Articoli

Dollaro Addio? La nuova valuta commerciale di Russia e Cina

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Può sorprendere quei politici che credono che gli eventi importanti accadano all’improvviso, senza la necessaria e lunga preparazione. La possibile apparizione di una nuova moneta internazionale alternativa al dollaro non è una sorpresa.

A metà marzo si è tenuto in Armenia l’incontro “Nuova fase della cooperazione monetaria, finanziaria ed economica tra l’Unione economica euroasiatica (Uee) e la Repubblica popolare cinese”, organizzato dalla Commissione economica euroasiatica e dall’Università Renmin di Pechino per definire i contorni di un nuovo sistema monetario e finanziario internazionale, almeno per quanto riguarda la parte orientale del mondo.

L’Uee è l’unione economica e commerciale cui partecipano la Russia, la Bielorussia, il Kazakistan, la Kirghisia e l’Armenia con un Pil di circa 1.700 miliardi di dollari. Essa è molto proiettata verso una stretta collaborazione con la Belt and Road Initiative, la nuova Via della seta voluta dalla Cina. Già nel 2020 la Cina aveva aumentato di circa il 20% il suo turnover commerciale con l’Uee, mentre l’utilizzo delle monete nazionali rappresentava solo il15% dell’interscambio totale.

Sul tavolo vi è la creazione di una “nuova moneta” basata su un paniere di valute, tra cui il rublo e lo yuan, ancorata anche al valore di alcune materie prime strategiche, incluso l’oro.

Pensare che sia solo la reazione disperata alla recente imposizione di super sanzioni nei confronti della Russia, sarebbe una valutazione fuorviante. Si tratta, invece, di un progetto in campo da molti, molti anni, sia in Russia sia in Cina.

Il progetto fu reso pubblico già nell’ottobre del 2020 dall’economista russo Sergei Glazyev, membro del consiglio e ministro incaricato dell’Integrazione e della Macroeconomia della Commissione economica euroasiatica. Egli aveva sollecitato a creare nuovi strumenti nazionali di pagamento per accantonare l’utilizzo di “valute di Paesi terzi”, intendendo ovviamente soprattutto il dollaro e l’euro, nelle transazioni commerciali e monetarie tra i membri dell’Unione euroasiatica e la Cina.

Glazyev affermava che l’idea era la risposta “alle sfide e ai rischi comuni associati al rallentamento economico globale e alle misure restrittive contro gli Stati dell’Uee e la Cina”. Si trattava di un piano per superare il sistema unipolare del dollaro, già in atto dopo le sanzioni imposte alla Russia a seguito dell’annessione della Crimea nel 2014.

L’economista russo sosteneva che l’infrastruttura finanziaria e di pagamento era già stata creata ed era necessario sviluppare un sistema d’incentivi per favorirne l’utilizzo nelle relazioni commerciali ed economiche.

Il ministro della Commissione economica euroasiatica proponeva: 1)  sviluppare dei meccanismi per stabilizzare i tassi di cambio delle valute nazionali dei Paesi membri, riducendo le commissioni bancarie e gli interessi sui prestiti; 2) creare dei meccanismi per determinare i prezzi delle merci nelle valute nazionali nell’ambito degli accordi tra l’Uee e la Belt and Road Initiative, coinvolgendo in seguito anche altri Paesi, eventualmente quelli della Shanghai Cooperation Organization (Sco) e quelli dell’Asean.

Naturalmente in tale processo s’inserisce anche la recente richiesta di Putin di esigere il pagamento in rubli delle forniture del gas, i cui contorni sono ancora da chiarire.

Riconoscendo l’incapacità del dollaro di sostenere l’intero sistema monetario e finanziario globale, già prima della grande crisi finanziaria del 2008 avevamo proposto l’idea di creare, in modo lungimirante e concordato, un nuovo sistema internazionale basato su un paniere di monete importanti, tra cui il dollaro, l’euro, lo yuan e il rublo. In un mondo erroneamente creduto unipolare, purtroppo, non se n’è fatto niente. Il sistema del dollaro, e gli interessi geoeconomici a esso connessi, non l’hanno permesso.

La recente proposta russo-cinese di creare una loro nuova moneta basata su un paniere di valute e di materie prime è un dato di fatto da analizzare. Possiamo solo affermare che, in questo modo separato, purtroppo non potrà che approfondire la divisione tra Est e Ovest e aggravare ulteriormente la pericolosa situazione attuale.

Pesanti, secondo noi che ne scriviamo da anni, sono le responsabilità dei competenti organismi internazionali, come il G20, che non hanno mai voluto affrontare con determinazione la questione, nonostante le varie crisi finanziarie e le richieste avanzate da più parti.

