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Quella brutta bestia dell’intolleranza in nome della religione

Basta la filosofia contro il fanatismo?

Scriveva Voltaire, ingenuamente, nel suo Dizionario filosofico (1764), alla voce “Fanatismo”: “Il più detestabile esempio di fanatismo fu quello dei borghesi di Parigi che si precipitarono ad assassinare, scannare, gettare dalle finestre, fare a pezzi, la notte di san Bartolomeo, tutti i loro concittadini che non credevano bene di assistere alla messa cattolica”.

Perché ingenuamente? Perché secondo lui contro la peste della religione l’unico rimedio era la filosofia. La sola religione ch’egli riteneva indenne dalla macchia del fanatismo era quella dei letterati cinesi.

In realtà contro il fanatismo non basta affatto la filosofia, anche perché la stessa filosofia non è detto che vada esente dal fanatismo (era forse democratica la filosofia degli irrazionalisti atei come Nietzsche o religiosi come Kierkegaard? o l’hegeliana Filosofia del diritto quando considerava lo Stato una divinità in terra e il singolo una mera astrazione?). Occorre soprattutto un affronto sociale del problema, tramite cui i presupposti che lo generano possano essere superati.

E al tempo in cui avvenne la strage dei calvinisti francesi da parte dei cattolici fanatici, il problema sociale stava anzitutto in questo: la transizione dal feudalesimo al capitalismo era necessaria? Se sì, poteva avvenire in maniera pacifica o implicava necessariamente una qualche forma di violenza?

Voltaire era lontanissimo dal poter rispondere a domande del genere, anche perché dava per scontato che la transizione fosse necessaria. Al massimo ammetteva che se nel XVI sec. poteva apparire normale che una tale transizione venisse gestita da una corrente ereticale del cristianesimo, chiamata “protestantesimo” (luterana o calvinista o anglicana che fosse), nel suo secolo, il XVIII, l’eredità di tale transizione poteva tranquillamente essere gestita da correnti filosofiche libertarie (economicamente mercantilistiche), le quali sul piano religioso accettavano al massimo un formale deismo. Tant’è che quando scoppiò la rivoluzione francese, la borghesia che si oppose con durezza all’aristocrazia, poteva tranquillamente essere cattolica o protestantica o deistica o persino ateistica. Di sicuro essa non avrebbe mai fatto una rivoluzione prendendo a pretesto delle questioni religiose. Semplicemente voleva un potere politico corrispondente alla sua forza economica.

Tuttavia, se nel XVIII sec. le questioni economiche erano diventate assolutamente prioritarie su quelle mistiche, anche in virtù del fatto che in nome del colonialismo extra-europeo, che garantiva un certo benessere, le rivalità religiose interne alle singole nazioni europee tendevano facilmente ad appianarsi, e la rivoluzione industriale stava iniziando a rendere l’uomo tecnologico sempre meno bisognoso di una protezione divina, viceversa nel XVI sec. le guerre di religione erano all’ordine del giorno. Nella sola Francia ve ne furono ben otto.

Le guerre di religione in Francia

Dopo la pace di Cateau-Cambresis (1559), che segnò la definitiva egemonia spagnola in Italia (i francesi vi rientreranno solo al tempo di Napoleone), e l’improvvisa morte accidentale del sovrano Enrico II (1547-59), era scoppiata in Francia una guerra civile i cui contrasti sociali tra nobiltà, borghesia e corona s’intersecavano con quelli di natura religiosa tra cattolici e calvinisti.

Il fatto d’aver perso la guerra con la Spagna per l’egemonia dell’Italia e delle Fiandre, aveva fatto piombare la Francia in una grave crisi interna, in cui emergevano le contraddizioni di una monarchia non sufficientemente centralizzata e autorevole, di una nobiltà cattolica che ancora pretendeva una propria indipendenza locale-regionale e che non si faceva scrupolo d’allearsi con gli spagnoli pur di averla, e di una borghesia sempre più calvinista, che aspirava ad avere un ruolo politico-nazionale anche in chiave ideologica, mirando a uno scontro diretto con la corona e la classe feudale.

Sul piano economico la situazione era drammatica: l’erario completamente vuoto, il debito pubblico enorme, le imposte sempre più alte, la miseria crescente, l’inflazione alle stelle, a causa del fatto che il colonialismo spagnolo sudamericano aveva introdotto in Europa un regime finanziario, basato sull’oro e l’argento, che non corrispondeva all’effettiva produzione materiale del continente.

