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La grande corruzione in Ucraina in un documento della Corte dei Conti europea

1. Introduzione alla corruzione ucraina

Esiste una “relazione speciale” del settembre 2021 scritta dalla Corte di Conti europea, avente per titolo: “Ridurre la grande corruzione in Ucraina: diverse iniziative UE, ma risultati ancora insufficienti” (Special Report 23/2021: Reducing grand corruption in Ukraine).

Viene detto che l’Ucraina è un partner geopolitico e strategico per la UE. È uno dei maggiori Paesi dell’Europa in termini geografici e demografici ed è anche uno dei vicini immediatamente confinanti.

Cioè si fa capire che sarebbe un vantaggio per la UE averla al proprio interno. Cosa che si cerca di fare dal 2003. Si dà ovviamente per scontato che abbia molte risorse naturali appetibili.

I rapporti commerciali hanno iniziato alla grande nel 2007, nell’ambito del Deep and Comprehensive Free-Trade Area, ma sono stati interrotti da Yanukovich nel 2013 (che ha preferito – aggiungiamo noi – fare affari con la Russia, ritenendo troppo onerosi quelli col FMI). Tale svolta ha scatenato la rivoluzione di Euromaidan del 2014, dopodiché i suddetti rapporti sono stati ripresi.

Chiaro il ragionamento? Non si è trattato di un “golpe” ma di una “rivoluzione”, che è stata fatta giustamente per ribadire l’intenzione dell’Ucraina di entrare nella UE. I neonazisti non c’entrano niente, e neppure le manovre degli americani.

E ora viene il bello. Nel 2014 la Russia ha annesso la Crimea e Sebastopoli e nell’Ucraina orientale ha avuto inizio un conflitto armato. Di conseguenza la UE ha adottato misure restrittive contro i responsabili di azioni volte a compromettere l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina.

Chiaro il concetto? La Russia ha “annesso” la Crimea, non è stata questa che con un referendum ha chiesto di staccarsi dal governo neonazista di Kiev e di passare sotto la Russia. Di conseguenza la guerra tra Kiev e le due repubbliche del Donbass è stata scatenata dalla Russia.

2. I motivi della corruzione

L’Ucraina ha un lungo passato di corruzione (iniziata prima del 2014) e si trova ad affrontare sia la piccola che la grande corruzione. La piccola corruzione è diffusa ed è accettata da gran parte della popolazione come se fosse quasi inevitabile. I cittadini spesso giustificano la loro partecipazione a questa piccola corruzione osservando che gli alti funzionari e gli oligarchi sono coinvolti nella corruzione a un livello di gran lunga superiore. Sembra che ci si riferisca all’Italia.

Come si articola questa grande corruzione? Si basa su connessioni informali tra funzionari pubblici, membri del parlamento, pubblici ministeri, giudici, autorità di contrasto, dirigenti di imprese statali e persone/imprese con legami politici. Situazione pesante, non esattamente paragonabile alla nostra.

Al vertice della grande corruzione ucraina stanno gli oligarchi, i quali: manipolano l’opinione pubblica attraverso la proprietà dei principali mezzi mediatici; influenzano a loro favore il processo legislativo tramite il finanziamento a vari partiti e a un gran numero di deputati; controllano l’amministrazione pubblica imponendo i loro candidati nei posti chiave; influenzano fortemente il sistema giudiziario, la magistratura inquirente e le autorità di contrasto; monopolizzano il mercato; esportano i loro capitali all’estero per non pagare le tasse e riciclano quelli sporchi.

Gli oligarchi hanno in mano lo Stato e non vogliono riforme contro i loro interessi. Cioè praticamente, potremmo dire, vivevano una situazione analoga a quella degli oligarchi russi al tempo di Eltsin.

La Corte dei Conti europea si duole di questa enorme e diffusa illegalità. Per motivi etici? No, semplicemente perché in una situazione del genere gli imprenditori europei non si fidano a fare investimenti in questo Paese.

