LE VERITA’ NEGATE SULLA FINE DI ENRICO MATTEI – 2

di Benito Li Vigni

Il volta faccia di Cefis

Eugenio Cefis, vice presidente dell’Eni, lasciò l’ente nel gennaio del 1962. Motivazione: doveva occuparsi degli affari della moglie. I suoi dissensi con Mattei risalivano all’estate del 1961 quando si pensava che era difficile per l’Eni, oberata di impegni finanziari, ritardare ulteriormente la resa dei conti. Ma, soprattutto, quando Mattei e il “Matteismo”, divennero un casus belli per il Foreign Office britannico, preoccupato che il Presidente dell’Eni stesse per spezzare la morsa costruita attorno a lui dal cartello petrolifero che aveva a Londra, nella British Petroleum e nella Royal Dutch Shell, il centro decisionale e strategico. La preoccupazione britannica verrà così espressa dal Foreign Office in suo rapporto confidenziale del 19 luglio 1962: «Il Matteismo è potenzialmente molto pericoloso per tutte le compagnie petrolifere che operano nell’ambito della libera concorrenza. Non è una esagerazione asserire che il successo della politica “Matteista” rappresenta la distruzione del sistema libero petrolifero in tutto il mondo». Era dunque logico che Eugenio Cefis, assurto alla guida dell’Eni alla morte di Mattei, non fosse disposto a scontrarsi con i centri del potere britannico tanto più che la sua politica finanziaria prevalente sulle scelte manageriali non poteva inimicarsi la finanza mondiale che aveva a Londra i suoi sacrari inviolabili.

A giustificazione del suo volta faccia Cefis sostenne che la situazione dell’Eni era disastrosa e non mancò di accusare Mattei di mettere in pericolo l’alleanza atlantica. In una testimonianza resa, nel 1989, al giornalista Nico Perrone, Cefis affermò: «Dire che la situazione dell’Eni era disastrosa “è un eufemismo”: il rapporto mezzi propri indebitamento, tranne che per la Snam, era un disastro. Avere una situazione economica solida e finanziaria tranquilla, era necessaria per fare quello che voleva fare Mattei. L’unico modo era l’autosufficienza economica e finanziaria. Sotto questo profilo la situazione invece era disastrosa. Andava negli occhi della classe che contava in Italia e nel mondo, le “Sette Sorelle” e la NATO. Gli unici alleati di Mattei erano il Pci e l’Unione Sovietica: ecco perché quella situazione era importante».

Cefis, dunque, non condivideva la politica di rottura portata avanti da Mattei nei confronti dei potentati economici e finanziari anglo-americani. A motivazione di questo dissenso lo accusò di aver voluto gestire politicamente l’Eni. «Tra me e Mattei», disse in una intervista «c’era una sostanziale diversità sulla gestione: il mio era un approccio di operatore industriale e basta, il suo era anche un approccio da operatore politico. Naturalmente anch’io accettavo la componente politica, ma essa era per me soltanto l’ultimo addendo all’interno di un ragionamento che doveva arrivare alla conclusione partendo dalla valutazione prioritaria degli aspetti imprenditoriali e aziendali. In Mattei per le sue responsabilità e per la sua configurazione di uomo con un piede nel mondo imprenditoriale e con l’altro in quello della politica, la componente politica aveva, nella valutazione delle iniziative industriali, un peso di gran lunga superiore».