I calvinisti (chiamati in Francia “ugonotti”) avevano organizzato il loro primo sinodo nazionale a Parigi nel 1558 e nel 1562 il loro numero complessivo si poteva stimare in almeno due milioni di persone. Nemici giurati della chiesa cattolica e del monachesimo, essi erano anche iconoclastici, in quanto distruggevano altari, immagini sacre e in qualche caso demolivano edifici di proprietà ecclesiastica. In genere appartenevano a classi sociali abbastanza agiate: commercianti di città e artigiani specializzati, ma vi erano anche molti esponenti della piccola nobiltà, che miravano alla secolarizzazione dei beni ecclesiastici per uscire dalla loro crisi economica, e vi erano anche vari esponenti del proletariato urbano e rurale, che vedevano nella lotta anti-fiscalista e nelle tendenze separatistiche una forma di emancipazione dalla dittatura della corona.

Il ruolo di Caterina dei Medici

Alla morte del re Enrico II, i figli Francesco II (1559-60) e Carlo IX (1560-74) erano ancora minorenni, sicché la reggenza passò alla loro madre, Caterina dei Medici (1519-89), avversata dai francesi per la sua origine straniera e per il suo esasperato gusto del lusso, dell’arte e dei costumi italiani. Nel complesso Caterina seppe difendere le posizioni principali dell’assolutismo, sia in politica interna che estera.

Le grandi famiglie aristocratiche feudali cercarono di approfittare della minorità dei figli di Enrico II per limitare i poteri della corona e, se protestanti, anche per ridurre lo statalismo della religione cattolica. Tra queste famiglie spiccavano i ricchissimi Guisa (cattolici), che non si accontentavano dei privilegi della Chiesa gallicana, legalizzati dal Concordato di Bologna del 1516, coi quali si assicurava alla Francia una notevole indipendenza dallo Stato pontificio, ma volevano anche ridurre di molto l’accentramento del potere regale, mettendo a rischio l’unità politica del paese, così faticosamente raggiunta dopo la guerra secolare contro gli inglesi, vinta al tempo di Giovanna d’Arco.

Poi vi erano i Borbone (calvinisti), largamente favorevoli all’accentramento del potere, ma a condizione che si desse carta bianca alla borghesia, in grado di assicurare grandi ricchezze al paese.

Nel 1560 il governo fu invece affidato temporaneamente al duca Francesco I di Guisa e a suo fratello, il cardinale di Lorena, zii della regina Maria Stuarda, entrambi cattolici intolleranti (la stessa Maria verrà fatta giustiziare dalla regina Elisabetta perché le tramava contro).

Di fronte a quest’aperta sfida, i protestanti, alla cui testa si pose allora il principe di Condé, tentarono un colpo di mano, che sfociò nella congiura di Amboise (1560), con cui gli ugonotti (chiamati così dai cattolici) cercarono, invano, d’impadronirsi del re Francesco II per sottrarlo alla tutela dei Guisa. La repressione del duca di Guisa fu molto dura, anche se il principe di Condé fu risparmiato.

Di fronte all’alleanza che gli ugonotti strinsero con la regina Elisabetta, i cattolici risposero alleandosi col peggior nemico della Francia, la Spagna di Filippo II, campione della Controriforma pontificia.

Dopo l’improvvisa morte di Francesco II, alla fine del 1560, Caterina dei Medici tenne la reggenza in nome dell’ancora troppo giovane Carlo IX e cercò un’intesa tra cattolici e protestanti, promulgando, nel 1562, l’Editto di Saint-Germain-en-Laye, che proclamava la libertà di culto pubblico per i protestanti, ma solo nei sobborghi e nelle periferie delle città o in zone di campagna, ponendo limiti al numero di partecipanti; inoltre essi dovevano restituire i luoghi di culto, già cattolici, di cui si erano precedentemente appropriati. I Guisa si dichiararono contrari a queste concessioni.

La prima guerra di religione

La prima guerra di religione (1562–63) scoppiò proprio perché i calvinisti non erano disposti ad accettare l’idea di un numero limitato di fedeli alle loro cerimonie. In una di queste i Guisa fecero fuori 63 ugonotti e, dopo aver visto che Caterina era intenzionata a revocare tutti gli incarichi di stato concessi alla loro famiglia, la indussero a mettersi completamente dalla loro parte.

