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Esiste un aldilà laico?

La domanda che vorrei mi venisse posta, quando verrà il mio turno, è la seguente:
– Come avresti voluto essere?

Al che cercherei di approfittarne per chiedere:
– Sotto ogni punto di vista?

Se mi si rispondesse di sì, chiederei solo una cosa:
– Vorrei essere umano.

Questo per dire che un laico dovrebbe sottrarre completamente alla religione il cosiddetto “discorso sull’aldilà”. E’ ora di cominciare a farlo, perché forse questa è l’ultima cosa su cui la religione può accampare delle pretese.

Dovremmo cioè cominciare ad estendere al genere umano la legge scientifica sulla perenne trasformazione della materia. Noi siamo destinati a non essere mai esattamente uguali a noi stessi: siamo in perenne evoluzione, proprio perché, che lo si voglia o no, siamo destinati a esistere.

Il fatto di credere nella nostra eternità non dobbiamo vederlo come un cedimento a posizioni religiose, ma anzi come una conferma che tra energia materiale e spirituale non vi sono differenze sostanziali e che possiamo tranquillamente ipotizzare che all’origine dell’universo non vi sia alcun dio ma un qualcosa che dovremmo chiamare “essenza umana”.

Tutte le leggi dell’universo si concentrano in una sola: la libertà di coscienza. Lo sviluppo di questa libertà va inteso eterno nel tempo e infinito nello spazio. Prepariamoci dunque a uscire di nuovo dal grembo materno, per entrare di nuovo in una dimensione molto più vasta, in cui ci saranno regole da rispettare (come la legge di gravitazione universale, la velocità della luce, la riproduzione naturale ecc.), ma anche forme di indeterminazione, di imponderabilità da capire, che ci costringeranno a misurare la nostra intelligenza, la nostra capacità di reazione.

Ed esisteranno naturalmente anche le leggi spirituali, la prima delle quali sarà appunto quella del rispetto della persona, che su questa Terra scienza e religione garantiscono solo se si sta dalla loro parte, come se la verità fosse una cosa che sta qui e non là.

Non esiste un “premio per i buoni” e una “punizione per i cattivi”, ma soltanto la possibilità di essere se stessi, che è la stessa che ci dovrebbe essere offerta su questa Terra, e che per colpa di qualcuno che, dopo aver messo un recinto su un pezzo di terra, ha detto: “Questo è mio”, e per colpa di un altro che gli ha creduto, non abbiamo saputo utilizzare come avremmo dovuto.

E’ vero, l’inferno esiste nell’aldilà, ma solo per chi non avrà voglia di ricominciare.

Che cos’è la libertà di coscienza?

