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L’enciclica “Fratelli tutti” e l’economia

L’enciclica “Fratelli tutti” e l’economia

 

Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

 

La recente enciclica “Fratelli tutti” aprirà inevitabilmente un profondo e vivace dibattito, in tutti i settori della società, non solo all’interno delle gerarchie vaticane. Ben venga, ce n’era bisogno.

 

E’ una sfida forte al pensiero unico che la globalizzazione, economica, finanziaria e culturale, ha silenziosamente imposto nel mondo in questi ultimi decenni.

 

Senza sottovalutare il suo richiamo etico, morale, oltre che religioso, noi laicamente ne vorremmo evidenziare alcuni aspetti che toccano l’economia e l’organizzazione sociale. La pandemia, ha detto Papa Francesco, ha evidenziato la frammentazione che ha reso più difficile risolvere i problemi che toccano tutti, nonostante l’iper-connessione.

 

Tale frammentazione sembra in contraddizione con la globalizzazione. In realtà, il Papa dice che l’espressione ”aprirsi al mondo” è stata fatta propria dall’economia e dalla finanza. Essa, però, “si riferisce esclusivamente all’apertura agli interessi stranieri e alla libertà dei poteri economici di investire senza vincoli né complicazioni in tutti i Paesi”.

 

Il pensiero unico sembra unificare il mondo ma in realtà divide le persone, le nazioni e i continenti. Mentre nella società umana si indebolisce la dimensione comunitaria, “aumentano piuttosto i mercati, dove le persone svolgono il ruolo di consumatori o di spettatori”. Dove il più forte s’impone e protegge i propri interessi a discapito dei più deboli e poveri. Ovviamente, “in tal modo la politica diventa sempre più fragile di fronte ai poteri economici transnazionali che applicano il divide et impera”.  

 

L’aspirazione al dominio dei più forti, dei mercati, mira a “demolire l’autostima” degli altri. “Da ciò traggono vantaggio  l’opportunismo della speculazione finanziaria e lo sfruttamento, dove i poveri sono sempre quelli che perdono”, ammonisce Papa Francesco.

 

L’enciclica è una forte e precisa critica al liberismo economico, quale proiezione dell’individualismo più radicale.  Tanto che nel testo si dice che “la mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità”. Ci si ingannerebbe se pensassimo che “accumulando ambizioni e sicurezze individuali potessimo costruire il bene comune.”

 

Secondo noi, questa falsità è la base dell’ideologia e della cosiddetta teoria del liberismo economico radicale. E’ stata elaborata già all’inizio del 1700 nel libro “La favola delle api: ovvero, vizi privati, pubbliche virtù” di Bernard de Mandeville. L’autore descrive la vita dell’alveare.  «Essendo così ogni ceto pieno di vizi, tuttavia la nazione di per sé godeva di una felice prosperità, era adulata in pace, temuta in guerra.. I vizi dei privati contribuivano alla felicità pubblica”. Ma, scriveva Mandeville, quando le api vollero diffondere per tutto l’alveare l’onestà e la giustizia, allora la vanità e il lusso, che davano lavoro e commercio, diminuirono e con essi anche la prosperità dell’alveare. 

 

“Il vizio è tanto necessario in uno stato fiorente quanto la fame è necessaria per obbligarci a mangiare. È impossibile che la virtù da sola renda mai una nazione celebre e gloriosa.”, sentenziava Mandeville.

 

Non si tratta evidentemente di una semplice favola per grandi. E’, invece, la giustificazione di una società ingiusta che ha avuto, però, una grande influenza su molti studiosi di economia, a partire da Adam Smith, del quale la “mano invisibile” regolerebbe in modo autonomo e automatico l’andamento dei mercati. 

 

In merito Papa Francesco fa sentire la sua voce. “Il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale. Si tratta di un pensiero povero, ripetitivo, che propone sempre le stesse ricette di fronte a qualunque sfida si presenti. Il neoliberismo riproduce sé stesso tale e quale, ricorrendo alla magica teoria del “traboccamento” o del “gocciolamento” – senza nominarla – come unica via per risolvere i problemi sociali. Non ci si accorge che il presunto traboccamento non risolve l’iniquità, la quale è fonte di nuove forme di violenza che minacciano il tessuto sociale”, afferma.

 

“La fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla pandemia ha evidenziato che non tutto si risolve con la libertà di mercato”, ricorda ancora l’enciclica, denunciando che “la speculazione finanziaria con il guadagno facile come scopo fondamentale continua a fare strage.”

 

Come anche noi più modestamente abbiamo spesso scritto, il Papa ripete che «la crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale”. Purtroppo non c’è stato un ripensamento delle politiche economiche e sociali che governano il mondo!

 

L’enciclica, giustamente, vuole proporre una riforma nei rapporti economici e politici a livello globale. Poiché “ la società mondiale non è il risultato della somma dei vari Paesi, ma piuttosto è la comunione stessa che esiste tra essi”, serve “una nuova rete nelle relazioni internazionali”. Pertanto nel testo si afferma: “E’ necessaria una riforma sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che dell’architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni”.

 

Secondo Papa Bergoglio un’iniziativa urgente riguarda il debito dei paesi più poveri. Egli chiede che “si assicuri il fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza e al progresso, che a volte risulta fortemente ostacolato dalla pressione derivante dal debito estero. Il pagamento del debito in molti casi non solo non favorisce lo sviluppo bensì lo limita e lo condiziona fortemente”.

