Comprendere e confrontarsi

A volte mi stupisco che le cose, nella storia, si ripetano in maniera così straordinaria, seppur nell’ovvio mutamento di forme e modi.
La differenza tra forme e modi è nota: le prime riguardano la materialità della vita, che incontriamo nascendo; i secondi invece riguardano i rapporti umani, che si costruiscono strada facendo. Forme e modi s’influenzano a vicenda.
Ma perché cambiano forme e modi e non cambia la sostanza dell’essere umano? Perché, se siamo umani, abbiamo il libero arbitrio, che ci permette, entro certi limiti, di fare determinate scelte.
I limiti sono predeterminati, nel senso che non è possibile compiere azioni di bene o di male la cui bontà o malvagità sia infinita o illimitata. Ci muoviamo in un range che appartiene alla nostra natura umana.
Viceversa la sostanza o essenza (in italiano non facciamo molta differenza tra le due parole) dev’essere sempre quella, altrimenti tra gli esseri umani la reciproca comprensione sarebbe impensabile. “L’essere è e non potrebbe non essere”, sentenziava Parmenide, pur senza capire che il “non essere”, cioè la negatività, può essere di aiuto, indirettamente, alla coscienza della libertà. Tutto serve nella vita, se lo si sa prendere nella giusta misura.
Se esistesse una dimensione ultraterrena in cui vivono tutti gli esseri umani che ci hanno preceduti, dovrebbe per forza essere possibile confrontarsi con ognuno di loro, senza alcuna eccezione. E il confronto non dovrebbe servire solo per “capirsi”, nel senso di “intendersi”, come quando due persone parlano lingue diverse, ma anche e soprattutto per “comprendersi”, che è un di più, cioè una specie di condivisione della giustezza di determinate scelte: diciamo una forma di compartecipazione.
A volte, di fronte a certe situazioni, siamo soliti dire una frase rituale: “Lo capisco ma non l’accetto” (cioè non lo giustifico). Viceversa, quando si pensa, implicitamente, al verbo “comprendere”, la frase dovrebbe essere questa: “Al tuo posto avrei fatto la stessa cosa”.
Ma come si fa a sapere che una certa scelta è giusta? Esiste appunto il “confronto”, da non confondere con quella parola che, nel linguaggio politico, traduce l’inglese “confrontation”, che vuol dire l’opposto. Nessuno ha la scienza infusa, nessuno è infallibile.
Ecco, quando vedo certi statisti contemporanei, così chiusi nei loro pregiudizi, così attaccati ai loro interessi, penso che manchino proprio della capacità di “confrontarsi” con le esigenze altrui. Non riescono proprio a comprenderle. Ebbene, non credo sia possibile che gente così mentalmente gretta e moralmente cinica abbia il diritto di governare intere popolazioni.