Qualunque siano le condizioni di spazio-tempo in cui deve essere vissuta, non cambia nulla. La libertà di coscienza va comunque salvaguardata. E’ un elemento imprescindibile, perché costitutivo, dell’universo. Possono cambiare le forme, le circostanze in cui viverla, ma resta sempre una legge dell’universo. Come la gravitazione universale. Non si può violarla impunemente e rimanere se stessi, umani. Va rispettata come elemento fondamentale del sé.
Certo, ci sarà sempre qualcuno che cercherà di non rispettarla, proprio perché sarebbe una contraddizione in termini cercare di imporla. Una cosa tuttavia è sintomatica: noi su questa terra violentiamo di continuo la libertà di coscienza e, nello stesso tempo, pretendiamo di non tener conto della gravitazione universale. Sin dai tempi dei Sumeri, che con le loro altissime ziqqurat.
A cosa è servita questa duplice violazione che ci portiamo dietro dai tempi della nascita delle civiltà? A nulla di positivo. Violando la coscienza aumentano le dittature e violando la gravitazione aumenta la possibilità dell’autodistruzione, poiché oggi abbiamo riempito lo spazio (aereo, cosmico, sottomarino) di armi distruttive di massa (contro cui al momento non v’è difesa) inquinando in maniera irreparabile l’ambiente, per non parlare del fatto che impieghiamo infinite risorse, umane e materiali, che potrebbero servire per risolvere i grandi problemi dell’umanità.
Noi non sappiamo star dentro i limiti che l’universo ci dà. Ma la cosa più grave è che la resistenza al male non è proporzionata alla gravità del problema. Noi lasciamo che la coscienza venga impunemente violata e lasciamo che si spendano ingenti risorse per uscire dal nostro pianeta, quando il vero problema da risolvere è come starci nel migliore dei modi, il primo dei quali è appunto quello di rispettare la libertà di coscienza e, contemporaneamente, quello di rispettare le esigenze riproduttive della natura. Le due cose s’influenzano reciprocamente.
Tutto quello che non serve a rispettare l’essere umano e la natura va abbandonato, non solo perché inutile ma proprio perché dannoso. Quindi se non ci dovrebbe essere nessuno che possa imporre di vivere la libertà di coscienza, non ci dovrebbe neppure essere qualcuno che possa imporre di non viverla. Tutta la questione dei diritti umani si riduce a questo semplice impegno che dobbiamo prendere con noi stessi.
Noi abbiamo una percezione falsata di cosa sia davvero utile allo sviluppo della libertà di coscienza. Siamo abituati a far coincidere il livello di cultura, tecnologia, scienza, diritto, politica, economia ecc. coll’indice di sviluppo dell’umanizzazione delle relazioni sociali. Abbiamo persino inventato, in statistica, l’Indice di Sviluppo Umano perché quello quantitativo del prodotto interno lordo ci sembrava troppo limitativo. Ma che cosa abbiamo messo nell’ISU? I medici, i posti-letto, gli alfabetizzati, i telefoni, i cellulari, gli host internet per mille abitanti, e così via. Sempre indici quantitativi. Vogliamo essere più obiettivi, esaminando da vicino le condizioni di vivibilità di un’intera società, ma, ancora una volta, facciamo i calcoli sui beni che possediamo.
Siamo abituati a pensare che la vera umanizzazione dei nostri rapporti dipenda dalle forme materiali che ci diamo, per cui tendiamo a considerare primitive quelle popolazioni o civiltà che non hanno le nostre stesse forme o non le hanno ai nostri stessi livelli. Essere “civile” per noi vuol dire disporre di certe forme materiali dell’esistenza: un’abitazione, un mezzo di trasporto, un lavoro che permetta di riprodurci e, se li abbiamo, di mantenere i nostri figli, una certa padronanza dei vari linguaggi ecc. Tutti gli altri esseri umani sono rozzi barbari incivili: hanno diritto a meno diritti, in quanto minus habens.
Ciò che fa sentire gli uomini uguali non è l’essenza di umanità che alberga in ognuno di loro, ma il fatto che qualcuno si adegua a ciò che qualcun’altro è, il cui essere è determinato dall’avere. E’ chi detiene il potere (politico, economico, culturale) che detta i modelli di comportamento e di pensiero.
Ora, è proprio in nome della libertà di coscienza che noi dobbiamo uscire da questa condizione di schiavitù. La libertà di coscienza può essere garantita solo dall’autodeterminazione dell’essere umano, che si organizza in forme sociali basate sull’autoconsumo. Qualunque ente esterno, laico o religioso, pretenda di garantirla, di fatto, cioè automaticamente, a prescindere da tutto il resto, la nega. Finché permane anche solo un’istituzione statale, che impone la delega della responsabilità personale, la libertà di coscienza non sarà mai un diritto pienamente acquisito.
Che cos’è dunque la libertà di coscienza? E’ la facoltà di scegliere o di decidere autonomamente il proprio destino, il proprio modo di essere.
Bisogna dunque trovare il modo di decentrare al massimo i luoghi dell’autodecisione popolare, che non possono riguardare soltanto la sfera della politica (vedi p.es. la polemica tra “centralisti” e “federalisti”), ma devono riguardare anche quella dell’economia. Se è giusto non illudersi che una semplice scelta federalista possa superare i limiti dello Stato centralista, ancora più giusto è chiedere al socialismo democratico di rivedere profondamente i propri presupposti.
Una qualunque realizzazione del socialismo a prescindere dall’autoconsumo, è destinata a trasformarsi in una dittatura. Esattamente come una qualunque realizzazione del federalismo che non metta in discussione le leggi del capitalismo, non servirà a nulla per la democrazia.

