Guerra in Ucraina e (altra) fame in Africa

di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi**

I venti di guerra stanno mettendo a dura prova l’economia mondiale con effetti negativi, soprattutto sul continente africano. Secondo l’economista del South African Institute of International Affairs (SAIIA), Steven Gruzd, “l’insicurezza alimentare avrà conseguenze molto gravi a causa del conflitto in corso, considerato che la Russia è il maggiore esportatore di grano in Africa e l’Ucraina è al quinto posto”. A loro si deve quasi un terzo delle esportazioni di grano, orzo e semi di girasole.

La produzione e l’export di questi beni sono in drammatica crisi non solo a causa dei danni diretti della guerra, dell’interruzione delle vie di comunicazione e dei porti, ma anche perché un’elevata quota delle terre ucraine potrebbe perdere la stagione delle semine. Molti campi sono stati abbandonati e non stanno arrivando dalla Russia i fertilizzanti necessari per la normale produzione.

La Food and Agricultural Organization delle Nazioni Unite (Fao) giustamente lancia allarmi sulla sicurezza alimentare. Alla 32.ma Sessione della Conferenza Regionale per l’Africa, tenutasi a metà aprile a Malabo, capitale della Guinea Equatoriale, ha affermato che “il numero di persone che soffrono la fame nell’Africa sub sahariana è, dopo anni di declino, di nuovo in aumento. Secondo gli ultimi dati, 282 milioni di persone nel continente, in altre parole oltre un quinto della popolazione, non hanno cibo a sufficienza, con un aumento di 46 milioni rispetto al 2019”.

L’Indice Fao dei prezzi alimentari ha raggiunto una media di 159,3 punti a marzo 2022, in aumento del 12,6% rispetto a febbraio, il livello massimo dal suo inizio nel 1990. Nello specifico, in un mese l’indice per i cereali è cresciuto del 17,1% e quello dell’olio vegetale del 23,2,%.

A dire il vero, i prezzi delle materie prime agricole avevano preso a correre già prima della guerra in Ucraina. La “manina” della sempre presente e attiva speculazione finanziaria era ben visibile.

David Beasley, direttore del World Food Programme ha avvisato che il conflitto può provocare “una catastrofe alimentare di portata globale, la peggiore crisi alimentare dalla seconda guerra mondiale”.  Prima del 24 febbraio l’agenzia Onu nutriva 125 milioni di persone. Il 50% del grano acquistato dal Wfp era ucraino. Adesso deve tagliare le razioni a causa dell’aumento dei prezzi del cibo e del carburante.

Infatti, come sostiene anche l’Ocse, la Russia fornisce circa il 19% del gas naturale mondiale e l’11% del petrolio. I prezzi dell’energia sono aumentati in modo preoccupante. Ad esempio, i prezzi spot del gas in Europa sono di 10 volte superiori rispetto a un anno fa, mentre il costo del petrolio è quasi raddoppiato nello stesso periodo.

Beasley ha affermato che l’Ucraina è passata dall’essere “il granaio del mondo” ad avere essa stessa bisogno di pane. Lo stop dell’export di grano dall’Ucraina andrà a gravare soprattutto su quei Paesi dove è già diffusa la povertà. Per esempio, il Libano importa dall’Ucraina il 74% di grano per la propria sussistenza, l’Egitto il 30%, la Tunisia il 47,7%, la Libia il 43% e lo Yemen il 22%. Eritrea e Somalia dipendono interamente dalle importazioni di grano da Russia e Ucraina.

Il dramma delle popolazioni dipendenti dall’import alimentare è stato evidenziato anche dal vice direttore della Fao, l’italiano Maurizio Martina, ricordando che 26 Paesi a basso livello di reddito, molti dei quali africani ma anche dell’Asia meridionale, dipendono da Russia e Ucraina per oltre la metà della loro importazione di cereali.

Non si può, quindi, non condividere le raccomandazioni della Fao di tenere aperti i mercati dei beni alimentari e dei fertilizzanti e di rivedere le restrizioni al loro export, considerando le conseguenze delle sanzioni sulla vita di centinaia di milioni di persone.

Si stima che quest’anno arriveranno nei Paesi più bisognosi 35 milioni di tonnellate di cereali in meno rispetto a quelli dello scorso anno. Sono già cominciate le file per il pane a Tunisi; l’Egitto ha riserve di grano per qualche mese e altri Paesi africani vedono lo spettro di inevitabili crisi alimentari.

