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Il fallimento della cosiddetta Società Civile. Ma il “Tutti a casa!” vale anche per noi giornalisti

Per essere onesti, bisogna riconoscere ad alta voce che non solo i politici hanno fatto bancarotta nel non prevedere lo sbalorditivo boom di Beppe Grillo, e anzi nel provocarlo con la loro insipienza e corruzione diffusa. C’è anche la cosiddetta “società civile”, quella che pescando tra personaggi famosi e professionisti ritenuti onesti per definizione, da oltre venti anni, per la precisione da quando Nando Dalla Chiesa il 2 dicembre 1985 l’ha fondata come associazione, si è illusa di potere insegnare il mestiere ai partiti e ai politici di mestiere o almeno di raddrizzarne le storture. Lo tsunami Grillo ha chiarito senza possibiltà di equivoci che la “società civile” non è fatta dai professionisti di grido e neppure da vedove e orfani illustri, ma proprio da gente qualunque, quel che si usa definire la “ggente” o anche il “popolo”. La “società civile” cara a Dalla Chiesa e adottata infine come piatto forte anche nel PD da Walter Veltroni a Pierluigi Bersani, che ha voluto candidare l’avvocato e orfano illustre Vittorio Ambrosoli alla guida della Lombardia, si è rivelata solo come un altro  diaframma tra la politica e la società civile senza virgolette liberata infine da Grillo. Dallo stagionato Antonio di Pietro all’esordiente egocentrico Antonio Ingroia è stato tutto un fallimento elettorale. Per fortuna, vorrei aggiungere. Questa pretesa dei pubblici ministeri “eroi” di ripulire l’Italia come novelli Robespierre aveva preso una piega talmente pericolosa che è bene abbia sbattuto contro il duro muro della realtà elettorale stanca di promesse tanto mirabolanti quanto inconcludenti.
E ci siamo anche noi giornalisti, anche questa volta colti drammaticamente di sorpresa. Assolutamente di sorpresa. Come i sondaggisti, del resto. Nessuna delle “grandi firme” dei grandi giornali e delle grandi reti televisive iitaliane, Rai compresa, ha annusato lo tsunami in arrivo. Nessuno quindi è stato capace di fare analisi e descrivere la realtà. Il che significa che la realtà non la conosceva nessuno. Perché? Perché da troppo tempo i grandi giornali e le grandi tv sono la sponda di partiti e interessi politici ed espressione di interessi economici e finanziari ben precisi. Fanno cioè parte di quel mondo verso il quale i grillini gridano “Tutti a casa!”. E infatti ecco che Grillo già da tempo agita la scure del taglio delle provvidenze pubbliche alla stampa esattamente come la scure del taglio dei rimborsi delle spese elettorali ai partiti. Continua a leggere

E Renzi ha fatto plof

La notizia è che Matteo Renzi ha perso e perso male. Però ha dalla sua il merito di avere suscitato l’interesse alla politica di una buona fetta dei giovani che di tutto si interessano fuorché di politica. Speriamo solo che non restino talmente delusi da questa sconfitta da ripiombare nel loro ghetto giovanile avulso da partiti, elezioni, politica, istituzioni, parlamento, ecc. Sarebbe un danno grave, molto grave. Che si aggiunge a danni già notevoli che i giovani subiscono con il degrado della scuola, dell’Università, dell’educazione civica e personale provocata da decenni di blablablà e scosciamenti televisivi oltre che di iperboli modaiole, e infine  dalla grande difficoltà a trovare un lavoro degno di questo nome e di una vita tutta da vivere.

In tv, e non solo nel confronto con Pierluigi Bersani, Renzi è parso un po’ troppo enfatico, troppo verboso, pronto più alla battuta a effetto che all’esposizione di programmi e strategie per risolvere i problemi dell’Italia. In politica estera la sua tirata contro l’Iran, che pareva quasi l’anticamera di una dichiarazione di guerra se fosse diventato premier, è apparsa di una rozzezza sorprendente come pure il molto riduttivo accenno a Gaza. In  vista del ballottaggio Renzi è diventato anche un po’ troppo polemico, lamentoso, in affanno, con quel suo  innescare il vicolo cieco del sospetto su trucchi vari per impedire ai suoi supposti fans il voto al ballottaggio: il tipico comportamento di chi sente sul collo il fiato della sconfitta e comincia perciò a straparlare di complotti. Non ho capito perché al ballottaggio non poteva partecipare chi non aveva votato al primo turno, e non l’ho capito anche perché nei Paesi dove vige il ballottaggio – Italia compresa per sindaci, presidenti di provincie,  senato e corte costituzionale – vota chiunque voglia di votare anche se non lo ha fatto al primo turno. Continua a leggere

Romanzo – e verità – di una strage: quella di piazza Fontana del 12 dicembre 1969. E della perdita della nostra innocenza.

