S’è votato in Italia e in Europa, si sta per votare in Libano e in Iran. E a proposito del viaggio in Iran….

Si è votato in Italia, dove comunque la tanto strombazzata marea berluscona, vero e proprio “giudizio di Dio” in salsa postmoderna,  non c’è stata, anche se il tandem BB, detto anche BeBo o BerBos, ha trionfato in sede amministrativa locale. Si è votato in Europa, dove soffia un venticello di destra. Si è votato in Libano, dove è stato confermato il filo occidentale o forse più correttamente il laico non islamista Hariri. E si sta per votare in Iran, alle urne il 12 giugno. Speriamo che la vittoria di Hariri in Libano sia seguita dalla vittoria in Iran di Mousavi, riformista coraggioso e deciso, così da dare spazio reale in quella martoriata parte del pianeta al discorso molto interessante di Obama al Cairo.
Mir Hossein Mousavi, il principale concorrente di Mahmoud Ahmadinejad alla carica di decimo presidente della Repubblica Islamica d’Iran, è stato lontano dalla politica per 20 anni e s’è candidato nonostante si fosse candidato anche Khatami, presidente prima di Ahmadinejad con un grande programma di riforme sabotate dal clero, a partire dall’ayatollah Alì Khamenei, la Guida Suprema succeduta a Komeini. Sapendo di essere inviso a Khamenei, che ha il potere legale di cassare candidature e leggi approvate dal parlamento nonché lo stesso presidente della Repubblica, Khatami ha preferito ritirarsi e lasciare campo libero a Mousavi.

Chi è e perché suscita tante speranze? Architetto e pittore, presidente dell’Accademia dell’Arte iraniana, Mousavi è stato primo ministro, l’ultimo prima della abolizione della carica di premier, dal 1980 al 1989 sotto la presidenza di Khamenei, l’attuale Guida Suprema decisamente conservatore. I sondaggi non concedono troppo alla speranza di battere Ahmadinejad il prossimo 12 giugno, ma Mousavi ci crede caparbiamente e Khatami era al suo fianco al comizio ufficiale di apertura della campagna elettorale, organizzato nello stadio Azadi di Teheran: «Giovani iraniani, votate per lui!», è stato il forte appello di Khatami, e in effetti proprio i giovani, con in testa le donne, che danno l’impressione di una pentola a pressione che ormai non si può più gelare,   potrebbero essere la leva del cambiamento. E a proposito di giovani, Mousavi ha un grande sogno: porre fine all’emigrazione dei più promettenti. Nel comizio allo stadio, dopo avere attaccato Ahmadinejad e il suo governo affermando  che «il prestigio del nostro Paese non deriva da una persona sola, ma vi contribuiscono tutti gli iraniani, che però hanno contro l’attuale amministrazione, colpevole di minare questo grande prestigio», Mousavi ha proseguito acussando ancora: «Quando all’orizzonte non c’è speranza per lo sviluppo, la ricerca e la realizzazione della creatività, è naturale che i migliori studenti vengano attratti dalle proposte che li allontanano dal nostro meraviglioso Paese». Continua a leggere

Mentre Obama accende speranze nel mondo, in Italia ci sbrachiamo sempre di più berluscosamente

Non vorrei proprio occuparmi delle polemiche attorno alle faccende Berlusconi-Noemi-Veronica-Villa Certosa e annessi e connessi, ma il liquame è arrivato a livelli tali, per giunta con diramazioni e travestimenti politici, che tacere significherebbe essere complici di questa ennesima pochade dell’arcitaliano che occupa la poltrona di primo ministro del Belpaese. Cercherò comunque di essere breve, dato il fetore che l’argomento promana e dato che ci sono cose più importanti di cui occuparsi e discutere.
La cosa più vergognosa, almeno dal mio punto di vista di giornalista, è lo zelo con il quale l’ineffabile Sandro Bondi, di professione voltagabbana adoratore di e miracolato da Berlusconi, e l’altrettanto ineffabile Maurizio Belpietro, direttore del settimanale Panorama, una delle proprietà private di Berlusconi, si sono prodotti nel programma televisivo Ballarò, su Raitre, nell’accusare l’ex fidanzato di Noemi, Gino Flaminio, che in una intervista a Repubblica aveva sbugiardato il mare di balle raccontato sia da Berlusconi che dall’intera famiglia di Noemi, lei compresa, sull’origine e la sostanza dell’amicizia della ragazza con il nostro primo ministro. Belpietro s’è scagliato contro il direttore di Repubblica, Ezio Mauro: “Avete intervistato l’ex fidanzatino di Noemi che si chiama Gino Flaminio, . Ebbene, al casellario giudiziario risulta che esiste un Gino Flaminio condannato a due anni per rapina. È lo stesso che avete intervistato voi?”. Mauro ha provato a rispondere, ma Belpietro è tornato alla carica: “Le avete fatte o no le verifiche su questo ragazzo? Quello che avete intervistato è lo stesso che era stato condannato?”. Continua a leggere