*già sottosegretario all’Economia **economista

A SHANGHAI HANNO SUONATO L’ALLARME FINANZIARIO GLOBALE

Shanghai G20: allarme crisi sistemica

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Il summit dei ministri delle finanze e dei banchieri centrali del G20, recentemente tenuto a Shanghai, ha dato un messaggio preoccupante sul futuro dell’economia e della finanza globale. Ha riconosciuto apertamente che le politiche ‘lanciate’ dopo la grande crisi non stanno producendo i risultati positivi desiderati. “La politica monetaria da sola non riesce a promuovere una crescita bilanciata”, è scritto nella dichiarazione finale, per cui il G20 dovrebbe promuovere un programma coordinato di stimoli attraverso “l’uso flessibile della politica fiscale per rafforzare la crescita, l’occupazione e la fiducia”.

Sono solo enunciazioni di buona volontà. Mancano azioni concordate e progetti reali di rilancio dell’economia. Nel contempo vi è una lunga lista di preoccupate dichiarazioni come “eccesso di volatilità, movimenti disordinati sui mercati dei cambi, pesante caduta nei prezzi delle commodity, accresciute tensioni geopolitiche, rischi di revisione al ribasso delle aspettative economiche globali”.

Il dato è che l’altalena dei mercati, purtroppo, continua mentre i governi e le economie procedono in ordine sparso, ognuno per proprio conto e anche in aperta competizione sia sul fronte monetario che finanziario.

Perciò è assai interessante il fatto che negli ultimi giorni alcuni dei maggiori attori economici, attivi durante la crisi del 2007-8, abbiano espresso pubblicamente i loro dubbi sulle attuali strategie economiche e finanziarie.

Mervyn King, governatore della Bank of England nel periodo 2003-2013, ha recentemente affermato che “le maggiori banche dei più grandi centri finanziari del mondo avanzato hanno fallito, provocando un crollo generalizzato della fiducia e la più grave recessione dopo quella degli anni trenta. Come è successo? E’ stato il fallimento degli uomini, delle istituzioni o delle idee? Se non si comprendono le cause sottostanti alla crisi non capiremo mai quello che è successo e saremo incapaci di prevenire una sua ripetizione e di sostenere una vera ripresa delle nostre economie”.

Persino Alan Greenspan, che per vent’anni ha governato la Federal Reserve fino alla vigilia della crisi, ha ammesso che la riforma finanziaria americana, conosciuta come la legge Dodd-Frank, ha fallito. “Avrebbe dovuto affrontare i problemi che avevano portato alla crisi del 2008, ma non lo sta facendo. Le banche ‘too big to fail’ erano la questione cruciale allora e lo sono anche adesso. Gli investimenti nei settori reali sono molto al di sotto della media perché l’incertezza sul futuro continua a dominare.” Purtroppo è così.

Infatti molti indicatori dimostrano che la finanza sta pericolosamente operando con il vecchio schema del ‘business as usual’. Ad esempio, un recente studio del Credit Suisse prova che il mercato globale del ‘leveraged finance’, dopo la contrazione registratasi a seguito della crisi, è ritornato ai suoi massimi livelli. Il ‘leveraged finance’ comporta l’accensione di prestiti sulla base di un capitale minimo dato in garanzia (la famosa leva del debito) per acquistare titoli, soprattutto prodotti finanziari ad alto rischio come i derivati. In pratica si scommette prevedendo un guadagno superiore ai costi del capitale preso a prestito. Sono tutte operazioni fatte dalle grandi banche!

Nel periodo 2011-14 questo mercato a livello mondiale è cresciuto del 42%. L’esposizione delle banche europee è anch’essa aumentata, anche se in dimensioni minori, del 16%. Nel 2014 le banche europee hanno incassato ben 5 miliardi di dollari con tali operazioni speculative.

E’ riconosciuto da tutti, a cominciare dalle banche centrali e dalle altre agenzie di controllo, che, nonostante siano consapevoli dell’enorme rischiosità dei citati giochi finanziari, continuano ad astenersi dall’intervenire. Sono anche il frutto amaro della politica del tasso di interesse zero che oggettivamente spinge sui facili sentieri della speculazione.

Ancora una volta quindi il G20 ha concluso i propri lavori predicando rigore ma con un negativo e clamoroso nulla di fatto che consente il solito ‘laissez-faire’.

*già sottosegretario all’Economia ** economista

Il G 20 ha diviso il mondo in modo sbagliato e pericoloso

Il G20 e il rischio degli squilibri finanziari

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

Le analisi e le proposte che hanno caratterizzato tutti i summit del G20, fino all’ultimo incontro di Istanbul dei ministri delle Finanze e dei presidenti delle Banche Centrali, sono sempre stati falsati dalla presunta centralità dei cosiddetti “conti delle partite correnti”. In sintesi il mondo viene suddiviso in Paesi con un surplus commerciale e in Paesi con un deficit commerciale. I primi automaticamente diventerebbero creditori nei confronti dei secondi.