Tuttavia, siccome Francesco I di Guisa morì nell’assedio della Orléans calvinista, Caterina dei Medici poté ristabilire la pace con l’Editto di Amboise, che autorizzava i borghesi protestanti a celebrare liberamente il loro culto in un solo luogo ben stabilito per ciascun distretto amministrativo.

Le città di Rouen, Orléans e Lione furono restituite ai cattolici, ma siccome le chiese prese dai protestanti erano state gravemente danneggiate, proprio in queste città riprese vigore l’intransigenza cattolica. Infatti si istruirono numerosi processi contro i protestanti, accusati di aver devastato le chiese e distrutto le reliquie e le immagini sacre.

La grande maggioranza dei cattolici non ammetteva che i protestanti potessero professare liberamente la loro confessione, mentre i protestanti, non avendo gli stessi diritti dei cattolici, si sentivano sudditi di seconda categoria, e miravano a rendere più puritano e borghese il Paese: avevano p.es. abolito la prostituzione (cacciando le prostitute), la moda dei vestiti colorati e sfarzosi (gli ugonotti tendenzialmente si vestivano di nero), le feste carnevalesche e “pagane”, l’elemosina ai mendicanti…

La notte di san Bartolomeo

A questa guerra di religione ne seguirono altre sette, sfruttando qualunque pretesto possibile. Il momento più cruento lo si ebbe durante la quarta (1572–73), con un terribile massacro di ugonotti avvenuto in quella che passò alla storia come la notte di san Bartolomeo. Per rinsaldare il mantenimento della pace tra i due partiti religiosi, Caterina aveva progettato il matrimonio tra la figlia Margherita di Valois e il principe protestante Enrico di Borbone, sovrano del regno pirenaico di Navarra (futuro re Enrico IV).

Papa Gregorio XIII (1572-85) non ne fu il promotore diretto della strage, ma il suo predecessore, Pio V (1566-72), vero uomo della Controriforma, poi canonizzato da Clemente XI nel 1712, odiava a morte i protestanti. Infatti al sovrano spagnolo Filippo II raccomandava di non avere per loro alcuna pietà. Lui stesso, quand’era cardinale e prefetto del Tribunale dell’Inquisizione, nel 1561, aveva organizzato il grande massacro dei Valdesi in Calabria, ove si erano rifugiati.

Il conte di Santa Fiora (Bosio II Sforza), messo da Pio V a capo delle milizie papali inviate in aiuto di re Carlo IX contro gli ugonotti, con l’ordine di uccidere qualunque eretico gli capitasse tra le mani, si distinse nella battaglia di Montcontour (3 ottobre 1569), ed ebbe in dono dal re le trentasette bandiere tolte ai nemici, che furono sospese nella basilica del Laterano.

Pio V esultò davanti alle stragi di calvinisti francesi compiute a Cahors, Tours, Amiens, Tolosa… Al duca d’Alba, Francesco Alvarez de Toledo, ch’era stato mandato dal sovrano spagnolo Filippo II nelle Fiandre per reprimere i calvinisti, fece omaggio di un cappello e di una spada benedetti per averne sterminati 17.000.

Quando Pio V fu sostituito da Gregorio XIII (un papa peraltro già sposato e con un figlio), famoso in tutto il mondo per la riforma del calendario, ormai il trend particolarmente violento della Controriforma non trovava ostacoli nel mondo cattolico, anche se in Italia la caccia agli eretici s’era praticamente conclusa.

Il suddetto matrimonio, previsto per il 18 agosto 1572, ovviamente non accettato dai cattolici intransigenti, aveva richiamato a Parigi una gran numero di nobili ugonotti. Sembra che Caterina, da tempo pressata dal papa che chiedeva l’intervento degli spagnoli per eliminare gli ugonotti dalla Francia, abbia cercato di sfruttare quest’occasione per porre termine alle continue guerre, eliminando in un colpo solo pressoché tutti i capi della fazione protestante, molto scontenti, peraltro, del fatto che Giovanna di Navarra, vedova di Antonio di Borbone, che nella Navarra aveva introdotto il calvinismo, era stata avvelenata da una congiura della corte francese e dei legati pontifici. Ma è difficile sapere fino a che punto la regina sia stata alla fonte di questo immane eccidio.