E’ opportuno ricordare che questi grandi importatori di grano in passato sono stati spesso teatro di rivolte popolari causate proprio dall’aumento dei prezzi del pane.

Il problema, quindi, non è solo dei Paesi in guerra ma anche di tutti i Paesi occidentali che hanno dettato sanzioni senza valutarne appieno gli effetti negativi nelle altre parti del mondo.

*già sottosegretario all’Economia  **economista

43 commenti
  1. peter
    peter says:

    @Pino

    Sara’ anche vero cio’ che dice lei, caro Pino, ma di cose brutte, diciamo cosi’, in Ucraina ne sono successe già’ molte.
    Fino a due mesi fa, si diceva che i russi non avrebbero mai invaso, invece….

    P.

  2. Pino nicotri
    Pino nicotri says:

    x Peter

    Lì la guerra c’era da otto anni. Ma siccome era contro i russi, c’è ne siamo fottuti. Ora rischiamo di pagare caro il nostro menefreghismo. Ci agitiamo solo per le cause belle…. Mai contro le porcherie di Israele. E della Francia in Africa.
    Mah!

  3. Peter
    Peter says:

    Mi sono letto su Le Monde le diffferenze di programma tra Mavron e Le Pen. Un programma centrista o centro-destra contro uno di destra piuttosto radicale; in linea di massima, le tendenze sono uguali, con Le Pen molto piu’ a destra come ovvio.
    La Francia contribuisce all’UE parecchio piu’ di quanto non prenda in cambio.
    Le differenze maggiori tra i due sono nelle politiche sociali, comunitarie e sull’immigrazione. Ma anche su energia ed ecologia.

    P.

  4. Uroburo
    Uroburo says:

    Non che mi piaccia moltissimo ma Macron ha vinto. Chissà se sarà in grado di prender le distanze dal vecchio Joe… Non ci credo molto ma sperare non nuoce.

  5. Uroburo
    Uroburo says:

    Il vero problema è cosa saranno capaci di combinare quei ca..oni dei crucchi, che (dopo i suicidi del 14 e del 39) possono seppellire de fi ni ti va men te l’Europa.
    Che non si rende minimamente conto che la sconfitta della Russia sarà (è già) la NOSTRA sconfitta. Stiamo qui a riempirci la bocca con gli appelli alla libbbbertà (dell’Ucraina che a quella di Cuba non si pensa) senza accorgersi che la libbbertà sarà solo quella di Wall Street. U.

  6. Uroburo
    Uroburo says:

    Caro Pino,
    ho letto l’articolo.
    Mi ricordo che anni fa parlavo di Pearl Harbor con Anita a cui spiegavo che il suo governo sapeva benissimo dov’era e cosa si preparava a fare la flotta d’attacco giapponese.
    Anita aveva manifestato i suoi dubbi, avvalorati dal fatto che il suo paese aveva avuto circa 3000 morti.
    Ricordo di averle risposto: Cosa sono 3000 morti di fronte alla prospettiva di conquistare il potere mondiale?
    Riprenderei paro paro la stessa espressione: cosa sono qualche milione di morti di fame di fronte alla prospettiva di eliminare la Russia dal novero delle grandi potenze. Senza la Russia il gioco a tre diventa un più facile gioco a due, e loro sono i più forti!…

  7. Uroburo
    Uroburo says:

    Caro Peter,
    armamento atomico a parte, la Russia è già debolissima. La sua economia è primitiva, il suo commercio limitato ad armi e minerali (e le armi non sono tecnologicamente non avanzate)…
    Io credo che il vero obiettivo sia la disgregazione. Unito all’affermazione che anche loro hanno degli interessi in Siberia… e che quindi nella spartizione ci dovranno essere anche loro. Perché una Siberia cinese sarebbe pericolosa… U.

  8. Pino Nicotri
    Pino Nicotri says:

    Mettendo assieme le cose CERTE, documenti, dichiarazioni ufficiali, azioni, programmi, era da un bel pezzo che gli USA volevano usare l’Ucraina per destabilizzare la Russia. Anche portando i loro missili e le atomiche sui suoi confini. È AGGHIACCIANTE l’esplicita e NON nascosta volontà USA. E lo è anche la nostra cecità e imbecillità.
    La Russia verrà frantumata. Ho scritto un lungo pezzo in merito per il bimestrale Nexus. Vedrò di curarne una riduzione per Blitzquotidiano.
    Il pregio della Russia è di essere euroasiatica, molto meno venale e materialista di noi occidentali. Ma questo pregio è di fronte all’Occidente (USA ed EU) un difetto enorme, una debolezza esiziale.