 

Il secolo XXI registra un’evidente perdita di potere degli Stati nazionali a causa dei caratteri transnazionali che oggettivamente ha l’odierna attività finanziaria, limitando così il ruolo della politica e le stesse scelte dei singoli governi. In questo contesto, l’enciclica afferma che “diventa indispensabile lo sviluppo di istituzioni internazionali più forti ed efficacemente organizzate, con autorità designate in maniera imparziale mediante accordi tra i governi nazionali e dotate del potere di sanzionare.”

 

Il testo è d’indubbio valore, per molti versi rivoluzionario, sicuramente stimolante per quei governanti che hanno ancora a cuore il destino non solo de proprio Paese ma anche quello del mondo in questo terzo millennio.

 

*già sottosegretario all’Economia **economista

 

 

 

Papa Francesco: un ordine più giusto per la casa comune

Papa Francesco: un ordine più giusto per la casa comune

Mario Lettieri* Paolo Raimondi** 

 “Laudato si’” è un’enciclica che provocherà molte discussioni e forse anche forti polemiche. Per la prima volta la Chiesa si cimenta in modo diretto con il tema dell’ambiente e del suo rapporto con l’economia e la finanza. Sull’argomento, in particolare negli ultimi decenni, si sono sviluppati ricerche, analisi e studi scientifici che hanno raggiunto conclusioni molto differenti, spesso opposte.

Per seguire il detto “dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” sarà opportuno lasciare che il mondo scientifico si confronti sulle varie teorie in modo indipendente, libero e, forse, mai conclusivo.

Papa Francesco sottolinea che “la sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale”. Giustamente la sua, e la nostra, massima preoccupazione sono i popoli e i poveri del mondo sempre più minacciati da una inequità dilagante quanto intollerabile.

L’enciclica tocca tantissimi aspetti morali, etici e religiosi che meriterebbero, tutti, attente e approfondite riflessioni ma, essendo stata per anni l’economia il nostro campo di studio, ci preme mettere in luce alcuni dei suoi rilevanti contenuti.

L’enciclica dice:”Il principio della massimizzazione del profitto, che tende a isolarsi da qualsiasi altra considerazione, è una distorsione concettuale dell’economia: se aumenta la produzione interessa poco che si produca a spese delle risorse future o della salute dell’ambiente; se il taglio di una foresta aumenta la produzione, nessuno misura in questo calcolo la perdita che implica desertificare un territorio, distruggere la biodiversità o aumentare l’inquinamento. Vale a dire che le imprese ottengono profitti calcolando e pagando una parte minima dei costi. Si potrebbe considerare etico solo un comportamento in cui ‘i costi economici e sociali derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni siano riconosciuti in maniera trasparente e siano pienamente supportati da coloro che ne usufruiscono e non da altre popolazioni o dalle generazioni future’.”

Nel succitato passaggio si evidenziano in modo sintetico due metodi, molto differenti, di concepire l’economia e la società: quello della finanza e quello dell’“economia fisica” e reale. Nel primo dominano le forze invisibili del mercato e il calcolo dei costi e dei benefici. In questo vince chi riesce a pagare meno il lavoro, le materie prime e i mezzi di produzione e riesce poi a vendere al prezzo migliore, il più alto, il bene o il servizio prodotto. Il successo quindi è misurato dal profitto finanziario. Tutti questi “comportamenti” sommati formano il Pil di un Paese, l’ammontare della sua ricchezza. Le varie legislazioni in un certo senso tendono a mitigare questo processo perverso che altrimenti si tradurrebbe in un darwinismo selvaggio. Nonostante ciò, in un simile sistema dominano la cultura relativistica dello “scarto”, quella dello sfruttamento e la logica dell’ “usa e getta”. Quella logica che porta a sprecare approssimativamente un terzo degli alimenti che si producono.

Nel sistema di “economia fisica” e reale il profitto invece si calcola dopo che tutto ciò che è stato usato nel processo produttivo viene reintegrato e anche migliorato. Il che significa che l’ambiente usato – l’acqua, l’aria, le risorse e soprattutto l’uomo e la collettività – deve essere “ripagato” riportandolo alle sue potenzialità esistenti all’inizio del processo. Non si tratta di un processo a “somma zero” e di mera conservazione, senza sviluppo e senza crescita. Il “profitto fisico” però è essenziale per lo sviluppo e si può ottenere attraverso la reale crescita della produttività con l’applicazione delle nuove tecnologie, quelle derivanti dalle continue scoperte scientifiche.

Non è utopia, può sembrarlo ma non lo è, ma un metodo forse più complesso, ma più reale per misurare lo sviluppo economico e sociale.

L’enciclica va anche al cuore del fallimento dell’attuale sistema quando sostiene:” Il salvataggio ad ogni costo delle banche ì, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma il dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-8 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo”.

Piena condivisione con la denuncia di papa Francesco della grave sottomissione della politica alla finanza. “Non si può giustificare un’economia senza politica, che sarebbe incapace di propiziare un’altra logica in grado di governare i vari aspetti delle crisi attuale”. Sono concetti chiari quanto elementari sui quali anche noi spesso ci siamo soffermati. Da ultimo nel nostro libro “Il casinò globale della finanza” nei prossimi giorni in libreria.

*già sottosegretario all’Economia **economista