Evitiamo di fare solo propaganda anche riguardo il “pericolo nord coreano”

Il lancio sperimentale di un missile e l’esplosione – pare – di una bomba atomica di potenza limitata hanno ci hanno fatto ripiombare nella psicosi del “pericolo nord coreano”. Ma come stanno realmente le cose? E come è stata creata l’attuale situazione? Guarda caso, la guerra di Corea del 1950 ha creato, con il documento NSC 68 firmato da Truman nell’aprile del ’50, le basi – teoriche e strategiche – per il continuo irrobustimento dell’apparato industriale militare americano, vale a dire dell’apparato che di fatto traina l’intero sistema produttivo Usa perché ne rappresenta con l’indotto e la ricerca non meno del 30% del totale. L’apparato che già Dwight Eisenhower e di recente Colin Powell hanno definiti senza mezzi termini un pericolo per la pace e per gli stessi Stati Uniti.
Con George W. Bush e le sue guerre la Casa Bianca ha quasi raddoppiato il budget per la Difesa, portandolo alla astronomica cifra di oltre 400 miliardi di dollari. Un giro di boa epocale, dunque, la guerra di Corea e la direttiva NSC 68, le cui conseguenze durano tutt’oggi.  Da notare, dato che ci siamo, che alla fine del dicembre del ’49 Truman aveva firmato anche il documento NSC 48, che per la prima volta approvava l’aiuto militare a favore dei francesi contro i vietnamiti arcistufi di essere una colonia di Parigi.  Le enormi spese “difensive” previste dall’NSC 68 furono giudicate dai suo ideatori una occasione per l’economia statunitense per “trarre consistenti benefici dal tipo di potenziamento che suggeriamo”, potenziamento militare ovviamente. La guerra di Corea è stata importante per la storia americana per due motivi: ha rappresentato il fulcro attorno al quale far ruotare una spesa militare tanto massiccia quanto permanente; ha rovesciato provocatoriamente la teoria del “contenimento” del “pericolo comunista” trasformandola nella teoria del “rollback”, cioè del “ripiegamento” ovvero – in termini più chiari – della “liberazione”. Mac Arthur e gli strateghi politici americani pianificavano di “liberare”  lintera Manciuria e le aree meridonali più importanti della Cina! Non bisogna dimenticare che in quegli anni negli Usa impazzava la paranoia anticomunita e la discriminazione a tutti i livelli  dei sospetti comunisti cittadini americani, fino al punto di cacciare perfino scienziati tra i maggiori  responsabili della realizzazione della bomba atomica e mettere a morte sulla sedia elettrica due coniugi, i Rosenberg, accusati senza prove di avere passato all’Unione sovietica i documenti per la realizzazione delle bombe atomiche e condannati di fatto solo perché ebrei un una america ancora intrisa di antisemitismo.

Ed è proprio la teoria del “rollback” che George W. Bush – con la scusa dell’11 settembre – ha poi riesumato per “liberare” l’Iraq e l’Afaganistan, con la tentazione di “liberare” l’Iran e chissà cos’altro spalleggiato da Israele che ha tutto l’interesse a “liberare” i propri confini dalla presenza palestinese e a volte la tentazione di “liberare” anche le vaste aree di quello che si usa credere sia stato in passato il regno della Grande Israele. Continua a leggere

L’Iran, antichissimo ombelico del mondo. Compreso il nostro. L’Iran, che quando le atomiche voleva farle davvero lo scià gli abbiamo venduto 12 centrali nucleari e il formidabile Dipartimento di Ingegneria Nucleare del MIT, mentre ora vogliamo impedire anche il solo nucleare civile! L’Iran, la cui gioventù soprattutto femminile è una pentola a pressione ormai inarrestabile

