LA EXIT STRATEGY DAL PETROLIO E’ URGENTE

LA EXIT STRATEGY DAL PETROLIO E’ URGENTE

Molte sono le possibili strade da percorrere, ma il nucleare sarebbe un errore. L’energia pulita può essere per l’Europa il motore di unità e di crescita

di Benito Li Vigni

Il prezzo del barile di petrolio è destinato a raggiungere i 200 dollari. Da una parte c’è la speculazione, dall’altra la domanda crescente e le tensioni internazionali. Ci sono fattori strutturali che spingono in alto i prezzi, come la forte domanda di petrolio di Cina e India e la riduzione delle scorte americane. E poi la temuta incursione statunitense in Iran che, con le tensioni venezuelane e nigeriane e le incertezze irachene, concorre a disegnare uno scenario geopolitico atto a spingere il petrolio verso livelli di prezzo insostenibili. Il problema non è solo il suo prezzo, ormai troppo vicino ai 150 dollari al barile. E’ il suo utilizzo come fonte energetica altamente inquinante, costosa e meno efficiente che deve spingere il nostro Paese a trovare soluzioni alternative, senza aspettare una crisi di disponibilità mondiale che seguirebbe drammaticamente il raggiungimento del picco della produzione che gli esperti più accreditati fissano tra il 2010 e il 2020.

L’Asia, coi suoi ritmi di crescita frenetici che comportano enormi consumi di petrolio, potrebbe avvicinare pericolosamente il picco. La Cina, acquista greggio a qualsiasi prezzo, raggiungendo due obiettivi: soddisfare il proprio fabbisogno e mettere in difficoltà le economie occidentali. E, oltre a usare subito come alternativa centrali energetiche a carbone, si prepara già per il futuro. Nel 2020 la Cina avrà in funzione 30 reattori nucleari. Attualmente ne ha solo nove. L’India, altra protagonista della domanda mondiale di petrolio, sta seguendo la stessa strada. Ai suoi 14 reattori ne sta aggiungendo altri otto. E il Giappone ha già in funzione ben 54 reattori e ne sta realizzando altri due. Alan Mc Donald, analista della Iaea, l’agenzia atomica dell’Onu, ha dichiarato che il nucleare sarebbe l’unica strada che hanno i Paesi asiatici per raggiungere l’indipendenza energetica.

Il nucleare

Jeremy Rifkin, prestigioso presidente della Foundation on Economic Trends, ha lanciato un messaggio molto chiaro nel dissentire dalla scelta del nucleare. «In questo momento l’attività della lobby nucleare è fortissima: stanno spingendo in Europa, in Asia e in America… La tecnologia nucleare ha superato i 60 anni. All’inizio, quando si progettavano le prime centrali, si diceva che c’erano dei problemi di sicurezza, che c’erano dei problemi di trasporto delle scorie, che c’erano dei problemi di smaltimento dei rifiuti radioattivi, ma che con il tempo e con gli investimenti in ricerca tutti questi problemi sarebbero stati superati. Da allora è passato più di mezzo secolo e nel frattempo, nonostante il fiume di denaro speso, non solo quei problemi sono sempre lì, irrisolti, ma nel frattempo si sono aggravati. Oggi il nucleare è la più irresponsabile delle scelte anche perché tutto il ciclo di lavorazione dell’uranio, dalle centrali ai siti di stoccaggio, rappresenta un target ideale per i terroristi». In merito poi agli aspetti economici, Rifkin ha aggiunto: «Se si vuole fare il nucleare bisogna dire con chiarezza che le tasse devono aumentare perché è un’industria che per sopravvivere ha bisogno di forti finanziamenti pubblici: è troppo cara per un mercato liberalizzato». A questo punto però sorge un problema: «L’uranio è una risorsa scarsa: potrebbe finire prima del petrolio». Per cui: «Riconvertire il sistema energetico mondiale tarandolo su una materia prima limitata quanto quella che si vuole abbandonare non è una scelta lungimirante».

