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Violenza e non-violenza

La non-violenza non serve a far cadere i governi corrotti, reazionari. Una dittatura può anche ridurre il proprio arbitrio, ma lo farà solo per continuare a governare. La non-violenza non spaventa nessuno. In Sudafrica il governo razzista ha ammesso la sconfitta non perché c’era la non-violenza di Mandela, ma perché esistevano forti pressioni internazionali. Lo stesso accadde nell’India di Gandhi. I paesi capitalisti han bisogno dei mercati mondiali: non possono restare isolati, basandosi sull’autoconsumo.

Tuttavia, senza una rivoluzione vera e propria, i conflitti al massimo si attenuano, ma non si superano. È assurdo pensare che una dittatura accetti di lasciarsi superare dalla non-violenza. Anzi, in genere, accade il contrario: se all’arbitrio non si reagisce con fermezza, il potere non avrà motivo di non continuare a usarlo. La non-violenza va bene non per abbattere le dittature, ma per costruire l’alternativa dopo averle abbattute, e solo a condizione che tutti siano disarmati e che le contraddizioni fondamentali siano state risorte.

In tal senso è stato un errore gravissimo dello stalinismo sostenere che quanto più si edifica il socialismo, tanto più forte è la reazione negativa dei fautori del capitalismo. Dicendo questo, non si faceva altro che istituzionalizzare l’uso della violenza da parte del governo.

Quando si preparano le rivoluzioni armate, la non-violenza serve per dimostrare che la violenza è unicamente dalla parte del potere corrotto e autoritario. La non-violenza serve per acquisire consenso, non come criterio di strategia generale. Infatti essa è relativa: le masse rivoluzionarie non useranno violenza finché questa non verrà usata da chi le domina.

La violenza non può essere gratuita, ma solo una forma di legittima difesa. Una non-violenza ad oltranza viene predicata solo dei poteri dominanti e solo per convincere i ceti oppressi a non ribellarsi. L’ideologia della non-violenza ad oltranza impedisce qualunque rivoluzione, poiché ipostatizza un atteggiamento, prescindendo da qualunque svolgimento dei fatti. È soltanto una posizione schematica, ideologica, finalizzata a difendere i poteri costituiti.

La differenza tra rivoluzione violenta e non-violenta sta unicamente nel fatto che la prima non considera le persone individualmente responsabili del sistema che difendono. La lotta infatti è contro un sistema, non contro le persone: è una lotta di idee. Eliminare singole persone di governo significa fare del terrorismo.

Chi domina deve avere terrore di chi patisce ed è pronto a ribellarsi, ma proprio perché sa che la ribellione sarà di massa. È evidente che quando si ottiene un consenso di massa attorno a una determinata idea di società alternativa, l’esigenza di usare la violenza, da parte di chi cerca un’alternativa, sarà minore, poiché si spera sempre che tra le persone di governo vi sia qualcuna riluttante a buttarsi in una repressione di massa, il cui esito potrebbe essere molto incerto.

Ma questo non vuole affatto dire che chi ha organizzato una rivoluzione di massa, non debba essere pronto a difenderla anche con le armi. Una rivoluzione che non si sa difendere, non vale nulla. E il potere deve capire che è giunta la sua ora: nel momento culminante dell’azione rivoluzionaria di massa non vi possono essere titubanze, tentennamenti. Sarebbe da irresponsabili indugiare nei momenti decisivi.

Non si può giocare a fare i rivoluzionari. Non si possono consegnare nelle mani della reazione migliaia o decine di migliaia di persone, nella convinzione che una grande repressione scuoterà le coscienze e indurrà gli incerti ad aderire alla rivoluzione. Sono piuttosto i dittatori ad affermare di aver bisogno di almeno mezzo milione di morti per poter sedere al tavolo delle trattative di pace.

Questi calcoli cinici e meschini, che non tengono in alcuna considerazione la vita umana, non si giustificano neanche di fronte alla peggiore dittatura e non potranno certo costituire la base su cui costruire una valida alternativa. In nessun momento l’azione rivoluzionaria può porsi in maniera contraddittoria ai fini che vuole realizzare. Il fine certamente giustifica i mezzi, ma non fino al punto da sacrificare i valori umani. Non abbiamo bisogno né di gesuiti né di machiavellici.