Quando varie settimane prima di Pasqua ho visto nella posta elettronica l’e-mail giratami da un collega che parlava di un viaggio in Iran organizzato dal Gruppo cronisti lombardi non credevo ai miei occhi: l’itinerario benché di soli 6 giorni pieni e due di fatto di solo viaggio aereo prevedeva visite a Persepolis, Pasargade, Naqsh-e-Rostam, all’Iran Bastan di Shiraz e a luoghi dello zoroastrismo. Tutte cose che da tempo sognavo di vedere e che mai avrei creduto di poter vedere dato che l’Iran viene costantemente dipinto come un postaccio dove impiccano la gente per strada, quando non la lapidano o non la mutilano col taglio della mano e altre simili prelibatezze, e dove le donne sono una specie di soprammobile alla mercé del capriccio maschile o peggio ancora clericale. Il programma di viaggio mi pareva irreale anche perché, oltre a condensare il meglio del meglio riguardo le origini delle umane civiltà, elencava una sfilza impressionante di visite alle più belle moschee del mondo islamico, cosa molto strana visto che ci viene raccontato da mane a sera che noi infedeli nelle moschee non ci possiamo mettere piede pena il linciaggio o qualcosa di simile. E anzi, come se il programma fosse stato scritto da un marziano del tutto all’oscuro della “realtà iraniana”, erano previsti perfino incontri con la comunità cristiana, ebraica e zoroastriana.

Peccato solo che non era prevista una visita anche a Susa, oggi Shush, nell’antico Elam, dove ben 6.000 anni fa è nata la scrittura, vale a dire il linguaggio scritto. Forse la scrittura era già nata nella vicina Mesopotamia, con il linguaggio detto di Uruk IV, ma è nell’iranica Susa che sono meglio documentati il suo esordio come segni di pura e semplice registrazione delle tasse dovute al Palazzo e al Tempio e il suo lungo cammino per diventare quel rivoluzionario e insostituibile mezzo di comunicazione che ancora oggi utilizziamo e continuamente miglioriamo. Continua a leggere

Sprofondiamo nel coma dell’intelligenza critica e dell’odio verso “gli altri”. Ecco perché hanno buon gioco i Berlusconi, i Maroni, gli Sgreccia, i Lapo, gli ultra sionisti affamati di altre pulizie etniche. Il tutto mentre i nostri mass media e politici vanno a caccia di veline e mutande sotto l’arco di Tito….

Avrei voluto scrivere oggi la seconda punta del mio viaggo in Iran con alcuni colleghi del Gruppo cronisti lombardi, ma l’incalzare della cronaca con fatti gravi e gravissimi non solo in campo politico mi costringe a farla slittare a domani o dopodomani.
E’ francamente raggelante il balletto se l’avvocato inglese Mills abbia ricevuto i famosi 600 mila dollari di non disinteressato regalo da Berlusconi in persona o no, come se l’eventuale non averli ricevuti da lui significhi automaticamente che Berlusconi è innocente. Il fatto è che da chiunque abbia ricevuto quei soldi Mills è arci dimostrato, dai documenti dell’inchiesta giudiziaria, che l’azienda miniera d’oro del nostro capo di governo, cioè la Fininvest, ha commesso varie grandi illegalità per trarne grandi vantaggi illegali. Si dà il caso che la Fininvest è proprietà privata dei Berlusconi. O no? Quindi in ogni caso buona parte della sua ricchezza ha origini non lecite. Per non parlare del fatto che Mills si occupava anche di creare una serie di “scatole cinesi” onde rifornire di quattrini (almeno) di non chiara origine e di chiara frode verso il fisco due figli di Berlusconi, Marina e Piersilvio, che oltretutto dirigono la stessa Finivest.
Insomma, ce n’è più a sufficienza per cacciare Berlusconi e fargli avere grosse noie giudiziarie, qualora fossimo un Paese civile. Per non parlare delle ribalderie per le quali è riuscito a beffare la giustizia solo grazie a leggi fatte fare su misura dai circo Barnum dei suoi nani, ballerine compiacenti e avvocati ancor più compiacenti. In un Paese civile basterebbe il continuo ringhiare contro la magistratura e la stampa, due cardini della democrazia, per mandare a casa – e con somma vergogna – un capo di governo come Berlusconi, che nella sua volgarità e minacciosità ha ormai superato anche il Caimano di Nanni Moretti: quando ho visto il film mi sono detto che Moretti aveva esagerato. Ora non lo disco più. Viene il voltastomaco a leggere i “ragionamenti” dell’avvocato e parlamentare Nicolò Ghedini, che con il miglior stile azzeccagarbugliesco – riccamente pagato dal grande capo di Arcore – cerca di far fessi i giornalisti e i lettori. Il dramma è che ci riesce, perché per quasi tutti i miei colleghi il problema si riduce – inspiegabilmente – a chi ha dato i soldi a Mills, il Cavaliere o un suo stalliere.
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Iran: come sempre, il diavolo non è brutto come lo si dipinge. Anzi, sorpresa: l’Iran non è affatto il diavolo