Di sicuro chi lo diresse personalmente fu Enrico di Guisa, col consenso del re Carlo IX: dalla notte del 23 agosto al mattino del 24 migliaia di ugonotti furono assassinati nelle loro case (Enrico di Borbone riuscì però a salvarsi). Poi la cosa si ripeté in altre città: Orléans, Troyes, Rouen, Bordeaux, Tolosa… (si parla di circa 15-20.000 morti), senza però ottenere i risultati sperati, poiché la guerra riprese ugualmente, concludendosi col fallimento, da parte delle forze cattoliche, dell’assedio di La Rochelle, dotata di un porto considerato inespugnabile.

I calvinisti misero in discussione l’autorità del potere reale, al punto che con la costituzione dell’Unione dei protestanti del Midi, si formò una sorta di repubblica di città e di nobili, con un proprio governo parallelo, che imponeva imposte, organizzava gli Stati generali, manteneva un proprio esercito e contestava il principio d’ereditarietà della monarchia e la legittimità della reggenza, particolarmente se tenuta da una donna straniera. Le città-fortezza di La Rochelle, Montpellier, Montauban ecc. fornivano i mezzi finanziari ed erano i punti d’appoggio fortificati; la numerosa piccola nobiltà costituiva le forze armate.

Intanto a Roma…

… il papa Gregorio XIII – “male informato sulla dinamica dei fatti”, cioè credendo che fosse stato sventato un attentato ai reali di Francia, secondo apologeti clericali come Vittorio Messori – fece celebrare un Te Deum di ringraziamento, con tanto di processione di 33 cardinali e di un folto seguito di sacerdoti e semplici fedeli (così narrato perfino sul sito ufficiale del Vaticano da Vittorino Grossi, Il Giubileo viaggio nella storia, www.vatican.va). Vi fu anche una funzione di ringraziamento in San Luigi dei Francesi, alla presenza del pontefice.

Non sembra però che in seguito, pur avendo avuto il tempo di prendere opportune informazioni, il papa abbia cambiato avviso, tant’è che, dopo aver festeggiato “con luminarie e tridui” lo scampato pericolo per la monarchia francese, “fece coniare una medaglia commemorativa dell’avvenimento, dando inoltre incarico al Vasari di affrescare nella sala Regia del Vaticano, insieme alla Battaglia di Lepanto, anche la notte di S. Bartolomeo”.

Inoltre, temendo una riconciliazione fra cattolici e ugonotti, scrisse una lettera al nunzio apostolico in Francia, cardinal Orsini, invitandolo a raccomandare al re di Francia Carlo IX, responsabile della strage di San Bartolomeo, “che insistesse fortemente perché la cura così bene cominciata co’ rimedi bruschi non guastasse con importuna umanità”.

D’altra parte egli avrebbe voluto far assassinare anche la regina Elisabetta, a motivo della scomunica già ricevuta da Pio V. Anzi, sarà proprio questa sua intenzione a indurre Filippo II a scatenare una guerra contro gli inglesi usando la sua potentissima flotta, che però nello stretto della Manica verrà clamorosamente sconfitta.

La Lega cattolica integralistica

Nello stesso periodo si costituì la Lega cattolica, per iniziativa dei Guisa, cui aderirono nobili e borghesi della Francia settentrionale (ma la funzione dirigente era esercitata dall’aristocrazia feudale, che mirava a indebolire il potere centrale e a restaurare le antiche autonomie delle province). Le enormi spese per finanziare le continue guerre, unite alle devastazioni portate dagli eserciti, avevano ancor più aumentato la pressione fiscale su una popolazione che, nella sua maggioranza, subiva da decenni un costante impoverimento. Il risultato fu una crescente ostilità contro la dinastia dei Valois. Il duca Enrico di Guisa stava seriamente cominciando a pensare di diventare successore di Enrico III (il quarto figlio di Enrico II e di Caterina de’ Medici), che non aveva avuto figli.