3. Il ruolo dell’Unione Europea

A fronte di questa incredibile corruzione come si è comportata l’Unione Europea? Consapevole che quel Paese ha enormi risorse da sfruttare, ha fatto finta di niente e l’ha finanziato!

Siccome l’Ucraina è un Paese del partenariato orientale della UE, si è pensato di aiutarla, soprattutto dopo il 2014, in previsione di un prossimo ingresso nella stessa UE. E così la Commissione si è impegnata a versare oltre 12 miliardi di euro per vari programmi di assistenza (anche contro la corruzione), chiedendo in cambio un maggior rispetto dello Stato di diritto.

Ai neonazisti che componevano il governo e che avevano scatenato la guerra civile contro le due repubbliche del Donbass (dopo aver compiuto l’orrenda strage di Odessa), agli oligarchi che avevano in mano il Paese, la Commissione europea (presieduta prima da Barroso, poi da Juncker) chiedeva di rispettare le regole della democrazia, altrimenti il Paese non sarebbe potuto entrare nella UE.

4. Osservazioni della Corte dei Conti

La Corte dei Conti europea doveva mestamente constatare che tutti gli sforzi finanziari della UE per democratizzare l’Ucraina non erano serviti quasi a niente. Solo nel periodo 2018-20 più di 250 disegni di legge comportavano rischi di corruzione.

Cioè non era come da noi, ove vige il detto “fatta la legge, trovato l’inganno”, ma l’inganno, per non correre rischi, veniva codificato a monte. Tant’è che anche le imprese degli oligarchi soggette a rischio fallimento o al pagamento di grossi debiti pregressi beneficiavano di una moratoria praticamente illimitata.

Non solo, ma i grandi corruttori potevano circolare liberamente in Europa.

Nel 2014 lo stesso governo ucraino aveva osservato che il potere giudiziario (Corte costituzionale e Procura generale) era considerato una delle istituzioni più corrotte nel Paese (essendo totalmente subordinate a pressioni o decisioni politiche). Tuttavia lo stesso governo tendeva a far credere agli organi di controllo della UE che le riforme richieste erano state attuate a partire dal momento in cui veniva varata la legge richiesta, anche se poi la legge non veniva applicata quasi per niente sul piano amministrativo.

Un esempio eclatante del livello di corruzione è stata la dichiarazione di incostituzionalità (da parte della Corte costituzionale) di una legge del 2015 in cui si considerava reato l’arricchimento illecito. Poi però, per accontentare la UE, il parlamento ucraino approvò un nuovo disegno di legge nell’ottobre 2019 che reintrodusse la responsabilità penale per questo reato.

Un altro caso lo troviamo nella decisione della Corte costituzionale (ottobre 2020) di dichiarare incostituzionali i poteri di verifica dell’agenzia nazionale per la prevenzione della corruzione per quanto riguarda la dichiarazione della situazione patrimoniale (che se mendace andava giudicata penalmente responsabile). Poi però per soddisfare le richieste della UE il parlamento ha dovuto fare marcia indietro.

Paradossalmente non succedeva come da noi, quando la Corte costituzionale fa le pulci alle leggi del parlamento, ma, al contrario, era il parlamento, pressato dalla UE, a dover correggere l’arbitrio della Corte costituzionale.

La Commissione europea fu addirittura costretta ad annullare nel 2021 un progetto di gemellaggio con la Corte costituzionale ucraina a seguito della decisione adottata da quest’ultima nell’ottobre 2020 d’invalidare le riforme anticorruzione.

Quando la Commissione europea pretese che l’incarico di pubblico ministero fosse sottoposto a una pubblica selezione, i 1.800 che non superarono le prove fecero tutti ricorso. Questo perché veniva considerata dominante la “raccomandazione” anche per un ruolo così importante. Non a caso tra il 2016 e il 2020 il livello di fiducia nella Procura generale non superava il 20%. Ma anche la polizia nazionale e i servizi di sicurezza erano intorno a quella percentuale.