  9. Peter
    Peter says:

    Corre voce che la produzione di vaccini in Europa venne impedita perche’ qualcuno si accaparro’ subito le ‘cassettes’ come si dice in gergo, non appena si ebbe voce di una pandemia iniziata in Cina 2 anni fa o piu’.
    Dispositivi di filtraggio proteico essenziali per produrre vaccini su scala industriale.
    Il vaccino AZ in UK venne seriamente ostacolato e nessun paese europeo ha prodotto vaccini propri.
    Una dose del Pfizer costa circa 22 sterline qui in UK, il costo di produzione in US e’ di una sterlina a dose.

    P.

  10. Linosse
    Linosse says:

    Nella nostra traballante Europa “democratica” per procura, bombardati da voluta disinformazione emotiva rivolta a stomaci deformati da cibi e notizie al limite del tossico,non abbiamo ancora capito che i nostri “governanti” ,senza alcun consenso da parte nostra, ci stanno facendo scivolare verso un assurdo,schizofrenico conflitto che già stiamo pagando in termini economici e che ci porterà oltre ,fino ad una possibile autodistruzione, e tutto per avvantaggiare chi?
    I soliti “eletti” che sempre sono stati dall’altra parte del buonsenso e dell’atlantico e hanno SEMPRE fatto pagare il conto delle loro malefatte agli altri.
    Converrebbe mobilitarci già,prima che sia troppo tardi.
    L.

  11. Linosse
    Linosse says:

    P.S.
    Il calendario indica che siamo nel 2022 ma in realtà ci hanno fatto arretrare almeno di cento anni, nel1914.
    L.

  12. Uroburo
    Uroburo says:

    @Linosse
    Una sensazione che ho da tempo…
    @Peter
    La cosa è del tutto verosimile, gli useggetta sono oggettivamente astuti e ne san sempre una più del diavolo.
    Quel che mi stupisce è che ogni porcata di quelli lì venga regolarmente e totalmente coperta.
    Ha ragione Linosse, siamo un mondo di decerebrati…

  13. Uroburo
    Uroburo says:

    Caro CC,
    ho visto. Molto interessante ma, com’è bennoto sul piano storico, la Superpotenza non ha assolutamente tollerato la presenza dei russi a Cuba e men che meno tollererebbe quella dei cinesi in un qualunque paese dell’America Latina, che rimane il cortile dietro a casa. Non solo ma l’useggetta, gli australiani e gli zelandesi sono “altamente preoccupati” per un patto di mutua assistenza tra la Cina e le Isole Salomone, che dista 2000 e più chilometri dall’Australia, almeno il doppio dalla Zelanda ed il quadruplo dalla Superpotenza…..
    Mente invece basi NATO a trecento chilometri da Mosca sarebbero un inviolabile diritto ed una dimostrazione di spirito pacifico e collaborativo.
    Il che dimostra che le regole dell’Useggetta valgono solo per loro e che l’obiettivo rimane quello della disgregazione della Russia, come qui diciamo da molto tempo. Ed ormai non più solo noi, anche se comunque in nettissima minoranza.
    Mi consolo pensando che Santoro è riuscito a dimostrare a Mieli, se non sbaglio ex-agente segreto britannico (ma forse era il padre), che la sua è una concezione della democrazia piuttosto “pelosa”…
    Bah…. mi toccherà morire americano, e sarà ancora peggio per questo povero pianeta.
    Un caro saluto U.

  14. peter
    peter says:

    piu’ che di morire americano mi preoccuperei di morire a breve termine per una guerra nucleare da escalation.
    Per me e tutti quelli di questi lidi sarebbe probabilmente una fine rapida; perché’ questo paese sarebbe un sito primario di un eventuale attacco russo, senza dubbio. Per voi e tanti altri direi di no, salvo forse le zone con basi NATO sul loro territorio. La prospettiva di un lungo inverno nucleare non e’ allegra; carestie, pestilenze, tempeste elettromagnetiche che renderebbero telecomunicazioni, internet e credo anche voli aerei molto ardui per eventuali superstiti.
    Quel grande imbecille di Boris ha auspicato attacchi ucraini su territorio russo, Putin ha risposto a tono. Finora, guerra di parole….
    Vorrei avere la fiducia di un ex primo ministro finlandese che adesso vive da voi a Firenze; dice che loro sono abituati alle millanterie russe, Putin non e’ suicida etc. Dice anche che Svezia e Finlandia entreranno nella NATO entro fine anno. Mah.

