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Egitto, fine delle illusioni occidentali sulla bontà dei colpi di Stato in casa altrui quando ci fa comodo.

La tragedia egiziana ha posto la parola fine a un’altra illusione dell’Occidente, e dell’Europa in particolare: all’illusione, vale a dire, che i colpi di Stato militari possano arginare man mano e una volta per tutte le spinte popolari extra occidentali che per un motivo o per l’altro non ci piacciono. Quest’illusione si fonda sul fatto che di norma gli ufficiali militari che costituiscono l’ossatura delle forze armate altrui sono stati formati quasi tutti nelle più prestigiose accademie e scuole militari degli Usa e dell’Europa. Quelle italiane, per esempio,  hanno contribuito a formare il colonnello Gheddafi e il generale Siad Barre, ex sottotenente dei carabinieri italiani, diventati a suo tempo con i rispettivi colpi di Stato i padroni di lungo corso della Libia il primo e della Somalia il secondo. Finiti entrambi come sono finiti: ucciso dai ribelli il primo, cacciato a furor di popolo il secondo.

In Tunisia il generale Ben Ali, che nel 1987 abbatté con un colpo di Stato morbido il presidente Bourguiba prima di essere cacciato a sua volta con la cosiddetta “primavera araba” nel gennaio 2011, si guadagnò i gradi nella prestigiosa Ecole spéciale militaire de Saint-Cye e nell’Ecole d’application de l’artillerie de Chalons-sur-Marne, per poi perfezionarsi nella Senior Intelligence School e infine nella School for Anti-Aircraft Field Artillery negli Usa. E a metterlo in sella a Tunisi furono i nostri segreti militari, che seppero agire con discrezione: Bourguiba fu deposto per senilità a 84 anni e fatto accudire da una equipe di medici nel suo dorato palazzo di Monastir.

E’ francamente incomprensibile, se non con l’odio verso gli islamici in generale, la simpatia con la quale soprattutto in Italia è stato accolto il colpo di Stato che in Egitto ha portato in galera il presidente Mohamed Morsi. Candidato dei Fratelli Musulmani, Morsi nel giugno dell’anno scorso ha vinto le prime elezioni libere e democratiche egiziane, che hanno posto fine ai quasi 30 anni di potere di Hosmi Mubarak, generale dell’aeronautica diventato presidente. I generali che hanno deposto e arrestato Morsi, primo non militare diventato presidente,li abbiamo applauditi come “salvatori della democrazia”, nonostante siano stati le colonne portanti del potere man mano sempre più duro di Mubarak. Il precedente algerino avrebbe dovuto invece farci riflettere di più, ma si è preferito ignorarlo. Purtroppo i fatti però sono testardi, e continuano a esistere anche se non se ne parla. Com’era prevedibile, in Egitto si sta ripetendo infatti quanto successo in Algeria nel 1992, quando alla vittoria schiacciante del Fronte Islamico di Salvezza Nazionale, che nel primo turno delle libere elezioni aveva riportato nel dicembre 1991 il 60% dei voti, l’esercito applaudito dall’intero Occidente rispose con un golpe. Golpe che se ha rassicurato in particolare la Francia, ha però aperto la strada a una guerra civile particolarmente feroce, che ha mietuto centinaia di migliaia di morti. E che tuttora lascia aperta la porta ad altre possibili convulsioni dagli sbocchi potenzialmente ancora più gravi. Continua a leggere

La Turchia ieri e oggi

Quando, nel XV secolo, Costantinopoli era in procinto di cadere in mano turca, gli intellettuali bizantini non poterono non arrivare a pensare che se la cultura islamica era sicuramente alcuni passi indietro rispetto alla loro, aveva almeno il pregio di non essere ipocrita come quella cattolico-romana, che dietro la fede cristiana ambiva a mire egemoniche sullo stesso impero bizantino, di religione non meno cristiana.

La cultura islamica era una cultura semplice, basata sì sull’uso della forza, ma solo per affermare l’appartenenza a tribù, etnie, stirpi, clan e famiglie, che sicuramente erano per loro più importanti di qualunque “impero” e tanto più del concetto di “stato”. Era una cultura che non avrebbe tollerato monarchi assoluti e divinizzati. E soprattutto non era una cultura borghese ma rurale, proveniente da allevatori nomadici, che durante le conquiste islamiche s’erano trasformati in agricoltori, artigiani e commercianti, facendo fortuna con le spezie.

I turchi ottomani erano più “laici” degli arabi, ma anche più militaristi, più burocrati, più feudali nei rapporti agrari, più esosi sul piano fiscale. Nella gestione dei loro patrimoni assomigliavano molto agli spagnoli colonialisti e controriformisti.