Il gas naturale

E’ noto che il gas naturale è il combustibile fossile meno inquinante del petrolio e del carbone, in quanto per unità equivalente di energia prodotta, petrolio e carbone producono rispettivamente un terzo e due terzi di CO2 in più. Ambientalisti e politici spingono da anni l’industria ad accelerare la transizione al gas naturale – il combustibile più pulito – nella speranza di contenere le nocive emissioni di gas serra. Nella produzione di energia elettrica in Italia, su 280mila Gwh, 120 mila arrivano dal gas naturale, 64 mila dal petrolio, 39 mila dal carbone e infine 57 mila dalle fonti rinnovabili. L’Enel paga dai 7 agli 8 centesimi al Kwh per il petrolio, dai 5 ai 6 per il gas e dai 3,5 ai 4,5 per il carbone. Il gas, dunque, è una buona fonte energetica ecologicamente possibile. Ma nuovi studi ipotizzano che la produzione globale di gas naturale raggiungerà probabilmente il picco subito dopo quello del petrolio. Secondo alcuni analisti la scarsità di gas naturale potrebbe cominciare a manifestarsi già nel 2025. E visto che il 40 per cento delle riserve di gas naturale si trovano nel «problematico» Medio Oriente, ci troveremmo sempre più alla mercé delle tensioni mediorientali e della Russia che sarà tentata di usare l’energia come arma politica per rivendicare il suo ruolo di potenza mondiale con le ipotesi ricattatorie che si possono solo immaginare. Una situazione, questa, che ridurrà ulteriormente le nostre aspettative energetiche e renderà aleatorio il futuro dell’economia globale. Il gas naturale – vera e propria fonte energetica di transizione – dovrà permettere nell’arco di un ventennio, di affermare una nuova cultura energetica attraverso nuove fonti rinnovabili e pulite che salvaguardino il futuro del pianeta.

Una nuova cultura energetica

La soluzione per uscire dalla dipendenza economica e politica del petrolio e dalle catastrofiche conseguenze dell’uso dei combustibili fossili sull’ambiente è quella di aprire una nuova era economica fondata sulle fonti rinnovabili e sull’idrogeno. Un nuovo piano energetico nazionale, ampiamente condiviso, che tracci la strada del cambiamento nella prospettiva di prevenire le inquietanti ipotesi della crisi delle riserve globali di petrolio e di gas naturale, dovrà promuovere approfonditi studi sulle nascenti tecnologie. L’opinione pubblica è sostanzialmente favorevole e la società civile è disponibile, il mondo scientifico è pronto per la svolta energetica. Quella che ancora manca è la leadership politica che promuova il cambiamento culturale. Scartato il nucleare, per i problemi e i rischi che comporterebbe, un nuovo piano energetico dovrà essere per l’Italia una grande occasione. «Il vostro Paese», ha aggiunto Jeremy Rifkin, «può diventare l’Arabia Saudita delle fonti rinnovabili: avete sole, vento, biomasse agricole, idroelettrico, geotermia. Potete essere al centro di un’Europa che apre una nuova era economica basata sulle fonti rinnovabili e sull’idrogeno e in grado di creare milioni di posti di lavoro».

Il sole

La quantità di energia potenzialmente disponibile che deriva dalla radiazione solare è davvero stupefacente. Un famoso scienziato ha detto che in quaranta minuti il sole effonde tanta energia sulla terra quanta l’intera umanità ne consuma in un anno. A dispetto degli impegni assunti con il protocollo di Kyoto e dell’obiettivo fissato dall’Unione Europea per ridurre del 22 per cento le proprie emissioni entro il 2010, l’Italia è molto in ritardo nello sfruttamento delle fonti alternative. A dispetto del suo mito di «paese del sole», l’Italia ospita pannelli solari per appena 23 Megawatt (MW), contro i 300 della Germania. Per ogni Kwh ottenuto dall’energia solare si risparmiano 220 grammi di gasolio e si evita l’immissione nell’atmosfera di 0,80 Kg di anidride carbonica. Migliorando l’attuale rendimento del 18 per cento e riducendo il costo di 30 centesimi di euro per Kwh attraverso un miglioramento dell’attuale tecnologia, il nostro Paese potrà ampiamente superare il traguardo quinquennale di 300 MW fissato da Bruxelles.

Il vento

L’industria dell’energia eolica è uno dei segmenti del mercato mondiale in maggiore espansione. L’Europa ha un ruolo di leadership mondiale nel settore dell’energia eolica: dei 15 gigawat (GW) di capacità eolica attualmente disponibili al mondo, 10 sono installati in Europa. In alcune regioni settentrionali della Germania, oggi il vento fornisce il 16 per cento della produzione di elettricità. In Danimarca, l’energia eolica assicura attualmente il 15 per cento dell’elettricità generale nel paese. In Gran Bretagna si prevede che la generazione eolica possa a breve soddisfare il 10 per cento del fabbisogno di elettricità. L’India, uno dei maggiori produttori di energia eolica, coprirà entro il 2030 il 25 per cento del proprio fabbisogno nazionale. In Italia, produrre un Kwh di energia eolica costa poco più di 5 centesimi di euro e rende il 60 per cento in più del gas. Il potenziale italiano è di almeno 3000-3500 MW, ma fino ad oggi ne vengono prodotti 900. C’è dunque molto spazio, specialmente nello sviluppo degli impianti eolici offshore per lo sfruttamento del vento in mare che ha permesso alla Grecia di raggiungere una produzione di energia di quasi 11.000 MW. L’Italia, ricca di coste e quindi di mare ha grosse possibilità nell’eolico offshore. A tal fine, l’Enea ha già individuato alcune zone ventilate dal fondale marino poco profondo per ottenere energia dal vento in alcune zone della Sicilia occidentale e della Sardegna.

