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Magari la Gran Bretagna finisse a pezzi dopo il voto contro l’Unione Europea!

Che l’Europa sia una realtà inventata dalla Chiesa spaccando l’unità con l’Oriente e da questa fatta imporre con le armi di Carlo Magno è cosa che ho detto e ripetuto più volte, per esempio in http://www.pinonicotri.it/2008/10/ancora-sta-storia-delle-radici-cristiane-ma-in-italia-e-in-europa-ce-ne-sono-varie-altre-e-se-non-vogliamo-la-catastrofe-e-bene-tenerne-conto-ora-che-non-solo-la-cina-e-vicina-e-gli-usa-un-p/ . Del resto la stessa parola Europa è stata usata politicamente per la prima volta da uomini di Chiesa. Alla fine del VI secolo fu l’abate irlandese San Colombano, il fondatore dell’abbazia di Bobbio, a citarlo – “tutus Europae” – in una lettera a papa Gregorio Magno. Poi il  monaco Isidoro Pacensis usò il termine “europei” per indicare i soldati di Carlo Martello che avevano combattuto a Poitiers: “prospiciunt Europenses Arabum tentoria, nescientes cuncta esse pervacua”. E tralasciamo la truffa che da sempre afferma che a Poitiers si combatte contro gli arabi cioè contro gli islamici, quando invece si combattè contro un’orda di pastori baschi. Uno dei miti fondanti dell’identità europea è quindi anch’esso una truffa. Ovviamente. A partire dall’Orlando furioso….

Ho anche scritto più volte che le tradizioni e le radici “pagane”  tranciate con la spada, col fuoco  e col sangue da Carlo Magno in poi hanno sempre teso a riemergere qua e là nonostante tutto. E ho spesso aggiunto che senza la civiltà arabo islamica e le invenzioni, scienze e culture che essa ci ha veicolato l’Europa non sarebbe diventata quello che è diventata. Logico quindi che a furia di negare la realtà storica e di voler mantenere la frattura con l’Oriente e gli Orienti si rischia che l’Europa subisca un tracollo epocale.

E’ inoltre noto che l’Inghilterra, nonostante il ruolo di San Colombano nell’edificare la coscienza dell’Europa,  ha sempre combattuto contro la possibilità che nel Vecchio Continente dopo il Sacro Romano Impero si potesse realizzare un potere egemone che lo riunificasse.

Tutto ciò premesso, non sarebbe male che la Gran Bretagna finisse travolta dal suo orgoglio ebete e guerriero espresso col voto che vuole a maggioranza l’uscita dall’Unione Europea, vale a dire la vittoria del Brexit contro il Remain. Gli inglesi se ne stanno già pentendo velocemente, le firme per un nuovo referendum sono già a quota tre milioni, ma la possibilità che Scozia, Irlanda tutta e la stessa Londra mandino in malora l’unione con il Regno Unito e le preferiscano invece l’unione con l’Europa è francamente uno scenario elettrizzante. Compreso il togliersi dai piedi la ridicola e costosissima famiglia reale capeggiata da Elisabetta e dal suo incartapecorito marito Filippo e stagionato figlio Carlo somigliante a un wuerstel. Ahhh, magari togliersi dai piedi  anche i “fascinosi” nipoti e annesse “fascinose” consorti, tutta gente più adatta a riviste specializzate in gossip che a gestire un moderno Paese europeo. I filmati dei festeggiamenti per i 90 anni della regina fanno morir dal ridere per il ridicolo, a partire dal 92enne Filippo esibito con un altissimo colbacco fissato marzialmente alla gola  come un Dragone o un Ussaro in procinto di guidare un assalto di cavalleria anziché essere scarrozzato nell’augusta auto scoperta usata per le esibizioni dei sovrani al popolo, che dovrebbe essere il vero sovrano.

L’Inghilterra punta tanto per cambiare alla disgregazione dell’Europa, con il seguito di inevitabili guerre. Grazie alle quali poter ancora esercitare il suo potere più o meno arbitrale non solo sul Vecchio Continente. Gli inglesi che vivono nella muffa e nella naftalina e che applaudono entusiasti la famiglia reale non si sono ancora resi conto che dalla fine della seconda guerra mondiale il mondo è piuttosto cambiato. Un amaro risveglio non sarebbe male.

Germania ingrata verso la Grecia, che nel 1953 contribuì a salvarla dal debito pubblico

Paolo Raimondi* Mario Lettieri**

Dopo le elezioni politiche, da Atene è partita la proposta di una “conferenza europea sul debito”. Ciò sta determinando un ampio dibattito in tutto il vecchio continente. La Bce di Draghi e la Commissione europea non possono ignorarla. I fautori del rigore fiscale e dell’austerità senza crescita e senza sviluppo dovranno rivedere il loro approccio.

L’Unione Europea e l’eurogruppo sono di fronte a decisioni che sollecitano profondi cambiamenti di metodo e di politica economica.

