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La Brigata Ebraica e la rottamazione del 25 Aprile. Ovvero, dove anche secondo Moni Ovadia mira il vertice integralista della comunità ebraica romana e di quella milanese

E’ un fatto che in occasione del 25 aprile della brigata ebraica non si è mai parlato per decenni, anche perché il suo ruolo nella lotta al nazifascismo in Italia è stato minimo se non trascurabile. E’ certo giusto e comprensibile che gli ebrei – e magari non solo loro – vogliano onorare il ricordo della brigata. Anche se l’averla ignorata per decenni perfino loro pone degli interrogativi – per chi è intellettualmente onesto e non prevenuto pro o contro qualcuno o qualcosa – di non poco conto sulla genuinità e sulle motivazioni del clamore che da qualche anno si è iniziato a fare quasi che sia stata quella brigata ad arrivare sia a Berlino che a Parigi e a Roma anziché rispettivamente le armate sovietiche e americane. Se è giusto e comprensibile che gli ebrei – e magari non solo loro –  vogliano ricordare e onorare la brigata è invece sicuramente non giusto e non comprensibile (se non pensando andreottianamente male…) che si voglia imporre a tutti i costi tale celebrazione e ricordo anche agli altri, vale a dire a chi ha sempre ricordato il 25 aprile quando di quella brigata nessuno sapeva nulla e pertanto non figurava nelle manifestazioni di piazza.

Il ruolo di quella brigata è stato sicuramente inferiore, molto inferiore, a quello di altri reparti composti da uomini di altre religioni, etnie e nazionalità. L’uso dei due pesi e due misure è evidente e addirittura lampante e smaccato se si tiene presente che anche i rom e i sinti, quelli che con spregio tutti chiamano “zingari”, hanno avuto un ruolo, sia pur piccolo anche il loro, nella Liberazione pur senza essere inquadrati in specifici reparti di rom e sinti. Eppure dei rom e sinti ce ne freghiamo allegramente, ignoriamo cinicamente e grossolanamente che hanno subìto anche loro il genocidio per mano nazista. Genocidio che vede tra i 400 e gli 800 mila esseri umani rom e sinti uccisi nei campi nazisti, ma Moni Ovadia ritiene che le vittime possano essere state forse addirittura due milioni: come si vede, un genocidio percentualmente non inferiore per gravità e numero di vittime a quello degli ebrei, ma del quale, a differenza di quest’ultimo, ignoriamo tutto, a cominciare dal nome: Porrajmos e Samudaripen. Non solo: immaginiamo cosa succederebbe se alle celebrazioni del 25 aprile si presentassero, del tutto legittimamente, degli “zingari” con il loro striscione…

Se poi si presentassero anche gruppi di musulmani e africani a rivendicare con tanto di striscione il loro ruolo nella Liberazione dell’Europa, dal momento che erano regolarmente arruolati nelle truppe alleate, succederebbe un pandemonio! Preferiamo restare fermi al film La ciociara. E all’equazione imbecille islamici eguale terroristi, versione postmoderna e attuale, oltre che a lungo futura, dell’antisemitismo che ci si porta nelle viscere e che nel Ventennio diventò legge.
Ho sempre partecipato alle manifestazioni di piazza per il 25 aprile e quando, qui a Milano, si è presentata la novità della presenza dello striscione della brigata ebraica ho anche sfilato chiacchierando con alcuni miei amici ebrei dietro quello striscione. Non c’è voluto molto negli anni successivi per sospettare (dico sospettare, ma quegli stessi miei amici ebrei tifosi di quello striscione mi hanno spiegato e quindi dato la certezza del perché di quella novità, ma tralasciamo), che si trattava solo di strumentalizzare (anche) quella brigata, e i suoi caduti, in funzione filo israeliana. Funzione che ormai è diventata la vera e propria ossessione di molti, specie di quelli che nulla sanno del Samudaripen detto anche Porrajmos e che più si affannano per cancellare il ricordo delle decine di milioni di morti sovietici, compresi i militari prigionieri uccisi in massa nei campi di concentramento nazisti assieme a ebrei e rom. La Storia viene cancellata e riscritta come Storiella e a volte come carta igienicaa uso e consumo delle smaccate propagande di parte.

