantava “far l’amore nelle vigne” era detestabile. Avevo 16 anni, la musica che mi girava attorno era altra, soprattutto straniera. Italiani pochissimi, ricordo Battiato. Riscoprii Battisti più avanti, “Don Giovanni” resta tra le mie preferite in assoluto.

Ho dunque tutto da imparare dalla monografia scritta proprio su quest’album da Renzo Stefanel (Gazzettino, www.rockit.it e www.xtm.it). Più di un fan mi dice che di canzoni belle forse ce n’è un paio ma piace molto ai critici per la sua atipicità, fa figo… In ogni caso, se l’intenzione di Lucio era di fare qualcosa di diverso, non serviva: già le sue canzoni più “scontate” (ma quando mai?) erano su un altro pianeta rispetto alla musica leggera italiana e d’autore del tempo. Il libro si intitola “Anima latina”, edito da No Reply per la collana Tracks” dedicata agli album che sono diventati pietre miliari della storia della musica. Per Renzo non è stato difficile dedicarsi anima e corpo all’impresa: fu folgorato nell’estate del 1975 proprio da “Due Mondi”…

Ha scritto una monografia ricchissima di dati, notizie, spunti, come solo un fan superappassionato può fare, rintracciando tutti, ma anche un giallo: c’è che non si ricorda se c’era, chi fa confusione, addirittura resta un mistero persino Gneo Pompeo ….tutti sinceri, o c’è chi sa e tace?

“Quasi tutti sinceri: purtroppo il tempo o le diverse prospettive personali fanno danni. C’è anche chi non mi ha convinto, ma è una mia impressione personale, perché non ho elementi precisi per affermarlo. Mi riferisco a Gian Piero Reverberi e alla questione “chi è Gneo Pompeo?”. Per chi non lo sapesse, è uno dei misteri battistiani: a chi è attribuito quel nomignolo (che tra l’altro fa da pendant con quello di Caesar Monti suggerito da Battisti a Cesare Montalbetti)? Nell’intervista presente sul libro Reverberi si contraddice: prima afferma che “Anima Latina, comunque, per me è il disco di un dilettante”, poi dice che “Non è che lo conosca bene”. Ora: non si può giudicare un disco senza conoscerlo non dico bene, ma abbastanza sì. Inoltre Gian Piero Reverberi è sempre stato il maggiore indiziato: perché in Il nostro caro angelo gli archi elettronici li ha suonato lui; perché era stato fino ad allora l’arrangiatore di fiducia di Lucio; perché le sue iniziali coincidono con quelle di Gneo Pompeo; perché diverse testimonianze di musicisti lo indicano come presente sporadicamente in sala. Reverberi non condivideva il percorso che Lucio aveva intrapreso già nel disco precedente; aveva con lui forti frizioni a livello caratteriale; il nomignolo non è dei più felici, tanto più se viene affibbiato da una persona che si trova antipatica. Insomma, Reverberi non mi ha convinto. Anche se, non avendo nessun elemento decisivo in mano, non posso che rispettare quello che mi ha detto”.


Dopo “Ma c’è qualcosa che non scordo”, tutto incentrato sul rapporto con Mogol, anche in questo tuo libro torni per forza di cose a parlare di lui: il suo era un ruolo solo di paroliere o qualcosa di più?

“Paroliere” è una brutta parola, specie se riferita a uno che è un vero e proprio autore di testi, con una sua poetica ben precisa: il fatto che Mogol non abbia mai cantato (e per fortuna: lui stesso dice di essere stonato come una campana) non diminuisce la sua statura autoriale, tanto più evidente se si pensa che molti suoi versi sono diventati proverbiali e spesso vengono citati tanto nel linguaggio comune quanto come titoli di articoli, libri, sceneggiati tv, film, ecc. Quindi già questo è un ruolo gigantesco. Da quello che lui stesso mi ha detto il ruolo era sostanzialmente quello: per quanto prima di ogni disco lui e Battisti facessero una specie di briefing cercando di individuare i punti forti da sviluppare della produzione precedente, Mogol non ha mai messo becco nella sua produzione musicale: pur non essendo d’accordo con i missaggi della voce in “Anima latina”, il disco è uscito così come voleva Lucio. Ed era Mogol che cacciava i soldi per la produzione. Non so quanti produttori major avrebbero questo rispetto oggi”.