La Grecia ha un debito pubblico di 310 miliardi di euro pari a circa il 175% del suo pil. Prima del 2007 era dell’89%. Nella zona euro era del 66% prima della crisi finanziaria globale, oggi si aggira intorno al 93%.

Negli anni passati per salvarsi dalla bancarotta Atene ha chiesto e ricevuto dalla Ue e dal Fondo Monetario Internazionale due bailout per 240 miliardi di euro. In cambio ha dovuto sottoporsi ad una “terapia shock” fatta di tagli dei budget statali, di drastiche riduzioni delle spese pubbliche e di aumenti delle tasse richiesti e imposti dalla Troika.

Di conseguenza oggi l’economia greca è in ginocchio. Dopo 6 anni di compressione economica, gli investimenti sono stati ridotti del 63,5%, la sua produzione industriale è scesa di un terzo, il pil si è ridotto del 26%. La disoccupazione è salita a oltre il 25% della forza lavoro e quella giovanile al 62%.

D’altra parte è noto che dei 240 miliardi di “aiuti” (l’Italia vi ha contribuito con 41 miliardi di euro) solo il 10% è andato a sostegno della spesa pubblica o del reddito dei cittadini greci. Il resto di fatto è stato una partita di giro. Sono stati acquistati titoli di stato greco detenuti dalle grandi banche private europee ed internazionali che premevano per disfarsene, minacciando quindi di accelerare il processo di bancarotta dello Stato. E una parte è andata a pagare gli interessi sul debito pubblico cresciuti a dismisura.

In una simile situazione la cosiddetta ripresa economica non ci può essere, è uccisa ancora prima di iniziare. Riteniamo che sia una scelta suicida sia per Atene che per Bruxelles.

Perciò la richiesta della ristrutturazione del debito greco all’interno di una specifica conferenza europea sul debito è l’unica mossa razionale possibile che va ben al di là del colore politico del governo pro tempore. Infatti la Spagna, l’Irlanda e il Portogallo mostrano un grande interesse per tale proposta. Pensiamo che lo debba fare anche il nostro Paese.

Anche importanti analisti economici di differenti scuole di pensiero economico, e persino il Financial Times, giudicano la politica europea nei confronti della Grecia completamente fallimentare. Osservano che se fossero concessi nuovi aiuti finanziari, indispensabili per tenere in vita lo Stato e il debito della Grecia, e fossero usati come nel passato, l’economia e la società comunque sprofonderebbero nella palude della depressione.

La Bce sta già acquistando titoli di stato dei Paesi europei nella prospettiva di creare maggiore liquidità per nuovi investimenti nell’economia reale. La stessa banca inoltre potrebbe acquistare sui secondary bond market, i cosiddetti mercati obbligazionari secondari, titoli di stato, detenuti dai privati, della Grecia e non solo. Naturalmente ciò comporterebbe una rivoluzione copernicana sia nella Bce che nell’Ue in quanto si potrebbe unilateralmente rinviare indefinitamente le scadenze di tali titoli mantenendo tassi di interesse irrisori.

In sintesi Atene chiede un trattamento non dissimile a quello concesso alla Germania dopo la Seconda Guerra mondiale. Lo si decise alla Conferenza di Londra del 1953 che fu guidata dagli Stati Uniti e coinvolse 20 nazioni, tra cui la Grecia. Alla Germania fu concessa la cancellazione del 50% del debito accumulato dopo le due guerre mondiali e l’estensione per almeno 30 anni del periodo di ripagamento del restante.

Inoltre dal 1953 al 1958 la Germania avrebbe pagato soltanto gli interessi sul debito. Fu concordato in particolare che tali pagamenti non superassero il 5% del surplus commerciale della Germania.

Tale accordo permise all’economia tedesca di ripartire. Il Piano Marshall di sostegni economici fu poi determinate per lo sviluppo dell’economia. Molti Paesi creditori furono interessati a sostenere l’export della Germania permettendole così di pagare i debiti e gli interessi. Naturalmente l’allora geopolitica, che assegnava alla Germania il ruolo di baluardo nei confronti dell’Unione Sovietica, fu decisiva.

E’ importante sottolineare che l’Accordo del 1953 affermava di voler “rimuovere gli ostacoli alle normali relazioni economiche delle Germania Federale con gli altri Paesi e quindi di dare un contributo allo sviluppo di una prosperosa comunità di nazioni”. Un concetto che meriterebbe di essere proposto anche oggi per l’intera Europa.