Appare quanto mai significativo che il volta faccia di Cefis avvenne nel momento in cui stavano per aprirsi prospettive migliori che l’Eni mai aveva avuto in precedenza, prospettive che non piacevano a determinati centri di potere nazionali e internazionali. I pozzi di petrolio del Sinai erano promettenti, le speranze del petrolio libico non erano del tutto tramontate stante la precarietà del potere di re Idris, l’intesa con l’Algeria era vicina come pure la collaborazione tra Algeria, Francia e Italia, in seguito estensibile alla Germania. La collaborazione avrebbe comportato la fornitura di gas naturale dall’Algeria all’Italia attraverso un gasdotto e la fornitura da parte italiana di servizi tecnici attraverso la costituzione di società miste. L’Eni avrebbe ottenuto la diretta proprietà su parte del greggio estratto. Inoltre, si era alla vigilia di un’intesa con gli americani e di un riconoscimento politico di Kennedy. «Mattei stava preparando una risposta così importante», ha scritto Marcello Colitti, «da cancellare d’un sol tratto tutte le difficoltà: l’accordo con la Esso. L’Eni aveva bisogno di greggio; gli americani e la Esso avevano paura dell’offensiva sovietica, e si rendevano conto che per batterla dovevano accettare condizioni e formule contrattuali relativamente nuove… Il programma americano non poteva riuscire più gradito a Mattei. Esso gli appariva come una vera e propria apoteosi, il riconoscimento pubblico e solenne della realtà dell’Eni e della politica petrolifera italiana; e tutto ciò senza che egli avesse ritrattato nulla, senza che avesse cambiato una virgola alla sua politica anti-colonialista e filo-araba. È facile immaginare il battage propagandistico e di stampa che ne sarebbe seguito, e il vantaggio politico che Mattei, accettato dagli americani e non più pericoloso, ne avrebbe tratto sul piano delle sue difficoltà con il centro-sinistra, con le banche italiane e internazionali e con i giornali che l’attaccavano. Aveva bisogno di un altro anno soltanto…».

Salito al vertice dell’Eni dopo la tragedia di Bascapè, Cefis, coerente alla linea di interessi particolari, assicurò che il piano strategico di Mattei naufragasse. Come vedremo, egli condusse le trattative con l’Algeria impostate da Mattei per poi ripudiare l’accordo, alla vigilia della firma del contratto e distruggere la credibilità che l’Eni si era costruita negli anni. Cadeva, dunque il progetto concepito da Mattei per una cooperazione energetica europea (senza gli inglesi) e si dissolveva la sua politica mediterranea e i presupposti che stavano alla base della linea di approvvigionamento europeo dall’Algeria. Dopo la morte di Mattei, infatti, il progetto Europa e l’azione mediterranea, con le loro innegabili implicazioni politiche, lasciarono il posto alla politica di Cefis, volta a stabilire rapporti di collaborazione con le grandi del petrolio evitando di turbare i vecchi e consolidati equilibri mondiali, specie quelli che più interessavano gli inglesi. Il Foreign Office britannico in un suo rapporto del 4 gennaio 1963, non mancò di sottolineare come la morte di Mattei avesse creato «un’atmosfera di sollievo per la perdita di un uomo che non tollerava nessun tipo di opposizione e che sarebbe stato difficile per qualunque governo, supponendo che qualcuno ci abbia mai provato, andare contro il volere di un uomo di questo tipo». E questo rapporto, emblematico dell’estrema avversione britannica nei confronti di Mattei, dava per scontato che Cefis sarebbe stato «più incline a favorire un corretto commercio del settore petrolifero e del gas e che il governo italiano avrebbe riportato l’Eni sotto il suo controllo confinandolo alle attività per le quali era stato creato (di operare a livello nazionale; n.d.a)».

Eugenio Cefis, uomo di smisurate ambizioni e abilissimo nel gestire gli affari, anche propri, installatosi al vertice dell’Eni, si preoccupò subito di «far pace» con le Sette Sorelle del petrolio e fu spontaneo mettere a raffronto la sua etica «liberista» con quella dello «Stato imprenditore» di Enrico Mattei, considerato il «padre di tutti i corruttori» della Prima Repubblica, l’antesignano delle commistioni fra industria pubblica e politica. Al momento della morte violenta l’inventore dell’Eni, colui che aveva fatto tremare le multinazionali petrolifere, viveva con la moglie in due stanze dell’hotel Eden di Roma. Né ville, né yacht, né proprietà terriere, né grandi patrimoni. Alla vedova il direttore del personale dell’Eni, consegnerà l’assegno della liquidazione: 54 milioni.