Di Lucio si sa che era taccagno, individualista. Nessun pregio come uomo? Non ci sarebbe da stupirsi; tanti grandi musicisti erano e sono piccoli uomini…

“Beh, già essere individualista può essere un grande pregio, a mio modo di vedere. Dipende dal significato che si dà al termine. Ma i pregi di Lucio come uomo ci sono: era spiritosissimo, e questa è una delle più belle doti che possa avere una persona; le persone con cui ha stabilito un rapporto d’amicizia (che non si dà mica a chiunque: è una cosa seria) lo ricordano come umanissimo e piacevolissimo; e alla fine, anche sotto la scorza del taccagno, dalle interviste viene fuori che aiutava chi ne aveva bisogno.”


Nel lavorare al libro sei incappato in qualche novità inedita, qualche curiosità finora sconosciuta?

“Uno sterminio, anche se spesso si tratta di “cose da fans”. Qualcosa che possa scuotere il grande pubblico c’è: innanzitutto questo libro mette una pietra tombale sopra la leggenda del “Battisti nero”, finanziatore dei terroristi di Ordine Nuovo. Il bassista Bob Callero ricorda chiaramente la preoccupazione di Battisti e Mogol (specie di quest’ultimo) per la fama di destrorso che si era addensata su Lucio e una discussione tra i due sulla possibilità di votare Pci. Ora, non importa se l’abbia fatto o no: un finanziatore del terrorismo nero non avrebbe mai preso in considerazione neppure l’ipotesi. Lucio non era nemmeno comunista, sia chiaro: era un fricchettone liberal che non voleva essere usato da nessun partito per scopi politici. Per questo probabilmente, dopo un incontro di avvicinamento con “Re Nudo”, la rivista quasi ufficiale del Movimento, in vista di un’eventuale rentrée live al Festival del Proletariato Giovanile di Parco Lambro, rinunciò a quest’idea. L’incontro è ricostruito nel libro con interviste a tutti i protagonisti. Anche qui, comunque, non mi riesco a pensare che un finanziatore occulto di Ordine Nuovo si incontri amichevolmente con i principali esponenti dell’estrema sinistra: ridicolo oggi, tanto più nel clima di piombo degli anni 70.

Altre novità: “Anima latina” doveva essere doppio e da qualche parte, forse, ci sono nove inediti; inoltre penso di aver dato un buon contributo all’individuazione delle influenze brasiliane sul disco, entrando nello specifico, indicando fonti e autori di ispirazione”.


Per te il disco è un capolavoro, per me invece, che all’epoca non ho minimamente preso in considerazione, oggi risulta drammaticamente datato. Bastano davvero le buone intenzioni – fare musica che coinvolga attivamente l’ascoltatore, stravolgere la forma canzone strofa-ritornello ecc. – per fare belle canzoni?