Le biomasse

Le biomasse, sotto forma di rifiuti agricoli e industriali, e il biogas, che si origina dalla fermentazione dei rifiuti organici, possono essere utilizzati per generare elettricità. Secondo gli esperti, la Gran Bretagna con i suoi 30 milioni di tonnellate di rifiuti solidi prodotti ogni anno, potrebbe produrre elettricità sufficiente per coprire il 5 per cento del fabbisogno britannico. Attualmente l’Italia copre con le biomasse appena l’1,5 per cento del proprio fabbisogno di energia. Allo stato attuale delle cose produrre energia elettrica dalle biomasse costa intorno ai 10-15 centesimi di euro al Kwh. L’attuale basso rendimento del 25-30 per cento dipende dalla scarsa diffusione della tecnologia odierna. Una adeguata ricerca scientifica e l’adozione su vasta scala dell’utilizzo delle biomasse consentirebbe di migliorarne la resa in termini di efficienza riducendo nettamente il costo di produzione. Come vedremo più avanti le biomasse possono essere utilizzate per generare l’elettricità necessaria a ottenere idrogeno per via elettrolitica. Un progetto di grande rilevanza per una nuova politica energetica-ambientale.

L’idroelettrico

Nel 1963, il 65 per cento della domanda energetica nazionale veniva coperto dalle centrali idroelettriche; una tecnologia che non produce emissioni, che ha un rendimento dell’80 per cento e costa appena 3 centesimi di euro al Kwh. Oggi, mentre il petrolio continua la sua corsa e mette in difficoltà l’economia del Paese, l’energia idroelettrica copre appena il 19 per cento del fabbisogno energetico italiano, per una potenza installata di circa 17.000 MW e una produzione di 45.000 Gwh, nettamente inferiore a quella del petrolio e addirittura un terzo di quella del gas naturale. La penalizzazione dell’energia idroelettrica a favore del petrolio e del carbone (e recentemente del gas) ha provocato la progressiva escalation della bolletta energetica nel nome di un cambiamento che aveva la presunzione di sfidare sul piano del costo energetico un elemento di cui il Paese dispone: l’acqua. Oggi le microcentrali idrolettriche, inferiori ai 10 MW, soddisfano il fabbisogno energetico di aziende agricole e piccole comunità e rappresentano il 15 per cento della potenza idroelettrica nazionale. Percentuale che potrebbe sicuramente raddoppiare secondo gli esperti.

L’idrogeno verde

Jeremy Rifkin sostiene che anche le biomasse, sotto forma di rifiuti agricoli e industriali, possono essere utilizzate per generare l’elettricità necessaria a ottenere idrogeno per via elettrolitica. L’aspetto principale del ricorso a fonti energetiche rinnovabili (solare, eolica, idroelettrica e geotermica) per produrre idrogeno è che queste vengono convertite in energia «immagazzinabile», che può essere utilizzata in forma concentrata quando e dove necessario, senza alcuna emissione di CO2. Un futuro fondato su fonti energetiche rinnovabili, è possibile solo se si ricorre all’idrogeno come veicolo di immagazzinamento dell’energia. Questo perché l’elettricità è un effetto immediato dello sfruttamento delle varie forme di energia attualmente disponibili. L’idrogeno, quindi, è un modo molto conveniente di immagazzinare energia e di garantirne un costante e continuo approvvigionamento alla società. Sul tema dell’idrogeno verde, il piano energetico nazionale, dovrà investire subito in ricerca e sperimentazione. Nel 2002, l’Unione Europea ha stanziato due miliardi di euro per la creazione della piattaforma tecnologica per l’idrogeno. Nel settembre del 2005, a Bruxelles, 50 deputati di tutti i gruppi politici, si sono impegnati a sostenere il manifesto per l’idrogeno verde, ottenuto da fonti rinnovabili.

* * * * *

Il problema complessivo relativo al binomio energia e ambiente è essenzialmente di tipo culturale e che presuppone, insieme alla svolta energetica pulita e sicura, l’obiettivo di mantenere il nostro stile di vita consumando meno. Dovrà essere la tecnologia ad aiutarci a utilizzare in modo più efficiente l’energia che consumiamo. E la tecnologia del risparmio energetico dovrà permettere di migliorare l’efficienza totale di tutti i sistemi energetici. Bisogna produrre automobili che non sprechino in calore oltre l’80 per cento del valore energetico della benzina e accelerare la sperimentazione a idrogeno. Costruire case con sistemi ottimali di alimentazione energetica e di isolamento termico. Individuare tutte le possibili strategie di risparmio. Affermare una cultura energetico-ambientale che permetta a tutti di condividere una politica energetica che da un lato ripulisca le città dallo smog e dall’altro anticipi la strategia di uscita dal petrolio prima che l’approssimarsi del picco della produzione proponga una devastante crisi energetica globale.