    P.

  15. Uroburo
    Uroburo says:

    Ma anche il figlio aveva qualcosa in comune. Forse, salto di qualità, direttamente co’ padroni del vapore…
    Non ricordo bene ma avevo letto qualche pettegolezzo.

  16. Uroburo
    Uroburo says:

    Caro Peter,
    se potessi scegliere preferirei morire subito piuttosto che irradiato dopo qualche anno.
    Ma che discorsi allegri… il fatto è che ci riempiono di bugie!

  17. Peter
    Peter says:

    @Uroburo

    Non possono essere tutte bugie, anche se tutti i media sono prevenuti e parziali.
    Le atrocita’ commesse in Ucraina non sono opinioni o fatterelli.
    E il rischio di escalation e’ molto reale.
    C’e’ urgente bisogno di mediazione e di un piano di pacificazione.

    P.

  18. Peter
    Peter says:

    Ecco, adesso dicono che il rischio di guerra nucleare va mantenuto al minimo.
    Allora possiamo stare tranquilli….

    P.

  19. Uroburo
    Uroburo says:

    Caro Peter,
    con “balle” non mi riferivo alla tragica realtà di una guerra che ha molte caratteristiche di una guerra civile, tra cui la ferocia. Mi riferivo invece alle motivazioni “ufficiali”, totalmente manipolate (a mio modo di vedere soprattutto dagli Occidentali).
    Sul rischio di un’escalation sono (ahimè) TOTALMENTE d’accordo con lei.
    Mi potrebbe spiegare (razionalmente, a prescindere dalle personali paturnie del personaggio) perché mai UK sia addirittura più guerrafondaia della Superpotenza? Non riesco a capire.
    Un saluto u.

  20. Peter
    Peter says:

    @Uroburo

    I guerrafondai a parole sono Boris ed il suo ministro degli esteri; il ministro della difesa e’ posato; la gente in genere non e’ guerrafondaia ma simpatizza molto con l’Ucraina, anche per via dei media.

    Boris dovrebbe dimettersi per via del partygate ed un’inchiesta e’ in corso. Cerca disperatamente di restare a gallla. Poi c’e’ l’inflazione al 7%, il rincaro dei prezzi, l’aumento delle tasse per via del COVID. Ed altri scandali o imbarazzi vari a carico di alcuni ministri e parlamentari della maggioranza al governo.
    L’accanimento contro la Russia e’ un ovvio e quasi insperato diversivo.

    P.

  21. Peter
    Peter says:

    Dimenticavo, le conseguenze deleterie del Brexit di cui nessuno puo’ parlare, salvo a volte il Guardian.

    P.

  22. Uroburo
    Uroburo says:

    Molto chiaro grazie.
    Con “sue personali paturnie” intendevo certi suoi personali tratti di carattere: ad esempio un narcisismo sfrenato, che mi sembra superiore a quello medio degli altri politici giunti agli alti livelli; una sostanziale noncuranza per le regole, ritenute un impiccio più che un fondamentale strumento; una visione poco collegiale e molto personalistica; la tendenza alla semplificazione (di tipo populista) curiosa in un uomo certamente molto acuto e di alta cultura; ecc.
    Ovviamente visto da fuori…. u.

  23. Pino Nicotri
    Pino Nicotri says:

    Come sempre, Londra manovra perché l’Europa si spacchi. E, possibilmente, affondi.

  24. Peter
    Peter says:

    @Uroburo

    La descrizione e’ abbastanza esatta ma si addice molto di piu’ a Trump, alta cultura a parte, ed a parte anche acutezza politica o intellettuale.
    Boris e’ consapevole dei suoi limiti, anche se molto in fondo.
    Mi pare che sia laureato a Oxford in lettere classiche; sara’ di alta cultura dato che capisce il latino; cosa rarissima per un anglofono, ma mi sa che quel tipo di studi da queste parti sia una certa garanzia di snobismo.
    Essenzialmente, ha cavalcato il brexit per sua esclusiva ambizione personale, ben sapendo che sarebbe stato deleterio per economia, progresso, etc.

    P.