Chi vincerà le elezioni presidenziali, inshallah?
“Chi verrà scelto dal popolo”.
Certo, ma – chiunque vinca – lei non crede sia comunque auspicabile un cambiamento?
“Il cambiamento ci sarà e sarà molto grande. L’opinione pubblica mondiale ne sarà sorpresa”.
E quali saranno i temi del cambiamento? Per esempio, quali sono i punti centrali del suo programma?
“Lo sviluppo economico, la politica estera, i diritti civili e i diritti delle donne”.
Ad Esfahan, mentre entriamo nella cattedrale cristiana armena di S. Gregorio, nota anche come cattedrale di Vank, la nostra guida Reza Sayah (a destra in entrambe le foto, con gli occhiali da vista) riconosce tra le guardie del corpo che lo circondano per farlo uscire senza intoppi Mehdi Karroubi, presidente del parlamento e – con Mir-Hossein Moussavi – uno dei due candidati riformisti alla presidenza della repubblica islamica dell’Iran, e con presenza di spirito gli grida al volo: “Presidente, sono con un gruppetto di giornalisti italiani in visita turistica. Perché non si fa intervistare?”. Karroubi è colto di sorpresa quanto noi e gli uomini della sua scorta, ma si ferma sorridendo forse solo per salutarci. Presi alla sprovvista, i miei colleghi si traggono d’impaccio additandomi: “Su, fagli delle domande”. Totalmente impreparato e anche incredulo, ho reagito d’istinto con la prima domanda, fin troppo diretta: tant’è che ho pensato bene di ingentilirla terminando con la parola “inshallah”, cioè “a Dio piacendo”. Poi è una giovane collega a chiedergli quali siano esattamente i punti del suo programma politico. E quando Karroubi nomina i diritti civili e quelli delle donne a volergli far domande siamo in molti, l’incontro casuale rischia di diventare una assemblea compresi i passanti e i curiosi, ma gli appuntamenti del candidatio presidenziale e l’insistenza della scorta non gli permettono di fermarsi se non per pochi minuti.
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Da Paese di Pulcinella a Paese di Berlusconi e Lady Veronica. Le mutande e il gossip al posto dei programmi politici. In tanta sporcizia, il Vaticano aumenta il suo potere. Evitiamo almeno di pagare il canone di serva Rai

Non credo che l’ultrasettantenne Berlusconi sia arrivato alla depravazione di farsela con minorenni. E’ più probabile che alla famosa festa di compleanno ci sia andato per motivi meno pecorecci, lui che non ha mai dismesso la dimensione un po’ goliarda, un po’ gaglioffa e un po’ da intrattenitore non solo da navi di crociera, attività che da giovane ha esercitato per davvero. Del resto ai primi dello scorso ottobre, nonostante l’incalzare di impegni internazionali in quel di Parigi, aveva già fatto un’altra allegra improvvisata serale piombando a una festa privata nella discoteca Lotus, dalle parti della “movida” milanese di corso Como. Con annessa capatina anche alla discoteca Luminal. Con dichiarazioni in strada alle 5 di mattina da far ridere anche un cadavere, ma forse non la signora Veronica Lario in Berlusconi: “La notte dormo molto poco. Se dormo tre ore poi mi resta energia sufficiente per fare tre ore d’amore” ( http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/politica/berlusconi-discoteca/berlusconi-discoteca/berlusconi-discoteca.html ). Boom! Con chi? Affari suoi. Fatto sta che se scopa tre ore di fila per giunta ogni notte significa che oltre al trapianto di capelli e di prostata devono avergli fatto anche un trapianto del “coso”, mettendogliene uno di legno, che non si affloscia mai, o ad orologeria per durare 180 minuti tondi tondi. Mah. Strano comunque che in queste ore di “scandalo” per la ragazza di Casoria e il divorzio da Veronica del nostro capo di governo nessuno si ricordi del Berluscao Meravigliao del Lotus e annesse dichiarazioni ipermandrillesche. Ah, la stampa…. No comment.
Ciò premesso, credo che la signora Veronica, che in quanto prima amante di lungo corso e poi moglie di Berlusconi non credo sia un esempio di moralità, se vuole divorziare dal marito male ha fatto a strombazzarlo Urbi et orbi tramite la stampa, Repubblica per l’esattezza. Vuole divorziare? Si accomodi. Affari suoi. A noi che ci frega? Il marito va con minorenni? Lei ha tentato di togliergli il vizietto, senza riuscirci? Beh, vada a raccontarlo e documentarlo in tribunale, tramite un buon avvocato divorzista che lei certo si può permettere. Invece anche la signora si è sentita in dovere di comportasi da First Lady e di scambiare gli affari di mutande in affari di Stato e di pasto per l’opinione pubblica come fossimo neppure dalla De Filippi o al Maurizio Costanzo Show o a Porta a Porta, ma a Novella 2000.
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1) Impiccagione di Delara Darabi: perché la notizia è stata fatta sparire? 2) Abbiamo pianto a lungo Calipari: perché ce ne freghiamo invece della ragazzina uccisa nelle stesse condizioni di Calipari dai nostri soldati in Afganistan? 3) “Veronica for President”?