Altro paradosso: il governo aveva accettato la realizzazione di piattaforme digitali “ProZorro” e “DoZorro” per gli appalti pubblici, al fine di garantire trasparenza e monitoraggio (che peraltro non ha mai funzionato per la mancanza di controlli incrociati). Tuttavia non aveva fatto chiudere il sito dei neonazisti Myrotvorets, nato nel 2016, in cui si profilavano le persone da considerare indesiderate in quanto filorusse.

Si poteva far entrare in Europa uno Stato messo in queste condizioni? Evidentemente no, anche se la Commissione europea tendeva a minimizzare i problemi. Ora però che è stato attaccato dalla Russia, tutti i problemi sembrano essersi risolti magicamente.

5. Conclusioni della Corte dei Conti

Prima dello scoppio della guerra in Ucraina l’ente nazionale anticorruzione di quel Paese stava indagando su importanti sistemi di corruzione, come p.es. il caso di Privatbank (la più grande banca commerciale ucraina, di proprietà dell’oligarca sponsor di Zelensky, Ihor Kolomoyskyi). Tuttavia l’ente ha affermato d’essere stato a lungo ostacolato, nell’espletamento delle sue funzioni, dal servizio per la sicurezza nazionale dell’Ucraina, che vuole mantenere il controllo sulle intercettazioni e sull’accesso ai registri.

La Procura specializzata nella lotta alla corruzione, sebbene responsabile di adire la giustizia per i casi di corruzione ad alto livello, continuava a far parte della Procura generale e quindi non era del tutto indipendente. A tale proposito nel 2018 scoppiò lo scandalo delle intercettazioni, da cui emergeva che il responsabile di tale Procura specializzata avrebbe fatto pressione su pubblici ministeri e giudici.

Anche l’Alta Corte anticorruzione (nata nel 2019) era impossibilitata ad agire con sicurezza ed efficacia. Idem per l’agenzia per il recupero e la gestione dei beni, continuamente ostacolata dall’ostruzionismo delle autorità di contrasto.

La grande corruzione rimane un problema cruciale in Ucraina. La riforma giudiziaria è soggetta a battute d’arresto, le istituzioni anticorruzione sono a rischio, la fiducia in tali istituzioni rimane bassa e il numero di condanne per grande corruzione è modesto. Gli oligarchi e gli interessi costituiti in Ucraina sono la causa più profonda della corruzione e i principali ostacoli allo Stato di diritto e allo sviluppo economico del Paese.

Il Servizio europeo per l’azione esterna e la Commissione europea erano a conoscenza delle molteplici connessioni tra oligarchi, alti funzionari, governo, potere giudiziario e imprese statali, ma non hanno mai proposto alcun modello per limitare l’ingresso nella UE di cittadini ucraini sospettati di grande corruzione e impedire loro di utilizzare i propri beni nella UE. Anche se i principali documenti della UE menzionano la lotta alla corruzione, non vi è una strategia globale che affronti specificamente la grande corruzione.

Si sperava di migliorare la situazione ucraina entro la fine del 2022, ma la guerra ha dato una svolta in tutt’altra direzione. E comunque gli enti europei chiedevano insistentemente che il gran numero di imprese statali venissero privatizzate. Il che avrebbe inevitabilmente favorito proprio il sistema degli oligarchi che si voleva combattere.

Come uscire dalla corruzione

Quando la società arriva a un punto in cui ciò che fa un delinquente per poter vivere non è molto diverso da ciò che fa un uomo di potere, legalmente riconosciuto, si può tranquillamente dire – guardando le cose dall’esterno – che la corruzione è al 100%.

Infatti, se queste due categorie di persone, formalmente così distanti ma sostanzialmente così vicine, possono coesistere senza particolari problemi, allora vuol dire che tutte le persone oneste non hanno sufficiente potere per impedirlo e che qualunque persona onesta può anche diventare, a seconda delle situazioni, un delinquente legale o illegale.