I filo palestinesi hanno avuto reazioni idiote, sono cascati in pieno nella trappola protestando contro la presenza dello striscione della brigata ebraica alle manifestazioni del 25 aprile, aumentandone così a dismisura la risonanza con la polemiche, piuttosto misere, che ne sono nate e che da allora avvelenano il 25 aprile (con tutte le conseguenze, delle quali oggi non ci rendiamo ancora conto). Non so se sia vero quello che ho letto suoi giornali, e cioè che l’Associazione Nazionale dei Partigiani Italiani (ANPI) ha commesso l’incredibile sbaglio di invitare alla manifestazione la comunità ebraica romana “in rappresentanza di uno Stato estero”, cioè di Israele. Ma francamente è ridicola e grottesca l’affermazione di esponenti di tale comunità secondo i quali, stando a quanto ho letto sui giornali, “l’ANPI non rappresenta i veri partigiani italiani”. Polemiche e accuse men che misere: ma che servono solo a delegittimare chi non canta nel coro e a rottamare quel che resta del 25 aprile e della Liberazione. Rottamazione funzionale alla nuova grande guerra che ci vogliono assolutamente servire in tavola.

Capisco che dire certe cose oggi comporta lapidazioni e condanne, oltre che danni alla carriera e al lavoro come quelli già procuratimi una decina di anni fa da alcuni ipersionisti romani. Ma ciò non basta neppure oggi a tapparmi la bocca e ad evitare che dica e scriva ciò che è giusto, onesto e quindi doveroso dire e scrivere.

POST SCRIPTUM – Il ricordo della brigata ebraica, verso la quale sdebitarsi per i servigi resi nell’esercito inglese, è servito all’Inghilterra per la sua malvagia politica dei due pesi e due misure in Palestina quando ne aveva il mandato: favorire il più possibile i sionisti, evitando di disarmare anche loro, e sfavorire il più possibile i palestinesi, disarmandoli e chiudendo più di un occhio di fronte ai soprusi, stragi e saccheggi compresi, che continuavano a subire per mano del terrorismo sionista. Argomenti sui quali negli anni recenti ha scritto più di uno storico ebreo e israeliano. In particolare ne ha scritto Ilan Pappe, che ha dovuto abbandonare Israele e l’insegnamento universitario in Israele per avere avuto il coraggio di scrivere la verità nell’importante e molto scomodo libro La pulizia etnica della Palestina ( https://fazieditore.it/…/la-pulizia-etnica-della…/ ).

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La perversione del senso del 25 aprile

di Moni Ovadia

Nel corso della mia vita e da che ho l’età della ragione, ho cercato di partecipare, anno dopo anno a ogni manifestazione del 25 aprile. Un paio di anni fa, percorrendo il corteo alla ricerca della mia collocazione sotto le bandiere dell’Anpi, mi imbattei nel gruppo che rappresentava i combattenti della “brigata ebraica”, aggregata nel corso della seconda guerra mondiale alle truppe alleate del generale Alexander e impegnata nel conflitto contro le forze nazifasciste. Qualcuno dei componenti di quel drappello mi riconobbe e mi salutò cordialmente, ma uno di loro mi rivolse un invito sgradevole, mi disse: «Vieni qui con la tua gente».
Io con un gesto gli feci capire che andavo più avanti a cercare le bandiere dell’Anpi che il 25 aprile è «la mia gente» perché io sono iscritto all’Anpi con il titolo di antifascista. Lui per tutta risposta mi apostrofò con queste parole: «Sì, sì, vai con i tuoi amici palestinesi».
Il tono sprezzante con cui pronunciò la parola palestinesi sottintendeva chiaramente «con i nemici del tuo popolo». Io gli risposi dandogli istintivamente del coglione e affrettai il passo lasciando che la sua risposta, sicuramente becera si disperdesse nell’allegro vociare dei manifestanti.
Questo episodio, apparentemente innocuo, mi fece scontrare con una realtà assai triste che si è insediata nelle comunità ebraiche.
I grandi valori universali dell’ebraismo sono stati progressivamente accantonati a favore di un nazionalismo israeliano acritico ed estremo. Un nazionalismo che identifica stato con governo.