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Questo qui sopra è il link del file dell’intervista che mi ha fatto Radio Città Futura il 3 aprile riguardo le polemiche feroci nate dal film di Marco Tullio Giordana “Romanzo di una strage”. Il film è stato tratto dal libro “Il segreto di piazza Fontana”, scritto dal mio amico e collega Paolo Cucchiarelli, il quale sostiene che a piazza Fontana le bombe erano in realtà due. Una di scarsa potenza messa molto probabilmente dall’anarchico Pietro Valpreda, incolpato subito della strage a mo’ di capro espiatorio e uscito indenne di scena dopo qualche anno di galera grazie al sottoscritto e a Mario Scialoja de L’Espresso. L’altra, di potenza devastante, messa da un provocatore prezzolato somigliante a Valpreda per poterlo incastrare, come in effetti avvenne. Per reazione a quella strage e al disegno autoritario che le stava dietro nacque il terrorismo di sinistra, dagli anni delle bombe fasciste e di Stato agli anni di piombo. Qualcuno – mi pare il sindaco di Milano Giuliano Pisapia – ha detto che il 12 dicembre 1969 noi italiani, e non solo quelli della nostra generazione, abbiamo perso la nostra innocenza. E’ vero.

Prima che Cucchiarelli scrivesse il libro ho parlato con lui un paio di volte, raccontandogli le cose che mi sono tenuto dentro per decenni e alle quali ho accennato a volte nel nostro blog.

Quando mi hanno intervistato non avevo ancora visto il film e non volevo vederlo: meglio guardare avanti che indietro. Per giunta, così in profondità…. Poi su consiglio di Scialoja tre giorni fa sono  andato a vederlo. E oggi a Cucchiarelli ho scritto questa lettera:

“Caro Paolo, il film non lo avevo ancora visto e non volevo vederlo. Poi Mario Scialoja m’ha chiesto un commento al suo blog dedicato proprio al film e alla strage, e m’ha detto che  valeva la pena lo vedessi. Molto potenti, e per me emotivamente insostenibili, le scene delle manifestazioni di massa. Di forte impatto la scena dell’esplosione che si riversa sulla piazza. M’è venuta in mente la scena del film Vajont di Martinelli nella quale l’arrivo dell’onda che spazzerà via mille vite umane e qualche paese è preceduta dal vento spinto avanti in crescendo dall’acqua che avanza tutto travolgendo. Una scena che ferma il tempo. Ti inchioda al dolore. Ti inchioda al riviverlo…. Il vento in arrivo ti succhia via il fiato, ti svuota i polmoni, l’irrompere della massa d’acqua ti annega nei ricordi… Continua a leggere

Sette giorni, una vita. Il Lingotto-Marchionne sancisce la fine delle conquiste civili e dello sviluppo dell’Italia iniziate col dopoguerra? E’ ormai più che assodato che siamo governati nell’interesse di una banda di malfattori. Per giunta benedetti da un Vaticano protettore dei bunga bunga dei preti pedofili

Qual è la notizia peggiore tra quelle dell’ultima settimana? Difficile dirlo, perché è stata una grandinata. Sono reduce dalla quattro giorni di congresso nazionale tenuto a Bergamo dalla Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), cioè del sindacato nazionale federale dei giornalisti italiani, la cui prima giornata è stata occupata dai discorsi dei tre editori ospiti, Carlo De Benedetti del Gruppo L’Espresso, Fedele Confalonieri di Mediaset e Piergaetano Marchetti della RCS, cioè della Rizzoli-Corriere della Sera. Stendiamo un pietoso velo. Per ora. Armiamoci di coraggio e procediamo.

1) – Il caso Fiat-Marchionne. Che in realtà è il più importante di tutti dal punto di vista strutturale e dell’economia. Beh, sappiamo già di che si tratta, lo abbiamo detto alcune volte. In Italia sono in atto due cose: lo smantellamento di molti diritti conquistati con la lotta contro il fascismo e nel dopoguerra; la riduzione progressiva del cittadino in consumatore. In questo quadro c’è la tentazione di demolire anche la dignità professionale, riducendo il più possibile a forza lavoro un tanto al chilo, cioè all’ora o alla giornata, qualunque tipo di figura professionale subordinata. Quanto accade al Lingotto della Fiat non è che la conseguenza di tutto ciò, nonché la spallata definitiva. C’è la tendenza a rendere il lavoratore subordinato italiano sempre meno lavoratore professionale e cittadino e sempre più forza lavoro un tanto al chilo e consumatore. A pensarci bene non si tratta di ridurre i lavoratori italiani come fossero extracomunitari, ma come fossero palestinesi in Israele. L’extracomunitario infatti dopo alcuni gironi infernali può diventare cittadino italiano come gli altri, ma il palestinse d’Israele non potrà mai diventare un cittadino come gli altri alla stessa stregua dei lavoratori italiani che sempre meno potranno essere cittadini come quelli che campano del lavoro altrui anziché solo del proprio. Con l’aggravante che ai vari Elkan, che disgraziatamente hanno preso il posto degli Agnelli prematuramente scomparsi, Giovannino ed Edoardo, della Fiat “italiana” non gliene può fregare meno, se non per altri miliardi di euro regalati dallo Stato italiano ufficialmente “a favore dell’occupazione” (!), per il semplice motivo che hanno una mentalità quanto meno “internescional”, come dimostra l’incapacità di Lapo Elkan a parlare in italiano decente che è pari alla sua capacità di spendere – qualcuno forse direbbe scialacquare – quattrini in malo modo. Quattrini, non dimentichiamolo mai, che provengono in parte dalle nostre tasche, cioè dalle nostre tasse, e in massima parte dal sudore dei lavoratori. Continua a leggere