La perfezione dell’imbroglio

Nelle civiltà antagonistiche, dove l’uomo è il lupo dell’uomo, e sicuramente la nostra (di noi occidentali) è una delle più perfette, l’imbroglio non è l’eccezione ma la regola. Se il cosiddetto “socialismo reale” fosse sopravvissuto, avremmo dovuto dire che loro erano più perfetti di noi, in quanto gestivano l’imbroglio sottomettendo l’economia alla politica. Ma in Russia sono stati poco furbi, soprattutto perché troppo autoritari, troppo ideologici. La gente può rassegnarsi a vivere una vita grama, ma non a tenere sempre la bocca chiusa.

Sono stati più astuti i cinesi, che hanno salvaguardato molte cose del vecchio “socialismo reale”, aprendo le porte della società civile (non dello Stato) a dinamiche tipicamente borghesi. In tal modo è come se avessero detto: “politicamente devi continuare a tenere la bocca chiusa, ma economicamente, se ne sei capace, puoi emanciparti notevolmente”.

Quando i cinesi arriveranno a comprendere i meccanismi inerenti alla gestione di un diritto del tutto formale e di una democrazia del tutto fittizia, avranno raggiunto la perfezione dell’imbroglio. Sì, perché, oltre a queste cose, che devono ereditare da noi, loro avranno anche quella capacità autoritaria di farle funzionare che a noi oggi manca del tutto.

La dittatura del capitale dovrà servirsi di elementi che esaltino la democrazia e il socialismo apparenti, e che nella sostanza (quella nascosta) siano caratterizzati da un implacabile autoritarismo, analogo a quello staliniano e maoista, che, quando nacquero, erano avanzatissimi nella gestione dell’imbroglio, pur essendo privi del supporto della borghesia. Entrambi infatti si servirono dei funzionari statali, cioè di una classe sociale apparentemente al di sopra delle parti, fingendo di fare gli interessi, l’uno degli operai, l’altro dei contadini.

Stalinismo e maoismo sono durati molto di più del nazismo e del fascismo non tanto perché la Russia e la Cina non avevano forti tradizioni borghesi o una cultura delle libertà civili e dei diritti umani, quanto perché il nazifascismo era una dittatura priva di una vera idealità politica. Infatti, pur volendo imporre l’idea di Stato a tutta la società, di fatto né Hitler né Mussolini vi sono mai riusciti, in quanto il capitale privato non è mai stato toccato, anzi è stato favorito in tutti i modi, tant’è che proprio sotto di loro nasce il capitalismo monopolistico di stato.

Non solo, ma i partiti totalitari dell’Europa occidentale sono sempre stati caratterizzati da un notevole cesarismo, sicché, alla morte dei loro leader, sarebbe stato impossibile continuare con lo stesso tipo di autoritarismo.

Viceversa sia in Russia che in Cina la dittatura è continuata ben oltre la morte di Stalin e di Mao e, in un certo senso, continua ancora oggi. Con questa differenza, che mentre in Russia il governo ha potuto continuare ad essere autoritario rinunciando anche formalmente alle idee del socialismo, in quanto là ci si può avvalere d’immense risorse energetiche, che danno l’illusione d’una ricchezza illimitata, per cui non si ritiene necessario parlare di “socialismo”; senza poi considerare che la Russia, essendo un paese immenso, è convinta d’essere praticamente non conquistabile da parte di altri paesi (e se certamente non lo è da parte di un paese euroccidentale, non può dire di non esserlo anche da parte di un paese asiatico – Mongolia docet!).

In Cina invece, dove tali risorse sono infinitamente minori, l’autoritarismo ha potuto formalmente continuare in nome degli ideali socialisti, illudendo quell’immenso serbatoio di manodopera a basso costo (nella parte occidentale del paese), sfruttata in maniera molto intensa, che se la situazione dovesse degenerare, si può sempre contare sull’appoggio dello Stato e del partito unico, che han concesso alla società civile d’imborghesirsi in via transitoria, a titolo, per così dire, sperimentale, giusto per evitare un’altra Tien an men.