Quale villaggio globale

Uno potrebbe chiedersi che male ci sia a vivere l’intero pianeta come un unico villaggio globale. Nessuno, se per “villaggio globale” s’intendesse qualcosa di libero, aperto, senza barriere o confini, senza pretese di dominio o di sfruttamento di risorse altrui.
Purtroppo però, anche quando gli esseri umani mostrano d’avere delle idee apprezzabili, le vivono nel modo peggiore. Non a caso molti ritengono che la nostra specie (o comunque quella sapiens) sia nata o si sia evoluta con un bug letale. Sembra che noi tutti si sia destinati all’autodistruzione, in forza del fatto che le nostre armi, col tempo, non lasciano scampo a nessuno, ovunque si viva.
Può darsi che la natura abbia da guadagnare dal nostro destino, riprendendosi ciò che le abbiamo sottratto. Ma per i sopravvissuti all’apocalisse sarebbe una magra consolazione apprezzare la rinascita della natura in cambio di uno spopolamento catastrofico del genere umano.
Possibile che non ci sia una via di mezzo tra libertà personale, giustizia sociale, tutela ambientale? Probabilmente, per quanti sforzi si possa fare, non c’è. Forse perché partiamo da un punto di vista sbagliato. Lo facciamo tutti, da Nord a Sud, da Est a Ovest. Siamo tutti fermamente convinti che il modo migliore per trasformare qualcosa di “informe” in qualcosa per noi apprezzabile, vantaggioso sia quello di utilizzare una tecnologia così evoluta da rendere il nostro lavoro sempre meno faticoso.
Cerchiamo un benessere in cui la fatica sia ridotta al minimo. È evidente che con una tale visione delle cose a rimetterci sono le popolazioni con una tecnologia meno evoluta. La stessa natura, lì per lì, sembra non essere in grado di opporsi alle nostre pretese egemoniche, salvo poi farcelo capire dopo un certo tempo, quando avvengono taluni fenomeni atmosferici molto preoccupanti, come desertificazione dei suoli, scioglimento dei ghiacciai, surriscaldamento dei mari, inquinamento dell’aria, esondazioni dei fiumi, e così via.
L’evoluzione per noi è diventata sinonimo di artificiosità. Quanto più ci sentiamo lontani dalla naturalità delle cose, tanto più ci sentiamo avanzati. Aspiriamo a recuperare qualcosa di naturale nel tempo libero, e ci illudiamo di trovarlo, pur sapendo che abbiamo tutto antropizzato. Ci mancano persino i parametri per distinguere una cosa dall’altra. Non abbiamo neanche la manualità per compiere azioni che non siano caratterizzate da qualcosa di evoluto. Chi riuscirebbe a sopravvivere in una foresta dopo essere sopravvissuto a una guerra urbana?
È importante pensare a queste cose, poiché, anche nel caso in cui un vero ideale di giustizia prevalesse su una palese violazione dei diritti umani, alla fine resta sempre la domanda di fondo: “Adesso che facciamo perché la cosa non si ripeta? Esiste un paradigma positivo cui possiamo fare riferimento in maniera oggettiva?”.