Quando si dice: “è solo questione di prezzo” o “a ciascuno il suo prezzo”, si ha ragione, ma solo in parte; occorrono infatti anche occasioni in grado di influenzare le coscienze, persone capaci di indurre a compiere determinate azioni.

In tal senso le persone oneste più fragili (in senso materiale o morale) sono quelle indigenti o indebitate, o quelle meno acculturate o meno competenti o poco capaci a svolgere mansioni davvero produttive, spendibili sul mercato, o, più in generale, quelle che non si accontentano, quelle che vogliono avere uno stile di vita al di sopra delle loro possibilità, quelle che vogliono fare carriera… Si nasce onesti, ma facilmente si smette di esserlo in una società dominata dalla corruzione.

Generalmente i criminali illegali sono quelli che non hanno avuto le condizioni sufficienti (morali o materiali) per restare onesti, e neppure le condizioni sufficienti (morali o materiali) per diventare dei delinquenti legali.

Una qualunque resistenza individuale a una corruzione di tal genere non serve certo a modificare le cose. Al massimo può servire per continuare a restare individualmente puliti.

Tuttavia per organizzare una resistenza collettiva occorre che gli effetti della corruzione si siano ampiamente diffusi nel tessuto urbano, al punto da renderlo invivibile. Una soluzione individuale a questo problema è l’emigrazione verso altri paesi, in cui si spera che la corruzione non sia così forte.

Una soluzione governativa è la dichiarazione di guerra a un governo straniero, semplicemente per distogliere l’attenzione delle masse dai problemi interni.

Una soluzione popolare è la guerra civile, che però deve arrivare a una rivoluzione vera e propria, altrimenti si trasforma in un inutile bagno di sangue. Scegliere una soluzione o l’altra dipende solo da una cosa: il livello di maturità politica delle masse.

La corruzione nell’Italia post-unitaria

 

Gli italiani si lamentano spesso del fatto di avere politici altamente corrotti, specie quelli del parlamento nazionale. Il fatto stesso di prendere stipendi dieci volte superiori a quelli di un operaio medio è considerato sufficiente per screditare anche il più onesto di loro.

Tuttavia la corruzione non è un male endemico al solo nostro paese. La SugarCo nel 1987 pubblicò un poderoso lavoro di J. T. Noonar, Ungere le ruote, in cui l’autore la faceva risalire addirittura al 3000 a. C., come caratteristica saliente di tutte le civiltà antagonistiche.

Là dove esiste un potere politico gestito da una ristretta minoranza, lì c’è sempre corruzione. Quanto più l’economia su cui si basa questo potere è ricca, tanto più è forte la corruzione. Sono praticamente leggi di una natura perversa. E in Italia abbiamo avuto degli esempi davvero eclatanti: dalla Banca Romana, ai tempi di Crispi e Giolitti, allo stragismo rimasto impunito, alla P2, al caso Moro, a Mani pulite, al più recente berlusconismo.

Il fatto che i nostri politici siano particolarmente corrotti non deve indurre a pensare che il popolo italiano sia peggiore di altri popoli. Anzi, considerando la netta separazione che vige nel nostro paese tra politica e società, si potrebbe pensare che gli italiani, fin quando non s’interessano di politica, sono un popolo altamente morale e che eventualmente diventano immorali quando cercano di difendersi, a titolo individuale, dalle prepotenze dello Stato; in tal caso infatti, poiché comunque lo Stato chiede d’essere pagato e obbedito, il cittadino più furbo scarica sul più ingenuo il costo e i doveri di quanto lui stesso dovrebbe sostenere.

Le spiegazioni che generalmente si danno a questo increscioso fenomeno, che offre di noi un’immagine assai poco lusinghiera, ineriscono a fattori di tipo storico e non psico-antropologico.