Cercherò di andare per ordine e di evitare di farmi prendere da un eccesso di sdegno.

1) – Ho deciso di scrivere sul caso della 23enne iraniana Delara Darabi impiccata per un delitto commesso – se lo ha commesso – quando aveva 17 anni, cioè quando era minorenne. La notizia mi ha indignato anche per la faccenda del cappio messo al collo della povera Delara dal giovane figlio della sua presunta vittima, giovane che comunque è anche un suo parente. Ho deciso perciò di documentarmi, a partire dal rileggermi l’articolo che avevo letto sulla home page di Repubblica on line, ma con mia sorpresa l’articolo non c’era già più. L’ho perciò cercato nell’archivio del sito di Repubblica, ma la sorpresa si è trasformata in stupore: l’archivio infatti mi rispondeva che non esiste nessun artizolo di Repubblica su tale argomento. Piuttosto perplesso, mi sono messo a cercare tramite Google gli articoli dei vari giornali e siti sull’argomento, ma lo stupore si è trasformato in sgomento: man mano che cliccavo sui singoli link elencati da Google mi si apriva sempre la stessa pagina: “The page cannot be found”, come a dire che l’argomento non era mai esistito o è stato cancellato. Ma se è stato cancellato, perché lo hanno cancellato? Ho digitato di nuovo nell’archivio di Repubblica on line e poi anche su quello dell’edizione on line del Corriere della Sera le parole “impiccata in Iran la pittrice 17enne Delara Darabi”, ma mi hanno lasciato entrambi di sale. Quello di Repubblica ripete che non esiste nessun articolo in merito (  http://ricerca.repubblica.it/repubblica?query=impiccata+Delara+Darabi&view=archivio ), mentre quello del Corriere li riporta tutti (  http://archiviostorico.corriere.it/searchresultsArchivio.jsp?xslUrl=http%3A%2F%2Fwww.corriere.it%2Ftools%2Fsearchcorriere%2FtemplateAdsArchivioCorriere.xsl&adsEnvironment=corriere&channel_par=corriere&num_par=0&numas_par=10&offsetas_par=0&ordas_par=DATA&ordasdir_par=DESC&ad_par=w6n3&adpage=1&start=0&hl_par=it&searchor=&searchand=Impiccata+Delara+Darabi&searchtext=&cosa_cercare=Impiccata+Delara+Darabi&dove_cercare=on&searchsign=&src_dal_giorno=&src_dal_mese=&src_dal_anno=&src_al_giorno=&src_al_mese=&src_al_anno=&order=DESC&src_testata_01=corsera&cerca=cerca ). Continua a leggere

Le auto da Togliattigrad a Detroit. I virus dal Messico agli Usa e oltre. Dopo i nani, le nostre ballerine e Veline da Roma a Bruxelles