Il G20 considera ciò “squilibri globali” che sarebbero alla radice delle grandi crisi passate e recenti. Nei comunicati finali spesso si è arrivati addirittura a considerare gli squilibri nelle partite correnti come sinonimi di squilibri globali.

Naturalmente non si tratta di una mera questione terminologica, ma di effettive politiche economiche e monetarie. Così facendo infatti si cerca anzitutto di sottostimare gli “squilibri finanziari”, che invece sono molto più pericolosi e distruttivi.

Di conseguenza il rimedio ed il ritorno ad uno stato di equilibrio li si otterrebbe semplicemente pressando i Paesi in surplus a rivalutare le loro monete e ad aumentare i loro consumi interni, mettendo in moto politiche che mirano a “mantenere competitive” alcune monete, anzitutto il dollaro.

La valutazione delle partite correnti è un approccio che si basa su confronti nazionali bilaterali, sottacendo il fatto rilevante del dominio attuale di un sistema finanziario globalizzato ma indipendente e indocile quanto sfuggente ad ogni controllo statuale.

Non si considera il ruolo che un dato Paese svolge sui mercati internazionali dei prestiti, del commercio e dell’intermediazione finanziaria. In pratica si mira così a giustificare le conseguenti politiche monetarie accomodanti della Federal Reserve e i suoi effetti destabilizzanti per le monete e le economie dei Paesi del resto del mondo.

L’errata centralità delle partite correnti è il risultato di una distorta idea di risparmio e di finanziamento. Il risparmio è una risorsa prodotta e non consumata e dovrebbe essere logicamente finalizzato agli investimenti produttivi di un dato Paese. Il finanziamento invece si riferisce ai flussi di cassa e alla capacità di accedere alla liquidità, anche attraverso i prestiti, e purtroppo è spesso orientato alle attività speculative.

In quest’ottica le banche creano ed emettono titoli indipendentemente dalla quantità delle risorse depositate presso di loro.

Non è una distinzione di poco conto, se si considera che le grandi banche e gli altri istituti finanziari sono capaci di creare liquidità e crediti in quantità e in qualità pressoché illimitata. La dimostrazione più evidente è la continua creazione di derivati finanziari che, nella versione degli over the counter (otc), sono addirittura tenuti fuori bilancio. Anche se poi alcuni di essi, con il dovuto bollino della tripla A fornita dalle solite agenzie di rating, sono stranamente portati dalle grandi banche finanche in garanzia per ottenere crediti dalla Fed o dalla Bce.

Perciò i debiti di un Paese non sono sostenuti dal risparmio di un altro ma in gran parte dalle decisioni di portafoglio dei grandi operatori finanziari internazionali. E qui entra in gioco anche il rischio di credito come questione non collegata necessariamente alla situazione delle partite correnti.

Non è facile, ma comprendere ciò comporta di conseguenza lavorare per un accordo all’interno del G20 per introdurre regole chiare e stringenti per le grandi banche too big to fail, per il loro sistema bancario ombra e per tutta quella finanza che inonda il sistema di prodotti finanziari di qualità più che dubbia.

Se non si pone maggiore attenzione agli squilibri finanziari, in certi Paesi si può generare un “eccesso di elasticità finanziaria”. Il che è un modo elegante per descrivere la creazione di liquidità e la concessione di crediti in settori a rischio. Così accadde negli Usa nel settore immobiliare dei mutui e delle ipoteche sub prime prima della grande crisi del 2007-8. Purtroppo sembra che ciò sia continuato anche dopo, attraverso i nuovi dollari del QE, anche fuori dai confini americani. Negli ultimi anni infatti i crediti in dollari ai non residenti negli Usa sono cresciuti ad un tasso maggiore dei crediti domestici.

A chi, come noi, spesso in solitudine ha sempre evidenziato il pericolo delle bolle finanziarie e di una finanza senza controlli è di sicuro conforto il fatto che recentemente anche la Banca dei Regolamenti Internazionali, attraverso il suo direttore del dipartimento economico e monetario, Claudio Borio, sia giunta alle stesse conclusioni.

Anche la Bri chiede autorevolmente che il G20 affronti il rischio sistemico rappresentato dagli squilibri finanziari e dall’eccessiva “liquidità globale”.

*già sottosegretario alle Finanza

**economista

LA GRANDE SFIDA DELLE INFRASTRUTTURE GLOBALI

Brisbane: la grande sfida delle infrastrutture globali

Mario Lettieri* Paolo Raimondi **

Abbiamo imparato a non aspettarci dai summit del G20 cambiamenti significativi e di importanza sistemica per l’economia soprattutto per la finanza. Anche da Brisbane in Australia, purtroppo, è arrivato lo stesso messaggio. Si ammette però che “l’economia globale è vulnerabile a futuri choc, resta la fragilità finanziaria e i rischi esistenti sono esacerbati da tensioni geopolitiche”.

Tuttavia dal comunicato finale del meeting di novembre emergono alcuni passaggi interessanti. Continua a leggere