  1. Lo Stato centralista e autoritario è stato visto sin dall’inizio come una forma di tradimento nei confronti delle istanze democratiche che avevano portato all’unificazione nazionale. La società civile, nel suo complesso, pur essendo stata caratterizzata da momenti di forte contestazione (come durante il Biennio rosso degli anni Venti, la Resistenza e il Sessantotto, durato circa un decennio), si è come rassegnata a questo quotidiano sopruso della politica. I tentativi di decentrare i poteri dello Stato hanno fino ad oggi conseguito modestissimi risultati (regioni a statuto speciale, una più marcata regionalizzazione in talune materie di competenza statale).
    Attualmente si sta vagliando l’idea di realizzare un federalismo fiscale, dopo aver varato quello demaniale. Si teme tuttavia che accanto all’idea di federalismo, la politica voglia trasformare la repubblica da parlamentare a presidenziale, col pretesto di voler bilanciare il peso del decentramento dei poteri, che, se troppo forte – si dice – rischierebbe di compromettere l’assetto nazionale. Inoltre si teme che se col federalismo non si rinuncia sul piano nazionale a molte strutture dell’assetto politico-istituzionale, il cittadino finirà col pagare due volte, per cui un qualunque federalismo calato dall’alto non farà che peggiorare la sua situazione finanziaria. D’altra parte è assurdo pensare che la politica voglia rinunciare spontaneamente ai propri privilegi.
  2. L’Italia ha fino ad oggi avuto una politica altamente corrotta perché, essendo il nostro un paese che ha cominciato ad arricchirsi notevolmente solo a partire dal boom economico del secondo dopoguerra, la politica è sempre stata vista come una forma di arricchimento alternativa a quella tipicamente industriale-commerciale (industriali prestati per così dire alla politica sono sempre stati da noi molto pochi: questo è anche uno dei motivi per cui non è mai esistita una legge sul conflitto d’interesse).
    Nel nostro paese i politici possono anche avere origini socialmente modeste: l’importante è che non mettano in discussione la linea del loro partito, il quale viene ad essere considerato come un padrino che permette di fare carriera. In cambio viene chiesto di far approvare in parlamento cose che possono anche non essere personalmente condivise. Da questo punto di vista, anche se a un cittadino può apparire contraddittorio, a un parlamentare risulta abbastanza normale passare da uno schieramento perdente a un altro vincente, oppure che vari partiti minori possano sciogliersi e fondersi in uno nuovo, o anche che un partito possa cambiare periodicamente denominazione, al fine di mostrare un aggiornamento di sostanza. Quello che conta non è l’idea ma il potere e per conservarlo l’opportunismo è la regola.
  3. Non avendo mai avuto l’Italia unificata un impero coloniale equivalente a quello inglese o francese, ma avendo anzi dovuto creare al proprio interno una colonia (il Mezzogiorno) con cui far decollare lo sviluppo industriale del centro-nord, la politica ha dovuto svolgere sin dall’inizio una funzione di compromesso con cui rassicurare gli agrari del sud che i loro interessi non sarebbe stati minacciati, permettere una facile carriera politica o amministrativa o militare agli intellettuali meridionali, trasformare questi intellettuali, in agenti, diretti o indiretti, del capitalismo, contro gli interessi dei contadini del sud, che andavano velocemente trasformati in operai per le fabbriche del nord.
    E così, mentre i politici settentrionali sono l’espressione esplicita degli interessi della borghesia industriale e commerciale, i politici meridionali sono invece l’espressione di una borghesia rurale poco competitiva o di un ceto impiegatizio che cerca di estorcere allo Stato padre e padrone quanto più possibile (dai diplomi e carriere facilitati all’assistenzialismo, agli investimenti a fondo perduto, che tante cattedrali nel deserto hanno edificato). A volte i politici possono anche essere l’espressione di una criminalità organizzata, cioè di un ceto storicamente di estrazione rurale che vuole arricchirsi sulle spalle della borghesia del sud e del nord.
    La criminalità organizzata, che è molto diffusa in Italia, proprio perché la colonia da sfruttare è stata tutta interna alla nazione, rappresenta il modo più violento, sicuro e veloce di diventare borghesi senza averne le caratteristiche fondanti, che sono quelle tipiche dell’imprenditore industriale. Oggi la criminalità organizzata può essere considerata una delle componenti essenziali della corruzione della politica nazionale.
  4. La politica italiana è altamente corrotta anche perché i politici hanno in genere una formazione cattolica, che per sua natura, essendo basata su valori quali obbedienza, gerarchia, centralismo…, è antidemocratica e amorale. Questi valori si possono riscontrare persino nei grandi partiti della sinistra, che non a caso venivano definiti (e in parte lo sono ancora oggi) delle “chiese laiche”.
    Per secoli la cultura cattolica ha concepito il potere solo per il potere, pur mascherando questa esigenza con discorsi di tipo etico-religioso. La politica come servizio, gli ideali umani della politica, la politica come espressione del diritto universale spesso non sono che finzioni del più volgare cinismo.
    La formazione cattolica è anche alla base di quella cultura idealistica che considera imparziale lo Stato rispetto agli interessi delle classi sociali contrapposte. Ora, è evidente che per conservare questa forma di illusione, i politici si sentono autorizzati a qualunque cosa, proprio perché essi sanno di far parte di un establishment indipendente da una naturale alternanza di governo. I politici parlamentari raramente, per motivi democratici, hanno rinunciato spontaneamente ai loro privilegi prima di aver raggiunto i massimi benefici possibili, che permettessero loro un’esistenza agiata anche al di fuori della politica. Gli inquisiti cercano addirittura di non uscire mai dalla politica. La politica o è una lucrosa professione o è un salvacondotto per la propria impunità. Chi rinuncia spontaneamente alla politica è perché già dispone di un’attività molto redditizia, salvo eccezioni naturalmente.
    Un altro aspetto della formazione cattolica sta nella ideologizzazione dello scontro politico, nel senso che agli interessi nazionali spesso vengono opposti quelli particolari di una chiesa, di un territorio, di una lobby economica o finanziaria, di un partito politico, di una coalizione di potere. Anche se formalmente lo Stato viene presentato come equidistante, interclassista, nella sostanza invece viene usato come strumento fondamentale per coltivare interessi corporativi (di casta, di cricca). Uno Stato che alla resa dei conti è autoritario e centralista, facilmente sviluppa una società indifferente alla politica e tendenzialmente anarchica, disposta a rispettare le leggi solo formalmente. E’ dunque evidente che quanto più la democrazia viene vissuta passivamente, tanto più la politica e con essa la società si corrompono.