Naturalmente non tutti gli ebrei delle comunità hanno imboccato questa deriva sciovinista, ma la parte maggioritaria, quella che alle elezioni conquista sempre il “governo” comunitario, fa dell’identificazione di ebrei e Israele il punto più qualificante del proprio programma al quale dedica la prevalenza delle sue energie.
Io ritengo inaccettabile questa ideologia nazionalista, in primis come essere umano perché il nazionalismo devasta il valore integro e universale della persona, poi come ebreo, perché nessun altro flagello ha provocato tanti lutti agli ebrei e alle minoranze in generale e da ultimo perché, come insegna il lascito morale di Vittorio Arrigoni, io non riconosco altra patria che non sia quella dei diseredati e dei giusti di tutta la terra.
L’ideologia nazionalista israeliana negli ultimi giorni ha fatto maturare uno dei suoi frutti tossici: la decisione presa dalla comunità ebraica di Roma, per il tramite del suo presidente Riccardo Pacifici, di non partecipare al corteo e alla manifestazione del prossimo 25 aprile. La ragione ufficiale è che nel corteo sfileranno bandiere palestinesi, vulnus inaccettabile per il presidente Pacifici, in quanto nel tempo della seconda guerra mondiale, il gran muftì di Gerusalemme Amin al Husseini, massima autorità religiosa sunnita in terra di Palestina fu alleato di Hitler, favorì la formazione di corpi paramilitari musulmani a fianco della Germania nazista e fu fiero oppositore dell’instaurazione di uno stato Ebraico nel territorio del mandato britannico. Mentre la brigata ebraica combatteva con gli alleati contro i nazifascisti. Tutto vero, ma il muftì nel 1948 venne destituito e arrestato: oggi vedendo una bandiera palestinese a chi viene in mente il gran muftì di allora? Praticamente a nessuno, se si eccettua qualche ultrà del sionismo più isterico o qualche fanatico modello Isis.

Oggi la bandiera palestinese parla a tutti i democratici di un popolo colonizzato, occupato, che subisce continue e incessanti vessazioni, che chiede di essere riconosciuto nella sua identità nazionale, che si batte per esistere contro la politica repressiva del governo di uno stato armato fino ai denti che lo opprime e gli nega i diritti più elementari ed essenziali. Un governo che lo umilia escogitando uno stillicidio di violenze psicologiche e fisiche e pseudo legali per rendere esausta e irrilevante la sua stessa esistenza.
Quella bandiera ha pieno diritto di sfilare il 25 aprile – com’è accaduto per decenni e senza polemica alcuna – e glielo garantisce il fatto di essere la bandiera di un popolo che chiede di essere riconosciuto, un popolo che lotta contro l’apartheid, contro l’oppressione, per liberarsi da un occupante, da una colonizzazione delle proprie legittime terre, legittime secondo la legalità internazionale, un popolo che vuole uscire di prigione o da una gabbia per garantire futuro ai propri figli e dignità alle proprie donne e ai propri vecchi, un popolo la cui gente muore combattendo armi alla mano contro i fanatici del sedicente Califfato islamico nel campo profughi di Yarmouk, nella martoriata Damasco.