Altro che premio Nobel per la pace: Obama prende a schiaffi la Cina sia a sudest che a nordovest. Mentre Berlusconi e il suo Partito dell’Amore grondano odio anche nella trasferta in Israele

Ci risiamo. Con i due pesi e due misure, intendo. E comincio a pensare che il presidente Usa e premio Nobel per la pace mister Obama finirà con l’essere forse peggio di Bush, se non di Nixon. Mentre infatti sorride alla Cina e pare voglia cercare con essa la nuova partnership mondiale, con una mano fornisce nuove armi all’Isola di Taiwan-Formosa, chiaramente un pezzo di Cina anche se ancora un avanzo del criminale Chang Kai-shek diventato di fatto un protettorato Usa, e dall’altra e con l’altra riceve il Dalai Lama. Ovvero, tradotto in italiano: una pedata nel sedere a sudest, con le armi a Taiwan, e un pugno in faccia a nord ovest, con il Dalai Lama irredentista del Tibet. Della serie “abbiamo sempre e comunque ragione noi”. Se questa è distensione….

Poi c’è il nuovo atto della ormai ventennale piece berluscona. E’ andato in scena un nuovo attacco del capo del governo contro la magistratura italiana, attacco più adatto a una repubblica delle banane con sapori golpisti: “Con la magistratura dobbiamo usare la mano dura”, frase che ha il pregio di essere quanto mai esplicita e di fare anche rima. Ora è in scena il viaggio in Israele. O meglio: i baci in bocca con il suo governo sfacciatamente di destra, dove ricopre la carica di ministro degli Esteri un amante della pulizia etnica risolutiva finale come Avigdor Lieberman, che ha anche il pregio di essere un baro. Continua a leggere

Di Raimondo Mesiano volevano fare un altro Dino Boffo

Perché il servizio di Canale 5 sul magistrato Raimondo Mesiano ha tanto insistito sullo “strano” colore dei suoi calzini? E perché la voce fuori campo che spiegava gli “strani” movimenti di Mesiano, peraltro niente affatto strani, ma del tutto normali, ha tanto insistito sulle sue “altre stranezze”?

Tutti abbiamo pensato che le allusioni alle altre “stranezze” si riferissero alla sentenza di risarcimento della Fininvest nei confronti della Cir di Carlo De Benedetti, a suo tempo scippato della Mondadori grazie a una sentenza comprata dall’avvocato Cesare Previti per conto del suo unico cliente Silvio Berlusconi. Invece chi ha suggerito ai colleghi di Canale 5 di insistere sul colore dei calzini e sulle altre asserite stranezze ha inteso mandare un messaggio. Quale? Di che tipo?
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“Muoia Sansone con tutti i filistei!”: è ormai il grido del Silvio Sansone della Fininvest e di Mediaset deciso a scassare anche la Costituzione pur di farla franca con la giustizia

Anche un cretino capisce che le minacce “brigatiste” a Silvio  Berlusconi, Umberto Bossi e Gianfranco Fini sono o il delirio di un cretino, come ha giustamente detto lo stesso Fini, o un servizio reso a Berlusconi da una qualche manina o manona, ingaggiata a bella posta da amici o amici degli amici. Il nostro amatissimo Chiavaliere a Dondolo Berluscon de’ Berlusconi, più alto che onesto, è infatti stretto nell’angolo da varie botte in testa ricevute di recente e da altre che lui sa o teme che stiano per arrivare. Cosa di meglio dunque di una bella patacca utile a farlo passare per vittima dei “brigatisti? Bush è riuscito a ingannare alla grande anche i suoi stessi concittadini facendo inventare su misura le “bombe atomiche irachene” utili per fare accettare ai gonzi la guerra all’Iraq. Nel suo piccolo, il disinvolto circo Barnum di Berluscon de’ Berlusconi deve accontentarsi di una qualche “minaccia brigatista”…. Continua a leggere