“Quelle di “Anima latina” sono splendide canzoni, non buone intenzioni. Ovvio che non tutti abbiamo gli stessi gusti. Io aborro Vasco Rossi, lo vieterei per legge, ma milioni di persone pensano invece che scriva canzoni meravigliose: chi ha ragione? Tutti quanti e nessuno. Ognuno può decidere solo per sé, ed è giusto così. A me “Anima latina” ha cambiato la vita. Se ho sviluppato certi gusti musicali e non altri, è merito di “Due mondi”, sentita da qualche juke-box in un’estate caorlina del 1975. Certo, non è un disco nazional-popolare: ma se fosse questo il metro con cui giudicare se la musica bella o no, allora “L’aiuola” di Grignani si studierebbe nei Conservatori. Invece, nonostante il suo enorme successo di sette anni fa, per fortuna non se la ricorda nessuno. “Anima latina”, così come qualsiasi altro disco, non deve piacere per forza a tutti: ma, guarda caso, è uno dei dischi di Battisti che più resiste all’usura del tempo, grazie anche alle sue soluzioni visionarie; uno dei più amati dalle nuove generazioni, come dimostrano anche i quattro interventi finali di alcuni tra i migliori artisti indie di oggi (e Dente inizia il suo nuovo disco “L’amore non è bello” con un’aperta citazione di “Abbracciala abbracciali abbracciati”); inoltre, in genere è il disco che fa ai rockettari meno truzzi cambiare in positivo il giudizio su Battisti. Inoltre non immagini le mail che mi arrivano, da quando è uscito il libro, da parte di altri musicisti indie che mi raccontano quanto è stato importante per loro questo disco. Quindi, insomma, sarò un pazzo, ma non sono il solo. Siamo davvero in tanti”


Ti hanno dato una mano anche i fan club: ci sono ancora tanti devoti a Lucio?

“Di fan club sul web ce ne sono addirittura due: il forum it.fan.musica.lucio-battisti e http://www.luciobattisti.info/. Ogni anno le celebrazioni battistiane di Molteno sono affollatissime. Il numero delle iniziative locali dedicate a Lucio è addirittura in aumento. I nuovi musicisti riscoprono Lucio proprio con gli album da “Il nostro caro angelo” in poi, “E già” e bianchi panelliani inclusi, escludendo in genere proprio il primo Battisti, quello più nazional-popolare. Direi che la sua influenza è in aumento. Perfino i gruppi italiani più esterofili, quando mi sono trovato a intervistarli, non per il libro, mi hanno stupito citando come unica influenza italiana proprio Lucio. Non c’è da stupirsene: è il nostro Beatle. Imprescindibile. L’unico, tra i cosiddetti “cantautori” degli anni 70, a fare davvero musica, insieme a Battiato e Pino Daniele, senza essere in nulla inferiore ai modelli stranieri: non a caso due sue canzoni, interpretate da band straniere nel 1969 fecero la numero uno in Usa e in Uk: “Balla Linda” nella versione degli americani Grassroots (diventò “Bella Linda”) e “Il paradiso” in quella degli inglesi Amen Corner (“(If Paradise Is) Half as Nice”).


Ci confessi i tuoi top 5 di Battisti?

“Come canzoni, dici? Metto come regola che siano tutte di album differenti, sennò avrei bisogno di almeno venti possibilità. Compiendo questa dolorosa scelta direi “Due mondi”, ovviamente. Poi “Le tre verità”, “Vento nel vento”, “Ancora tu”, “Mistero”.

30 commenti
  1. valerio
    valerio says:

    Salve,
    ho letto con interesse questo intervento, soprattutto per le notizie che riguardano un album in effetti “misterioso”…
    Per quanto mi riguarda, e parlo da compositore/arrangiatore, “Anima latina” è forse l’album di Battisti che meglio resiste al trascorrere del tempo: suoni, produzione, scelta degli strumenti, sembrano fuori dal tempo. Spicca decisamente rispetto alla media delle produzioni italiane (e non solo) del 1974. Certo, le due cose un po’ datate potrebbero essere il timbro vocale della Cubeddu e il troppo uso di effetti qua e là, ma – ad esempio – il crescendo di “Due mondi” (1-sequenza-1 di accordi per circa 5 minuti… senza annoiare!) e la ripresa voce+piano sempre di “Due mondi” riescono ad emozionare ancora dopo 20 anni dal primo ascolto (ho scoperto questo album nel 1987)! Io parlerei di capolavoro: non è prog, non è latin, non è pop… ma tutto questo insieme!

  2. system security
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