E degli ebrei che si vogliono rappresentanti di quella brigata ebraica che combatté contro la barbarie nazifascista hanno problemi ad essere un corteo con quella bandiera? Allora siamo alla perversione del senso ultimo della Resistenza.
La verità è che quella del gran muftì di allora è solo un pretesto capzioso e strumentale. Il vero scopo del presidente Pacifici e di coloro che lo seguono – e addolora sapere che l’Aned condivide questa scelta -, è quello di servire pedissequamente la politica di Netanyahu, che consiste nello screditare chiunque sostenga le sacrosante rivendicazioni del popolo palestinese.

Per dare forza a questa propaganda è dunque necessario staccare la memoria della persecuzione antisemita dalle altre persecuzioni del nazifascismo e soprattutto dalla Resistenza espressa dalle forze della sinistra. È necessario discriminare fra vittima e vittima israelianizzando la Shoah e cortocircuitando la differenza fra ebreo d’Israele ed ebreo della Diaspora per proporre l’idea di un solo popolo non più tale per il suo legame libero e dialettico con la Torah, il Talmud e il pensiero ebraico, bensì un popolo tribalmente legato da una terra, da un governo e dalla forza militare.
Se come temo, questo è lo scopo ultimo dell’abbandono del fronte antifascista con il pretesto che accoglie la bandiera palestinese, la scelta non potrà che portare lacerazioni e sciagure, come è vocazione di ogni nazionalismo che non riconosce più il valore dell’altro, del tu, dello straniero come figura costitutiva dell’etica monoteista ma vede solo nemici da sottomettere con la forza.

Fonte: Il manifesto
Originale: https://ilmanifesto.it/la-perversione-del-senso-ultimo-del-25-aprile/

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Egregio signor Sindaco,
le scrivo a seguito della notizia circolata nella rete, che un’associazione di ebrei legata alla Comunità Ebraica milanese, attraverso il suo sito /www/.linformale.eu/, le ha chiesto, non si capisce a quale titolo, di adoperarsi per impedire la partecipazione alla prossima manifestazione del 25 Aprile, festa della Liberazione, al movimento BDS /(Boicotta Disinvesti Sanziona)/, calunniandolo con accuse false e infamanti. Il 25 Aprile ricorda e celebra si la memoria della lotta contro la barbarie nazifascista, ma irradia anche un insegnamento e un monito che cammina di generazione in generazione: il dovere di opporsi ad ogni oppressione per liberare ogni popolo oppresso da chiunque ne sia l’oppressore.

Per questa ragione, lo slogan più ripetuto nella manifestazione dell’antifascismo è “/Ora e sempre //Resistenza!/”, pertanto chiunque inalberi simboli che richiamano alla libertà e all’indipendenza dei popoli, è legittimo erede dei partigiani.

Signor Sindaco, io non mi permetto di chiederle di prendere posizione sul BDS,voglio solo sot toporle un’accorata sollecitazione a non prestarsi a legittimare un uso scellerato e strumentale dall’accusa di antisemitismo o di terrorismo contro BDS. L’unico scopo di tali falsità e quello di tappare la bocca, imbavagliare il pensiero e criminalizzare una militanza sacrosanta che si batte per i diritti di un popolo oppresso, i cui territori sono occupati, colonizzati da cinquantanni, le cui topografie esistenziali sono devastate, ai cui figli è negato il presente e il futuro, la cui gente è sottoposta a punizioni collettive e ad un autentico apartheid a causa del quale, i palestinesi subiscono un diuturno ed incessante stillicidio di vessazioni e patiscono la negazione sistematica della dignità sociale e personale.

Signor Sindaco, questa situazione tragica, violenta ed ingiusta, e denunciata con forza anche dalle voci più coraggiose della stampa e della società israeliana. A titolo di esempio riporto qui alcuni brani del discorso pronunciato davanti all’assemblea delle Nazioni Unite il 16 ottobre 2016 da Hagai El-Ad, direttore esecutivo del gruppo israeliano per i diritti umani /Bet’Tselem: “Ho parlato alle Nazioni Unite contro l’occupozione perché sono israeliano. Non ho un altro Paese. Non ho un’altra cittadinanza né un altro futuro. Sono nato e cresciuto qui e qui sarò sepolto: mi sta a cuore il destino di questo luogo, il destino del suo popolo e il suo destino politico, che è anche il mio. E alla luce di tutti questi legami, l’occupazione è un disastro.