Dopo la separazione di fatto del sud, il territorio sotto il dominio del governo si era ridotto all’incirca della metà. Inevitabilmente il governo accentuò la pressione fiscale sulle città e la lealtà della borghesia settentrionale nei confronti della dinastia dei Valois cominciò a venir meno. Il governo era ormai screditato, tanto più che il partito dei cattolici moderati era ostile all’appoggio dato dal re agli estremisti del partito cattolico dei Guisa, e aveva persino intenzione di riconoscere le vittime del massacro di San Bartolomeo e di restituire i loro beni alle famiglie, esentandole da imposte per un periodo di sei anni.

L’accordo provvisorio tra cattolici e calvinisti

Si giunse infine a un accordo tra cattolici e calvinisti, ma nella maniera più assurda per una coscienza cristiana, a testimonianza che ormai la religione era palesemente al servizio di idee politiche ed economiche borghesi. Forse l’ultima esperienza di idealismo religioso era avvenuta nell’area bizantina, crollata nel 1453.

Quando la dinastia dei Valois rischiò di estinguersi per mancanza di eredi maschi, la corona sarebbe dovuta spettare proprio a Enrico di Borbone, re di Navarra, che discendeva direttamente e per linea maschile da Luigi IX di Francia. Senonché il fatto che il re di Navarra fosse protestante causava un grande problema per le coscienze cattoliche, per le quali era assolutamente impossibile che un calvinista potesse salire sul trono di Francia.

Ecco perché i fanatici Guisa tornarono alla riscossa. Sotto la spinta della Lega cattolica e del suo capo Enrico di Guisa, il re Enrico III firmò il Trattato di Nemours (1585) con cui s’impegnava a riconoscere ufficialmente la Lega e la sua organizzazione militare e a revocare gli editti di tolleranza nei confronti degli ugonotti. In particolare il re dichiarò guerra a Enrico di Navarra, suo potenziale successore. Iniziò così l’ottava e ultima guerra di religione, detta anche Guerra dei tre Enrichi (Enrico III re di Francia, Enrico di Navarra ed Enrico di Guisa).

Tuttavia, le ambizioni della Lega Cattolica e la sua vasta dimensione provocarono molta apprensione da parte del re. La Lega se ne accorse e lo cacciò da Parigi. Enrico III ormai non aveva più nulla da perdere: convocò gli Stati Generali a Blois e fece assassinare Enrico di Guisa (e anche il cardinale di Lorena). Privata del suo capo, la Francia della Lega destituì il re. Le truppe reali e quelle protestanti allora si unirono contro la Lega, che in quel momento non poteva contare sull’aiuto degli spagnoli, tragicamente sconfitti dagli inglesi nella grande battaglia navale della Manica.

I regicidi del fanatismo religioso

Il 2 agosto 1589 Enrico III morì assassinato da Jacques Clément, monaco domenicano, appartenente alla Lega. Suo cugino, Enrico di Navarra gli succedette con il nome di Enrico IV di Francia, pur essendo scomunicato dal papa Sisto V. Era stato lo stesso Enrico III che, in punto di morte, l’aveva designato come successore, a condizione che diventasse cattolico. Finiva così la dinastia dei Valois, che regnava in Francia dal 1328.

Divenuto re di Francia col nome di Enrico IV, il Navarra aveva il problema di rendere effettivo il suo regno, per metà controllato dalla Lega e dalla stessa Parigi, ch’egli strinse d’assedio, ma invano. La capitale s’era data un governo autonomo degli strati piccolo-borghesi, ostili non solo alla Corona ma anche ai Guisa, ch’erano non meno fiscalmente esosi.

Per risolvere la questione fu decisiva, nel 1592, la rivolta dei contadini scoppiata nel sud-ovest, il cui obiettivo era quello di eliminare gli esattori delle imposte e devastare le ville dei nobili. I contadini si univano in reparti armati di molte migliaia di uomini, eleggevano capi e funzionari, allacciavano rapporti con i poveri delle città, assediavano le case e i poderi dei nobili, punendoli severamente e dichiarando che non erano più disposti a sopportare le loro estorsioni, e nemmeno quelle degli appaltatori ed esattori delle imposte. In questo modo, i contadini prendevano posizione sia contro l’oppressione feudale dei loro signori, sia contro il gravame fiscale dello Stato.

Questa rivolta spaventò parecchio i nobili, che cominciarono a pensare di cambiare strategia di alleanze. Per loro infatti solo uno Stato forte e unito poteva ristabilire l’ordine minacciato all’interno, dai contadini e, all’esterno, dalle ingerenze spagnole.