Ebbene, Cefis trasformò l’Eni in un “mercante” che opera entro spazi che altri gli assegnano, attuando con spregiudicatezza la politica di liquidazione dell’eredità di Mattei e di trasformazione dell’ente petrolifero di Stato in un soggetto subalterno alle grandi compagnie internazionali. Eliminò, inoltre, le tensioni sotterranee che esistevano prima tra il capo dell’Eni e coloro che per ruolo istituzionale ne avrebbero dovuto controllare l’operato. Fugò ogni preoccupazione di Fanfani su problemi internazionali e interni, quest’ultimi inerenti la sua “corrente”.

A volere Cefis alla guida dell’Eni fu proprio Amintore Fanfani che di Mattei non approvava la diplomazia parallela che copriva ampi spazi della politica estera italiana, diventandone spesso il protagonista. Tra gli elementi del risentimento di Fanfani nei confronti del presidente dell’Eni, oltre ai problemi internazionali che investivano i rapporti con i governi americano e inglese, c’era il “complotto” di Mattei contro la sua corrente politica in Sicilia mandata all’opposizione dall’operazione Milazzo; e c’era un problema di gestione dei fondi Eni di finanziamento dei partiti che Mattei disponeva a suo piacimento. Una somma enorme che poteva fare la forza di un partito, di una corrente politica, di un uomo politico determinandone il peso e anche il successo. Era dunque uno strumento di forza e di potere che, venendo a mancare, penalizzava ogni velleità di supremazia politica all’interno del partito e più in generale, nell’ambito più ampio della lotta politica tra i vari schieramenti. Fanfani, di cui era nota l’aspirazione alla presidenza della Repubblica, come vedremo più avanti, aveva seri motivi di risentimento nei confronti di Mattei connessi alla sua gestione dei cospicui fondi Eni. A complicare i rapporti c’era l’emergente ruolo politico di Mattei sulla scena italiana, connesso alla mediazione di Kennedy e che avrebbe trovato la risoluta opposizione di Fanfani, in quel momento presidente del Consiglio.

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«Era questa la politica che Cefis proponeva nell’estate del 1961, allorché Mattei, aveva invece deciso di ampliare il suo raggio d’azione?». Se lo chiede Giorgio Galli nel libro “La Regia occulta”, e si da questa risposta: «E probabile. La versione secondo la quale le dimissioni di Cefis furono sollecitate da Mattei perché questi si era reso responsabile di speculazioni in proprio in Sicilia, fornisce un elemento aggiuntivo, ma non determinante, della decisione del presidente dell’Eni di porre fine a una collaborazione quasi decennale. […] Si può ragionatamente supporre che Cefis avesse fatto presente questa sua posizione, a uomini della Dc (Fanfani in primo luogo), già nell’estate del 1961. vi erano senza dubbio dirigenti democristiani che anche prima della morte di Mattei sapevano che esisteva una politica dell’Eni alternativa a quella del presidente dell’Eni e un uomo (Cefis, appunto) in grado di attuarla. Questa politica aveva il vantaggio di assicurare alla Dc, nella fase di avvio del centrosinistra che tante ostilità suscitava nei settori conservatori della borghesia italiana, l’appoggio dell’amministrazione americana e dei potenti gruppi che con quell’amministrazione (impersonata da Kennedy) erano in eccellenti rapporti». E non è senza significato che «Vincenzo Cazzaniga, uomo di fiducia della Esso in Italia e ottimo amico di Cefis, diventa dopo la morte di Mattei l’intermediario più idoneo di una politica che assicura alla Dc la protezione e le tangenti delle grandi compagnie».