La faccenda della febbre suina già degradata a virus influenzale per le proteste dei grandi allevatori di maiali ha qualcosa di surreale. Il tam tam è partito sparando la notizia (?) di oltre 100 morti in Messico diventati rapidamente oltre 150, poi ridotti dopo pochi giorni a sole 4 vittime “certe”, e paventando una pandemia più o meno del tipo della febbre spagnola, che fece qualche milione di vittime in tempi abbastanza recenti. Ora pare si tratti di un virus influenzale abbastanza simile a quello del 1977, quando era di moda parlare di “asiatica”. Fin qui, siamo a metà strada tra il solito circo Barnum dei mass media sempre più drogati dal bisogno di fare audience, e sempre più sprofondanti nel pressappochismo, e l’incapacità dei pubblici poteri di essere all’altezza della situazione non solo quando si tratta di bombardare o invadere militarmente terre altrui. A furia di drammatizzare pericoli inesistenti, come le bombe atomiche (?) una volta dell’Iraq e ora dell’Iran, quando invece semmai i pericoli sono sempre più le atomiche benedette dagli Usa in Pakistan, si finisce col restare vittima dell’abitudine di spararla grossa. Continua a leggere

Dire che Ahmadinejad è “il nuovo Hitler” non è solo una grande idiozia. Dobbiamo reagire al conformismo e alla prepotenza che con scuse sempre più insostenibili ci vogliono trascinare a una nuova grande guerra

Paragonare Ahmadinejad a Hitler, anzi sostenere addirittura che lui è già il nuovo Hitler, può darsi che faccia fare bella figura e raccattare qualche voto tra gli oltranzisti, ma è una affermazione da perfetti imbecilli, per giunta in mala fede, perché totalmente campata per aria.  Eppure, ecco quanto ha declamato il presidente del parlamento israeliano, Reuven Rivlin, dirigente del Likud, durante una cerimonia commemorativa della Shoà: “Il mondo ha visto ieri il ritorno di Adolf Hitler, che questa volta ha la barba e si esprime in Farsi” e ancora: “Le sue parole sono le stesse, le aspirazioni sono le stesse, la determinazione di dotarsi dei mezzi per realizzarle è la stessa determinazione minacciosa”. Rivlin ha anche biasimato la Svizzera per la accoglienza riservata ad Ahmadinejad “nel nome della neutralità”. Rivlin ha pronunciato le sue parole riferendosi alle dichiarazioni del capo del governo iraniano a Ginevra alla conferenza contro il razzismo chiamata Durban II perché la prima si tenne in Africa nella città di Durban, e vide anche allora non solo gli Usa strapparsi i capelli per le affermazioni di vari leader sul razzismo di Israele. Per parte sua il presidente Shimon Peres ha ringraziato i Paesi che hanno deciso di boicottare la conferenza: “Le camere a gas sono sparite, ma i veleni rimangono”. Tra i veleni, rimangono però anche e soprattutto le centinaia di bombe atomiche clandestine israeliane, delle quali peraltro proprio Peres è il papà. E che si tratti di veleni lo dimostra il fatto che l’armamento nucleare israeliano è vissuto – inevitabilmente – dai vari Paesi arabi e islamici come una minaccia, visto anche che per esempio in Italia in molti – da Vittorio Messori in su e in giù – danno apertamente per scontato che Israele prima o poi le userà, e anzi applaudono entusiasti a questa prospettiva. Continua a leggere

ISRAELE E IRAN: DUE MINE VAGANTI SULLA STRADA DI OBAMA IN MEDIO ORIENTE

Il mio amico Benito Li Vigni, ex collaboratore di Enrico Mattei e uno dei massimi esperti mondiali di petrolio, sta correggendo le bozze del suo libro “I predatori dell’oro nero”, del quale ho proposto la pubblicazione a Baldini-Castoldi-Dalai. Il libro uscirà a giugno e racconterà tutti i misfatti compiuti per accaparrarci il petrolio in tutto il mondo, comprese le truffe che portano a un prezzo spesso fuori controllo e fuori dalla realtà dei costi effettivi. Li Vigni è stato testimone anche della disponibilità dell’iraniano Katami  di fornire petrolio a Israele pur di favorire la costruzione in territorio palestinese di due impianti per produrre fertilkizzanti che avrebbero dato un ottimo lavoro ad almeno 7 mila palestinesi e della volontà dell’israeliano Sharon di impedire, come in effetti è avvenuto, la costruzione di tali impianti così come qualunque possibilità di decollo economico palestinese. Data la sua vasta esperienza, ho chiesto a Li Vigni di dire la sua su quelli che ritiene i problemi cruciali del Medio Oriente. Ed ecco ciò che ha scritto per noi:

ISRAELE E IRAN: DUE MINE VAGANTI SULLA STRADA DI OBAMA IN MEDIO ORIENTE

di Benito Li Vigni

Nei giorni immediatamente successivi all’11 settembre Israele mise in atto una sorta di contingente scellerata vendetta massacrando molti palestinesi nella più totale impunità e con la tacita approvazione della Casa Bianca. L’Organizzazione delle Nazioni Unite non poté far nulla per fermare o circoscrivere la dura e «preventiva» repressione israeliana che porterà un sondaggio d’opinione europeo – comunque privo d’intenti antisemiti – ad accusare lo Stato ebraico di travalicare, con la sua aggressività, i limiti di una pur legittima lotta al terrorismo, così da rappresentare anch’esso una minaccia per la pace in quella martoriata parte del mondo. Il giornalista Paolo Barnard, autore di documentatissime inchieste sul terrorismo dei paesi che dicono di combatterlo, scrisse a proposito di Israele: «Eppure, rimane il fatto che in Occidente si fatica ad ammettere che Israele abbia praticato e pratica il terrorismo. Taluni rigettano questa nozione radicalmente, anche se la storia la dimostra in maniera incontrovertibile… Questo è potuto accadere perché l’Occidente ha intenzionalmente alterato la “narrativa” del conflitto israelo-palestinese, per tutelare i propri interessi nell’area. Continua a leggere

7 aprile 1979: la lezione è sempre attuale, ma nessuno impara. Si insiste negli stessi clamorosi errori, quasi sempre disonesti

Sono passati ormai ben 30 anni dal 7 aprile 1979, quando di primo pomeriggio mi trovai in manette assieme a un’altra dozzina di miei amici e conoscenti famosi, da Toni Negri a Franco Piperno, da Oreste Scalzone a Luciano Ferrari Bravo ed Emilio Vesce, accusati in blocco dal sostituto procuratore di Padova Pietro Calogero di essere i responsabili del rapimento e dell’uccisione dell’onorevole Aldo Moro, uomo di punta della Democrazia cristiana e di qualche governo, e i membri della direzione strategia del’intero terrorismo di sinistra italiano: dalle Brigate Rosse alla cosiddetta Autonomia Organizzata (“cosiddetta” perché non ho mai visto nulla di più disorganizzato) passando per Prima Linea. Mi spiace molto non poter essere il 7 di questo mese a Padova a rimembrare quei giorni assieme ai superstiti – alcuni infatti purtroppo non ci sono più – di quella straordinaria esperienza non solo giudiziaria, ma anche umana e – nei confronti di molti – anche disumana. Le tragedie quando sono basate sull’ignoranza e sulla supponenza hanno sempre anche un lato ridicolo.

E infatti. Nel carcere romano di Regina Coeli, dove mi sbatterono dopo qualche settimana passata nelle carceri di Bassano e Venezia, potei finalmente leggere il mostruoso e voluminoso mandato di cattura (su 80 pagine, ne lessi solo poche, mi pareva tutto troppo irreale, assurdo, manicomiale) e scoprii così che ero accusato non solo di una quantità industriale di omicidi, ma perfino di non aver pagato il bollo della Renault rossa in cui era stato rinvenuto il cadavere di Aldo Moro. Continua a leggere

Si incrina il servilismo verso Israele, inchiodato dalle accuse dei suoi stessi soldati? (A parte il ministro Frattini, ovviamente) In ogni caso, come era già ben chiaro, fine della Palestina