Libertà di coscienza e autoconsumo

Se rimane qualcosa d’irrisolto nella nostra coscienza, siamo perduti. Se non ci viene data la possibilità di chiarirci, di giustificarci, di pentirci del male che abbiamo provocato, direttamente o indirettamente, personalmente o per interposta persona, noi non avremo mai pace e non potremo fare alcun vero progresso.
I veri progressi possono esserci soltanto quando viene ricostruito il senso di umanità che alberga in noi. Rifatto alle radici. In caso contrario qualunque passo in avanti sarà in una direzione sbagliata. Non farà che peggiorare la situazione, aggiungendo problemi a problemi, il primo dei quali sarà quello d’illudersi d’aver trovato adeguate soluzioni. Come quando i Romani pensarono d’aver trovato negli imperatori la soluzione ai mali della Repubblica.
Infatti, nel cieco fanatismo dell’illusione si è incapaci di ascoltare gli altri, si procede a testa bassa, nella convinzione d’avere tutte le ragioni di questo mondo. Bisogna fare attenzione al sentimento dell’illusione, poiché se la gente ha subìto dei torti in un passato non così lontano da essere scordato, e troverà qualcuno che predicherà il riscatto sociale, vi crederà con tanta più forza quanto più si prometterà il riscatto in tempi brevi. Si finirà col vedere quel che non c’è e quel che c’è si farà finta di non vederlo, come si fece coi blitzkrieg e i lager.
Sfruttando le nefaste conseguenze del Trattato di Versailles sull’indipendenza della Germania, Hitler illuse milioni di tedeschi che sarebbero potuti diventare, accettando sacrifici enormi, i dominatori del mondo nell’arco di una sola generazione.
Tuttavia, se il problema stesse solo a questi livelli morali, forse non sarebbe così gravoso. Non è possibile infatti che uno, in tutta la sua vita, non abbia mai commesso un errore di cui pentirsi, e se si è pentito una volta, può farlo anche una seconda.
Il punto è un altro. Nessuno, da solo, è in grado di sapere fin dove è arrivato il torto compiuto, neppure se lo guardasse a distanza di molti anni. Nessuno, individualmente, può avere una chiara consapevolezza di tutte le conseguenze causate dai suoi errori. Nessuno può sapere fino a che punto è necessario chiedere perdono. Se in una società lo stupro è contro la morale e non contro la persona (come finalmente lo è diventato in Italia a partire dal 1996), il pentimento sarà più o meno profondo? Se in una società è prevista la pena di morte per un omicidio (e in Vaticano è rimasta giuridicamente sino al 1969), a che serve pentirsi?
Noi abbiamo bisogno di un collettivo che ci dia una visione generale delle cose, poiché a volte pensiamo di aver fatto del male e invece le conseguenze sono state positive per chi l’ha subìto (perché ad es. lo ha indotto a reagire, ad assumersi delle responsabilità, ad affrettare il momento di compiere una scelta che aveva già in mente).
Altre volte invece pensiamo di fare del bene, offrendo p.es. aiuti al Terzo mondo, e non ci rendiamo conto che proprio in questa maniera perpetuiamo i meccanismi di sfruttamento neocoloniale che inducono quelle popolazioni a chiederci assistenza.
Noi non siamo dei Robinson che viviamo in un’isola deserta. Qualunque cosa facciamo ha conseguenze che non riusciamo neppure a immaginare. Siamo così reciprocamente legati che anche quando non facciamo niente, facciamo qualcosa. La coscienza è davvero un abisso senza fondo, un buco nero che inghiotte tutte le interpretazioni univoche. Omnis determinatio est negatio. Non ci si perde nell’abisso solo prendendo la via negativa.
Dobbiamo essere addestrati a guardare le cose nella loro globalità. Ogni nostra azione negativa non è che una goccia che, sommata alle altre, alla fine fa traboccare il vaso. Tutti sanno benissimo che il rischio c’è, però siccome non si può stabilire quando il disastro avverrà, si spera che eventi imprevisti, a noi favorevoli, o il buon senso di chi ci governa, scongiurino il peggio. Ci comportiamo come incoscienti e ostentiamo ottimismo sugli effetti finali del nostro comportamento, salvo poi meravigliarci che le cose siano andate diversamente.
Non siamo abituati a guardare le cose nella loro interezza, proprio perché nella nostra civiltà domina l’individualismo, cioè la ragione del più forte. E’ lui che detta le regole del gioco, di cui la prima è quella di non avere regole, ovvero quella di darsele solo in maniera formale, sulla carta, per accontentare i moralisti, quelli che dicono di “avere coscienza”.