* economista ** già deputato e sottosegretario all’Economia

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[Pubblicato come interfvista su Blitz: http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/germania-nel-1953-ebbe-dalla-grecia-laiuto-che-oggi-le-nega-2104374/ ]

 

La crisi dell’euro fa bene: alla Gemania

La crisi euro ha fatto risparmiare 40 miliardi alla Germania

Mario Lettieri*  Paolo Raimondi**

In questi anni di profonda crisi dell’euro, la Germania complessivamente non ci ha rimesso. Anzi ci ha guadagnato e non poco. Non c’è lo dice uno dei tanti analisti europei con il dente avvelenato per le troppe polemiche tedesche sull’utilizzo delle loro finanze per salvare altri Paesi europei in deficit e con elevato debito pubblico. E’ direttamente il ministero delle Finanze di Berlino a fornire dati precisi e incontrovertibili. Secondo il settimanale Der Spiegel, il governo tedesco, rispondendo ad una interrogazione parlamentare, ha dichiarato che, calcolando costi e benefici, al netto avrebbe speso la modica cifra di 599 milioni per sostenere il sistema dell’euro! Secondo il ministero delle Finanze però, dal 2010 al 2014 la Germania risparmierà ben 40,9 miliardi di euro, solo per minori pagamenti di interesse sui suoi titoli di Stato.

Questo è il risultato di una forte domanda di obbligazioni tedesche, dagli investitori ritenute titoli sicuri e rifugio nella crisi generalizzata dei debiti pubblici europei. Di conseguenza il tasso di interesse di tutte le nuove obbligazioni emesse in Germania è sceso di circa un punto percentuale. La combinazione del risparmio sui tassi di interesse e dell’aumento degli introiti fiscali nazionali generati da una economia in crescita ha fatto anche scendere il livello del nuovo debito pubblico tanto che per il periodo 2010-12 la riduzione è stata di 73 miliardi di euro. Continua a leggere

1) – Cipro: un test per far pagare ai risparmiatori i debiti delle banche in default. 2) – Francesco cala l’asso della povertà evangelica

Cipro: un test per far pagare ai risparmiatori i debiti delle banche in default

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

La vicenda di Cipro è la prova provata dell’incompetenza di Bruxelles e della Troika (Fmi, Commissione europea e Bce) a trattare le crisi finanziarie e bancarie in Europa. Gli euroburocrati hanno potuto mostrare la loro arroganza sostenuti da quei “duri” europei che vogliono il rigore soltanto per poter salvare le banche in default. Il sistema bancario di Cipro, a metà strada tra il legale e l’offshore, è pieno di soldi. Spesso di provenienza non limpida. Secondo il Fondo Monetario Internazionale avrebbe attività per 152 miliardi di euro pari a circa 8 volte il Pil del Paese. I depositi bancari, favoriti da tasse basse e da ancor più bassi controlli, ammonterebbero a 68 miliardi, dei quali il 40% sarebbe in mani russe.

La Cyprus Bank e la Cyprus Popular Bank, le due maggiori banche cipriote, sono in gravi difficoltà per le perdite in miliardi di euro subite sui bond greci. Ovviamente si può anche ipotizzare che il rischio di insolvenza sia dovuto all’accumulo di debiti causati da speculazioni andate male. Il governo cipriota deve far fronte alla crisi di bilancio come tutti i Paesi europei dell’area mediterranea. Servirebbero circa 17 miliardi di euro. Chi paga? Il Meccanismo di Stabilità Europea, cioè il fondo di salvataggio creato ad hoc per simili situazioni? Oppure il governo cipriota che non ha soldi e che non può chiedere prestiti in quanto violerebbero il patto da stabilità europeo? Continua a leggere

Il capo del governo ha tuonato contro le continue protezioni del Vaticano ai sacerdoti pedofili, minacciando sanzioni. Non vi eccitate: non si tratta del capo del nostro governo, ma di quello dell’Irlanda. Che sarà anche cattolicisima, ma non è serva papalina come lo Strapaese del bunga bunga

Lo scandalo della pedofilia che mina il clero irlandese ha avuto una nuova fiammata, che in Italia è ovviamente passata inosservata e comunque spenta subito. Il primo ministro della cattolicissima Irlanda, Edna Kenny, dopo la pubblicazione del rapporto nazionale su decenni di abusi dei preti irlandesi sui minori non solo nella diocesi di Cloyne, che un paio di anni fa ha dato origine a una inchiesta su scala nazionale, ha accusato ad alta voce il Vaticano oltre che di non aver “debellato” la pedofilia, ma di non averla neppure combattuta.
E’ stato infatti assodato che quella che viene anche chiamata la Santa Sede ha coperto in modo sistematico i suoi violentatori di minori irlandesi anche in tempi recenti. “Questa è una Repubblica, non il Vaticano!”, ha tuonato Kenny chiedendo spiegazioni Oltretevere. Affermazione elementare, ma sicuramente inaudita per i nostri politici, quando invece l’Italia avrebbe proprio bisogno di meno acquiescenza e servilismo clericale. Oltretutto, come è noto, e come molti sanno per conoscenza diretta, i bambini e le bambine vengono insidiate anche in Italia. Continua a leggere