[…] Ho parlato alle Nazioni Unite contro l’occupazione perché i miei colleghi di B’Tselem ed io, dopo così tanti anni di lavoro, siamo arrivati ad una serie di conclusioni. Eccone una: la situazione non cambierà se il mondo non interviene. Sospetto che anche il nostro arrogante governo lo sappia, per cui è impegnato a seminare la paura contro un simile intervento.
[…] Non ci sono possibilità che la società israeliana, di sua spontanea volontà e senza alcun aiuto, metta fine all’incubo. Troppi meccanismi nascondono la violenza che mettiamo in atto per controllare i palestinesi.
[…] Non capisco cosa il governo voglia che facciano i palestinesi. Abbiamo dominato la loro vita per circa 50 anni, abbiamo fatto a pezzi la loro terra. Noi esercitiamo il potere militare e burocratico con grande successo e stiamo bene con noi stessi e con il mondo.
Cosa dovrebbero fare i palestinesi? Se osano fare anifestazioni, è terrorismo di massa. Se chiedono sanzioni, è terrorismo economico. Se usano mezzi legali, è terrorismo giudiziario. Se si rivolgono alle Nazioni Unite, è terrorismo diplomatico.
Risulta che qualunque cosa faccia un palestinese, a parte alzarsi la mattina e dire “Grazie, Raiss” – “Grazie, padrone” – è terrorismo. Cosa vuole il governo, una lettera di resa o che i palestinesi spariscano? Non possono sparire.”.

L’antisemitismo, signor Sindaco, è stato ed è uno dei crimini più odiosi, farne uso di vergognosa propaganda al fine di legittimare politiche di oppressione contrarie ad ogni principio del diritto internazionale è infame. Proprio in occasione delle recenti polemiche, la comunità ebraica romana in una sua nota, ne ha rispolverato a pappagallo una versione inventata dal talento di Bibi Netanyahu: “L’Anpi sceglie di cancellare la Storia e far sfilare gli eredi del Gran Muftì di Gerusalemme che si alleò con Hitler con le proprie bandiere…” (la Repubblica 20/04/2016). Ovvero, chi inalbera la bandiera palestinese, simbolo dell’identità e della dignità di un popolo oppresso, sarebbe erede del Gran Mufti di Gerusalemme del tempo della Seconda Guerra Mondiale, noto per le sue simpatie filonaziste. Questo argomento se non fosse una vigliaccata sarebbe ridicolo e patetico, tanto più se serve come scusa alle istituzioni della Comunità Ebraica romana per non partecipare alla manifestazione a cui ha pieno titolo ad esserci ma non contro l’aspirazione alla libertà e all’indipendenza del popolo palestinese.
Da ultimo, signor Sindaco, mi permetto di rivolgermi a lei a titolo personale.
Se lei desse legittimità a chi vuole criminalizzare /BDS/, metterebbe anche su di me che ne sostengo il diritto, la libertà e la piena legittimità, lo stigma del terrorista antisemita. Mi permetto orgogliosamente di ricordarle,che sono ebreo per nascita, cittadino milanese da 68 anni, militante antifascista dall’età della ragione e che ho dedicato oltre quarant’anni a far conoscere e a celebrare i valori specifici e universali della cultura ebraica rappresentandoli in teatro, scrivendone e parlandone.

In questi ultimi anni per avere sostenuto i diritti del popolo palestinese, ho ricevuto ogni sorta di spietati insulti e maledizioni, ci ho un po’ fatto il callo, ma se, ancorché indirettamente, l’istituzione della mia città si unisse al coro, il vulnus colpirebbe non me ma i valori della tradizione antifascista e democratica della nostra Milano.

La ringrazio anticipatamente per l’attenzione che vorrà rivolgermi

Moni Ovadia