Prendiamo p.es. i vecchi film americani dedicati agli indiani. La morale apparteneva naturalmente solo ai bianchi, anche se fra questi vi erano buoni e cattivi; alla fine vincevano sempre i buoni, che magari si sacrificavano per il bene della loro collettività. Con la vittoria dei buoni, anche la condizione degli indiani migliorava e, se non migliorava, la colpa era degli stessi indiani, che non avevano capito la bontà dei bianchi, per cui questi erano stati costretti a sterminarli. In quei film i registi non riuscivano a distinguere la consapevolezza soggettiva di certi comportamenti (per gli indiani i bianchi “buoni” potevano anche apparire migliori dei bianchi “cattivi”) da quella oggettiva (per gli indiani era la stessa cosa avere a che fare con bianchi “buoni” o “cattivi”, essendo la civiltà di costoro basata sul business). Oggi hanno smesso di fare quei film non perché abbiano smesso di credere nel dio quattrino, ma perché se continuassero a sostenere che la civiltà fondata sul business è in tutto e per tutto migliore di quella indiana, si coprirebbero di ridicolo. Gli americani hanno placato i loro sensi di colpa semplicemente mostrando in alcuni film che in fondo gli indiani non erano così cattivi come venivano dipinti e che avevano indubbiamente ragione a difendere la loro terra. Detto questo possono continuare a restare nelle loro riserve e nei loro musei. Gli americani sono lontani anni luce dal capire che l’unica vera alternativa al loro devastante stile di vita stava e ancora oggi sta proprio nella civiltà che hanno distrutto.
Quando si dice che l’inferno è lastricato di buone intenzioni, non s’intende forse dire che in una civiltà antagonistica l’innocenza non esiste a nessun livello e che la corruzione è generalizzata? Qualunque azione si compia va sempre esaminata obiettivamente. E l’oggettività in questione è quella che risponde alla domanda se una determinata azione ha contribuito in maniera significativa al superamento della mentalità anti-umanistica della nostra civiltà.
Madre Teresa di Calcutta può aver salvato, nel corso della sua vita, migliaia di persone dalla malattia, dalla fame, dalla disperazione, ma se queste sue iniziative non hanno portato a ripensare concretamente, sostanzialmente, i motivi per cui in India vi siano milioni di malati ed affamati, alla fine quel suo operato farà inevitabilmente gli interessi del sistema, che potrà sempre dire di non stare con le mani in mano di fronte a quelle tragedie.
Questo non vuol dire che, prima di partire, uno dovrebbe sapere in anticipo quali effetti sul sistema avrà il proprio impegno. Vuol semplicemente dire che mentre uno lavora per il bene dell’umanità, non può trascurare le cause oggettive che la rendono schiava di poche forze senza scrupoli. E’ stato un gravissimo errore degli scienziati non essersi chiesti a tempo debito quali avrebbero potuto essere le conseguenze della scissione dell’atomo.
La morale è una cosa, la politica un’altra, non nel senso che noi occidentali abbiamo dato a questa distinzione, secondo cui una buona politica difficilmente si basa su una buona morale, ma nel senso che la politica è quella scienza che permette di andare oltre le questioni meramente soggettive (il proprio impegno personale, la propria dedizione all’altrui bisogno ecc.).
Bisogna saper guardare le cose oggettivamente (che non vuol affatto dire “con distacco” o “freddezza” o “cinismo”), per cercare di commettere meno errori possibile, e anche per evitare d’illudersi sull’efficacia delle proprie iniziative personali, ovvero per evitare di accusare le istituzioni quando, secondo noi, mostrano di non capirci. Spesso si recrimina fino al punto in cui, per ripicca, si smette di compiere qualunque opera di bene.
Più che alle istituzioni, che rappresentano il potere che va combattuto, bisogna rivolgersi alle masse, alle classi, agli strati sociali, portandoli, con l’esempio di una pratica differente del bene, a un punto di rottura col sistema. Dal sistema, così com’è, bisogna soltanto cercare di uscire: è illusorio pensare di riformarlo. Questo ovviamente non deve impedirci di non fare distinzioni tra chi, all’interno del sistema, vuole conservare l’esistente così com’è, anche quando dice di volerlo riformare, e chi pratica o almeno sostiene teoricamente una politica più vicina agli ideali dell’umanesimo laico e del socialismo democratico.
Noi dobbiamo porre le basi di un sistema di vita i cui valori fondanti siano totalmente alternativi a quelli che reggono l’attuale sistema. E i due principali valori sono la libertà di coscienza e l’autoconsumo. L’uno viene garantito dall’altro, reciprocamente. Entrambi prevedono la scomparsa dello Stato. Infatti uno Stato che si fa garante della libertà di coscienza, eo ipso la viola, e uno Stato non può garantire l’autoconsumo, visto che la sua nascita è strettamente collegata a quella del mercato. La libertà di coscienza può essere solo autogarantita da un collettivo indipendente sul piano materiale.