L’atto di conversione al cattolicesimo di Enrico IV, avvenuto il 25 luglio 1593 gli aprì, l’anno dopo, le porte della capitale, i cui abitanti non sopportavano più l’intolleranza della Lega né i suoi rapporti con la Spagna. Famosa la frase che il Borbone in quell’occasione pare abbia detto: “Parigi val bene una messa”.

Negli ambienti istituzionali della Francia del Cinquecento l’atteggiamento esclusivamente politico nei confronti della religione porterà progressivamente i francesi a caratterizzare il loro Stato in maniera sempre più laica, mantenendolo equidistante nei confronti delle religioni; ma la spinta decisiva, in questa direzione, verrà data solo dalla rivoluzione del 1789.

L’Editto di Nantes

Dichiarata guerra alla Spagna, Enrico IV sconfisse definitivamente nel 1595 la Lega cattolica e nel 1597 gli spagnoli. Nel sud-ovest, intanto, le forze dei nobili, appoggiate dai mercenari del re, schiacciarono la rivolta dei contadini in due anni di lotta accanita.

Enrico IV emanò poi il 13 aprile 1598 l’Editto di Nantes col quale il cattolicesimo fu proclamato religione ufficiale (in quanto maggioritaria) dello Stato, ma i protestanti ottenevano la libertà di professare la loro confessione – tranne che a Parigi e in poche altre città – e il diritto di accedere alle cariche pubbliche (previo giuramento di fedeltà al sovrano), e di mantenere un proprio esercito di 25.000 uomini e un centinaio di fortezze a garanzia della loro sicurezza.

Nell’Editto tuttavia la parola “tolleranza” non compare mai: in quel tempo infatti essa era associata a un concetto negativo per entrambe le fedi. Ciascun credente si riteneva il detentore della verità assoluta e colui che praticava un altro credo pregiudicava così la propria vita eterna e quindi era un dovere impedire che “l’altro” permanesse nell’errore. Ciascuna fede pretendeva pertanto il diritto di salvare, anche con la costrizione fisica, gli appartenenti alla fede avversa.

In ogni caso l’Editto consolidò la monarchia assoluta, pienamente appoggiata dall’aristocrazia in funzione anticontadina, e dalla borghesia in funzione antinobiliare. Tale esito era favorevole allo sviluppo dei rapporti capitalistici nell’ambito dello Stato feudale e colonialistici nel Nuovo Mondo, almeno fino a quando Enrico IV non fu ucciso da un fanatico monaco cattolico nel 1610, che evidentemente rappresentava gli interessi di chi non sopportava i diritti concessi ai protestanti con l’Editto di Nantes.

La Francia cattolica e assolutistica

La Francia rischiò di piombare in una nuova guerra civile, ma questa volta la borghesia, schieratasi a favore del potere regio, riuscì a opporsi efficacemente alle mene separatistiche dell’aristocrazia. E i due cardinali che, in successione, dirigeranno la politica del re Luigi XIII (1601-43), cioè Richelieu (1585–1642) e Mazzarino (1602-61), lo dimostreranno eloquentemente. Sarà infatti proprio la guerra dei Trent’anni (1618-48), contro gli Asburgo d’Austria e di Spagna, a far diventare la Francia il più potente Stato dell’Europa continentale, anche se proprio questi “superpoteri” indurranno i sovrani francesi a revocare progressivamente l’Editto di Nantes, a partire dal 1685, con l’Editto di Fontainebleau di Luigi XIV, in quanto si vietarono le assemblee politiche protestanti e si pretese la cessione immediata di ogni città e fortezza militare da loro controllata.

Col tempo, almeno sino alla rivoluzione del 1789, i sovrani cattolici faranno di tutto, sul piano amministrativo, per svuotare di contenuto l’Editto di Nantes. Il che comporterà una forte emigrazione dei calvinisti verso l’Inghilterra e le sue colonie della Virginia e della Carolina del Sud, ma anche verso la Germania, la Svizzera e l’Olanda, e verso le colonie nordamericane degli attuali stati di New York e New Jersey. Si trattava prevalentemente di artigiani o di membri della borghesia (si parla di una cifra intorno ai 200.000), che andranno ad arricchire quei paesi a scapito della Francia, che non a caso nel confronto navale con gli inglesi risulterà sempre perdente.