Fatta questa lunga premessa, si possono ora proporre alcune semplici “ricette” contro questo virus apparentemente ineliminabile della corruzione politica, la quale poi, nell’ambito del capitalismo, è solo un riflesso di quella economica.

  1. Decentrare al massimo i luoghi decisionali, secondo questo criterio proporzionale: va riconosciuto tanto più potere quanto più le realtà territoriali, in cui esercitare la democrazia, sono piccole o circoscritte, delimitate geograficamente. Le istanze superiori servono per confrontarsi, non per prendere decisioni, a meno che i delegati non siano stati espressamente autorizzati a farlo da parte delle loro comunità di appartenenza.
  2. Va riconosciuto un potere politico effettivo a quelle realtà territoriali in grado di dimostrare d’essere economicamente autosufficienti, cioè non dipendenti da forniture esterne, essenziali alla loro sopravvivenza. I mercati hanno senso solo per lo scambio delle reciproche eccedenze.
  3. Qualunque carica politica andrebbe considerata temporanea, rivedibile o ricusabile in qualunque momento, soggetta a frequente controllo. Nessuno va considerato insostituibile, inamovibile, al di sopra di ogni critica.
  4. Una democrazia deve essere strutturalmente diretta e autogestita e solo provvisoriamente può essere delegata.
  5. Una democrazia è diretta e autogestita quando il suo soggetto decisionale è un organo collettivo eletto da una comunità precisa di riferimento.