Nel 1977 Cefis lascia la Montedison, ma continua a lavorare dietro le quinte. Pare che si occupi delle sue proprietà, pare in Canada, e c’è qualcos’altro che lo impegna, qualcosa sul versante della loggia P2 che lo vedrebbe protagonista, anzi fondatore. Ci sono due appunti riservati del Sisde e del Sismi, decisamente inquietanti. Il 17 settembre del 1982 il Sisde scrive: «Intensi contatti sarebbero intercorsi in Svizzera fino ad agosto tra Licio Gelli ed Eugenio Cefis, presidente di Montedison International». Il 20 settembre 1983, è la volta del Sismi: «Notizie acquisite da qualificato professionista vicino a elementi iscritti alla P2 dei quali non condivide le idee: la loggia P2 è stata fondata da Eugenio Cefis che l’ha gestita sino a quando è rimasto presidente della Montedison. Da tale periodo ha abbandonato il timone, a lui è subentrato il duo Ortolani-Gelli».

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Anche la politica ha invaso spesso il terreno della giustizia attraverso ingiustificate e ingiustificabili intromissioni. Ne è un esempio l’interpellanza parlamentare del 24 gennaio 2001, presentata al Ministro della giustizia dall’onorevole Carlo Giovanardi, esponente del centrodestra, duramente rivolta contro il giudice Calia e la sua difficile inchiesta..

Nel 2004 il giudice Calia ha depositato una sentenza di archiviazione presso il Tribunale di Pavia che di fatto nega, a livello di pubblica conoscenza, l’esplosione in volo dell’aereo di Mattei. E se l’aereo non è esploso non è stato commesso alcun crimine. Dunque non ci sono colpevoli. Enrico Mattei aveva sognato un’Italia che stupisse il mondo, creando un gruppo dove c’era lavoro vero, risorse reali, immaginazione imprenditoriale, passione creativa, competizione accanita. Dopo Mattei ci sarà l’Eni di Eugenio Cefis e del suo «impero». Ci sarà l’Italia dei “fondi neri”, delle stragi, del potere economico-politico e dei suoi legami con le varie fasi dello stragismo. Ci sarà l’Italia degli scandali e della corruzione: dai veleni interni all’ente petrolifero nazionale fino a Tangentopoli, all’Enimont, alla madre di tutte le tangenti. Ci sarà la nebbia che avvolge da troppo tempo il caso Mattei (e tanti altri delitti), diventato uno dei grandi misteri italiani, in cui si proietta l’ombra sinistra del complotto di Stato; una macchia intollerabile per la nostra democrazia.

1 commento
  1. william
    william says:

    ENI, “codice etico” e Servizi Segreti

    Notizia tratta dal portale Indymedia al link:

    http://piemonte.indymedia.org/article/5520

    In una surreale seduta Straordinaria del Consiglio di Amministrazione dell’E.N.I. (che trovate trascritta ed in originale) evocato il nome d’un fantomatico giornalista (Altana Pietro) e dei nostri Servizi Segreti Italiani

    Stà scritto lì, nero su bianco, nel verbale del C.d.A. dell’E.N.I.:

    “… l’11 giugno 2004 Abb denuncia alcuni manager dalla sua filiale milanese di occultamento di perdite di 70 milioni di euro e rassegna al PM Francesco Greco due nomi di propri dipendenti, tali Carlo Parmeggiani e Piarantonio Prior, che sarebbero coinvolti anche anche in una tangente al manager di Enipower Larenzino Marzocchi.Mi chiedo per quanti anni ancora sarebbe andata avanti tale forma e genere di crimine se non ci fosse stata nel marzo 2004 l’indagine del professionista della stampa Altana Pietro (fonte ritenuta vicina ai Servizi Segreti) che ha fatto indagini su Enichem, Enipower, ABB; se non ci fosse stata la denuncia al Magistrato da parte di Abb, mi chiedo come possa essere motivato una tale procrastinazione di delittuoso comportamento, per altro verso una pluralità di commissionari, senza che, in più anni e sistemi di controllo aziendali interni siano riusciti ad intercettare alcunché…”.

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