L’aria in apparenza nuova tra Israele e la Siria potrebbe far pensare all’inizio della soluzione dei vari problemi in Medio Oriente, ma in ogni caso si tratta in realtà della liquidazione definitiva dell’ipotesi di uno Stato palestinese, ipotesi mai realmente esistita perché mai in realtà accettata specialmente dai sionisti arabofobi fin dalla decisione dell’Onu della creazione sia dello Stato palestinese che di quello israeliano. La apparentemente strana alleanza di governo tra un semifascista come Netanyau e un “laburista” (?) come Barak si spiega bene solo con il comune rifiuto di risolvere il problema palestinese con la creazione di un altro Stato. In definitiva si tratta solo di un’altra risoluzione Onu tra l’ottantina in totale gettate nella carta straccia dai governi israeliani. E che siano animati, tanto per cambiare, dalla più decisa opposizione alla creazione dello Stato palestinese lo dimostra l’assegnazione della poltrona di ministro degli Esteri a una figura impresentabile e fascistoide come Avigdor Lieberman, il nuovo teorico – dopo quelli della bibbia – della più radicale pulizia etnica tramite cacciata in blocco di tre milioni di esseri umani che tanto non fanno farte del “popolo prediletto da Dio”. Il sugello di Lieberman è confermato da un’altra indecorosa presenza nel governo, vale a dire quella di Eli Ishai, capoccia del partito religioso (!) ultraortodosso Shas,  al quale è stato dato addirittura il ministero degli Interni onde rendere ben chiaro che i palestinesi, gli arabi cittadini israeliani e i pacifisti ebrei israeliani sono in una morsa di ferro. Normalizzare le relazioni con la Siria, asse portante per soluzione di qualunque problema del Medio Oriente a partire dalla legittimizzazione dello Stato di Israele, significa di fatto gettare definitivamente a mare i palestinesi. Tempo pochi anni, avremo quindi solo una di queste tre realtà: una nuova guerra, capace di inghiottire anche noi; uno Stato israeliano binazionale; una pulizia etnica definitiva e su vasta scala.

Intanto però la domanda è: e adesso? Che diranno adesso i sempre pronti a spaccare i capelli in quattro pur di dare sempre e comunque ragione a Israele? Ragione sempre e “a prescindere”, come diceva Totò. Che faccia faranno i cialtroni – transitati anche per i miei blog – sempre pronti a sparare in faccia l’accusa di “antisemitismo” a chi osa non allinearsi automaticamente alle versioni fornite dal governo o dallo stato maggiore militare israeliano? Che faccia faranno i mascalzoni e gli azzeccagarbugli da quattro soldi – ma spesso da trenta denari – sempre pronti a dare addosso ai palestinesi con argomenti del menga tipo “la colpa dei bombardamenti su Gaza è loro perché hanno votato Hamas”? Che diranno i fini sofisti del cavolo che amano blaterare di “prove scientifiche” per negare tutto ciò che di orribile a volte anche Israele commette, compreso il provatissimo e quindi innegabile uso del bestiale fosforo bianco contro i civili a Gaza? Che diranno le facce come il culo, anzi peggio, sempre scettiche, pronte a negare qualunque porcheria israeliana con la bella scusa che “non ci sono testimoni credibili”? Gente strana questi scettici, perché in compenso sono sempre pronti a credere a qualunque balla tragica sul Tibet, da amplificare anzi al massimo, eppure se c’è un posto dove di testimoni non ne è mai esistita neppure l’ombra è proprio il Tibet. Questa volta le accuse e le prove piovono a dirotto direttamente dagli israeliani, soprattutto dai soldati israeliani. Continua a leggere

Le amnesie angolane di Ratzinger a proposito di schiavismo

“La cupidigia riduce in schiavitù. Aiutiamo l’Africa assetata di giustizia”, ha scandito papa Ratzinger in Angola. Giusto! Solo che tanto per cambiare il papa di turno ha anche lui il vuoto di memoria di turno. A ridurre l’Africa in schiavitù non è stata infatti la cupidigia dei nostri giorni, ma Santa Romana Chiesa per mano di un collega di Ratzinger. Correva infatti l’anno di grazia 1452 quando il pontefice Nicola V emanò la bolla “Dum Diversas”, che in base alla teologia cattolica dell’epoca rese legittimo il commercio di schiavi, peraltro legittimato in pieno da S. Paolo quando rispedì al padrone Filemone lo schiavo Onesimo, scappato e rifugiatosi da Paolo, che l’aveva anche battezzato. La bolla di Nicola V autorizzò i portoghesi a ridurre in schiavitù i non cristiani. Come se non bastasse, tre anni dopo, cioè nel 1455, lo stesso pontefice si premurò di riaffermare la legittimità della schiavitù degli “infedeli” con una nuova bolla, intitolata “Romanus Pontifex”. E così Santa Romana Chiesa fece nascere il colonialismo europeo – durato fino a pochi decenni or sono e di fatto ancora oggi perdurante sia pure mutata mutandis almeno negli effetti – e fornì le basi “religiose” (!!!) per i secoli  della tratta dei neri da usare come schiavi soprattutto nelle Americhe. Infine, con la santificazione della riduzione in schiavitù dei nativi americani che non si convertissero al cattolicesimo e con la annessa confisca delle terre non cristiane nacque la schiavizzazione non solo degli africani, ma anche degli indigeni del cosiddetto Nuovo Mondo. Continua a leggere