Nonostante siano stati molto repressivi nella storia (basta guardare lo sterminio degli armeni e dei kurdi, ma anche delle popolazioni di rito bizantino e persino di quelle arabe, pur professando con quest’ultime una medesima fede islamica), i turchi hanno impedito uno svolgimento in senso capitalistico della ex società bizantina. Ciò determinerà una grande debolezza dell’impero ottomano rispetto alle nazioni europee che nel XIX secolo cominceranno a imporsi sulla scena internazionale, al punto che crollerà come impero durante la prima guerra mondiale.

Ma la debolezza dipese anzitutto dal fatto che gli emiri e i sultani turchi non permisero mai alcuna riforma agraria. Per mezzo millennio (dopo il 1453) il loro impero restò un’autocrazia dispotica, i cui rapporti feudali impedivano qualunque forma di democrazia.

La Turchia moderna, cioè “borghese”, nasce solo con Ataturk, nel 1923, il quale, temendo che la fine del feudalesimo comportasse lo smembramento di quel che era rimasto dell’ex impero ottomano, provvide a sterminare gli armeni e a isolare completamente i kurdi sulle montagne. Si comportò sul piano etnico in maniera più dispotica che nei secoli precedenti, anche se il suo Stato fu in un certo senso considerato “eretico” dal mondo musulmano, e non solo certamente perché sostituì l’alfabeto arabo con quello latino, ma anche e soprattutto perché non voleva i mullah al governo.

Pur di sopravvivere in mezzo ai colossi che volevano disintegrarla (Francia e Inghilterra in primis: l’Italia si limitò a sottrarle l’odierna Libia e alcune isole del Dodecaneso), la Turchia fu disposta ad allearsi coi tedeschi: lo fece nella prima guerra mondiale e lo rifece nella seconda, pagando tutti i prezzi di questa alleanza perdente, e facendoli pagare agli stessi tedeschi e alle loro teorie di razza pura e superiore. Oggi i quasi tre milioni di turchi sono la minoranza più forte in Germania e, per quanto laici siano nei rapporti tra chiesa e stato, restano pur sempre di confessione islamica, almeno in grande maggioranza. Nel mondo islamico la religione non può essere un fatto privato, anche quando – come in questo caso – lo Stato si dichiara “laico”, proprio perché la fede è una sorta di collante socioculturale.

Il fatto che oggi l’Europa abbia al suo interno una nazione di quasi 80 milioni di abitanti senza radici cristiane (per non parlare dei molti milioni di immigrati islamici), lo si deve, originariamente, alla volontà di Francia e Inghilterra d’impedire alla Russia zarista di sferrare un colpo demolitore alla Turchia. A partire dagli anni Venti dell’Ottocento la Russia aveva cominciato ad aiutare i greci e tutte le popolazioni balcaniche a liberarsi dell’oppressione ottomana.

L’obiettivo avrebbe potuto realizzarsi abbastanza facilmente se non l’avessero impedito sia gli austriaci, che col loro vetusto impero volevano arrivare sino al Mare Egeo (ma si fermarono ad amministrare la Bosnia e l’Erzegovina), sia, e soprattutto, gli anglo-francesi, che non volevano assolutamente permettere alla Russia né di minacciare i loro interessi imperiali nel Vicino Oriente, né di entrare con la sua flotta da guerra nel Mediterraneo; e, per impedirglielo, fecero scoppiare la guerra di Crimea (1853-56), cui partecipò anche il nostro Regno Sabaudo, e che fu disastrosa per lo zar, benché un ventennio dopo (1877-78) i russi, da soli, poterono approfittare della guerra franco-prussiana per obbligare i turchi a dare l’indipendenza a tutti gli Stati balcanici.

Oggi il ruolo della Turchia è quello di essere un avamposto americano nel Vicino Oriente, in grado di controllare i paesi arabi limitrofi, la Russia e parte del Mediterraneo. Ancora oggi, nei dibatti politici e culturali interni, non vogliono sentir parlare né di kurdi né di armeni, né di questione cipriota (l’isola che hanno occupato per metà nel 1974), per quanto alcuni timidi passi siano stati fatti.

Può entrare in Europa un paese che non permette di dire una parola convincente al proprio interno su argomenti del genere? No, non può. Ci farebbe comodo avere nell’Unione Europea un paese che smetterebbe di stare supinamente dalla parte degli americani? Sì, potrebbe farci comodo. Dobbiamo forse temere la presenza di tutti questi islamici turchi in Europa? Nessun timore: i turchi sono i primi a non volere alcuna forma di integralismo politico-religioso, anche se non ammetterebbero mai che questa loro forma di laicità gli deriva proprio dalla concezione diarchica del potere che avevano i bizantini.