  25. Peter
    Peter says:

    @Pino

    Al momento Londra e’ cosi’, ma non e’ sempre stata cosi’.
    Ed a onor del vero, UK si uni’ al ‘mercato comune’ per gli sforzi di alcuni politici conservatori 50 anni fa.

    P.

  26. Pino Nicotri
    Pino Nicotri says:

    x Peter

    Sforzi che sono un’eccezione. Purtroppo.
    Teniamo presente che l’Inghilterra di Boris oltre a mandare la sua più grande portaerei nel Mar DELLA CINA Meridionale sta mettendo a punto con Biden l’intervento contro la Cina se questa dovesse riprendersi Taiwan. Il colonialismo a Londra non è mai tramontato….

  27. Linosse
    Linosse says:

    Linosse
    È lungo ma ci da il tempo di riflettere
    Chiediamoci,prima che sia troppo tardi ,quali siano i valori occidentali,la etica e la morale occidentale tanto sbandierate riattivando la memoria su quello che è avvenuto dal 2000 in poi con gli interventi NATO in cui l’Italia ha partecipato attivamente.
    Come premessa ricordo per gli smemorati:
    La NATO promuove i valori democratici e consente ai membri di consultarsi e collaborare in materia di difesa e sicurezza per risolvere i problemi, creare fiducia e, nel lungo termine, prevenire i conflitti.
    MILITARE – La NATO si impegna a risolvere pacificamente le controversie. In caso di fallimento degli sforzi diplomatici, ha il potere militare di intraprendere operazioni di gestione delle crisi. Tali operazioni devono essere condotte in base alla clausola di difesa collettiva presente nel trattato fondativo della NATO – Articolo 5 del Trattato di Washington o dietro mandato delle Nazioni Unite, da soli o in collaborazione con altre organizzazioni internazionali.

    ItaliaArticolo 11 costituzione
    L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

    Cominciamo con alcuni esempi più significativi:
    Conflitto Afgano
    Il conflitto, denuncia ancora Emergency, ”è costato soprattutto vite. Nonostante gli accordi di pace siglati all’inizio del 2020, infatti, il numero delle vittime civili del conflitto afgano è ancora pericolosamente alto. Seppure ci sia stato un moderato calo complessivo di civili coinvolti, l’Unama (United Nations Assistance Mission in Afghanistan) ha documentato 8.820 vittime civili solo nel 2020. Più di 100.000 civili sono stati uccisi da quando l’Unama ha iniziato a registrare le vittime dal 2009. L’Afghanistan e la sua capitale, Kabul, sono ancora tra i luoghi più letali del mondo”. Rapporto osservatorio Milex: i costi della guerra L’intervento militare del nostro Paese in ambito Nato in Afghanistan è stata “l’azione di natura bellica più lunga a cui l’Italia e i suoi alleati abbiano mai partecipato” e si è tradotto in un impegno complessivo di 8,4 miliardi di euro, che raggiungeranno gli 8,5 con i costi di ritiro delle truppe che termineranno entro la fine del 2021. Così riferisce sul suo sito web l’Osservatorio sulle spese militari Milex, che rilancia un report pubblicato nel 2017 aggiornato con i dati del 2020. –
    Conflitto Irak
    Il 20 marzo 2003, Stati Uniti e Regno Unito alla testa di una “coalizione di volenterosi” scagliavano un massiccio attacco aereo, denominato Shock and Awe (“colpisci e terrorizza”) contro l’Iraq. Nelle prime quarantotto ore furono lanciate 3.000 bombe con guida di precisione (“intelligenti”) su Baghdad, città densamente popolata di 5,6 milioni di abitanti. In precedenza queste stesse armi avevano avuto un tasso di successo massimo dell’85%, indicando che almeno 200 missili avrebbero mancato ogni giorno i loro obiettivi. Importanti funzionari del Pentagono prima ancora dell’attacco dichiararono pubblicamente: “Non ci sarà un posto sicuro a Baghdad… si avrà un effetto simultaneo, simile all’arma nucleare di Hiroshima, non in giorni o settimane, ma in minuti.” Lo scopo è “abbattere la città, che vuol dire privarli di elettricità e di acqua. In due, tre, quattro, cinque giorni, saranno fisicamente, emotivamente e psicologicamente stremati.”
    Chissà quanti banbini e vecchiette st accingevano in quei giorni ad atraversare le strade di Baghdad
    Come tutti dovrebbero sapere, un attacco armato di questa natura viola i principi fondamentali del diritto internazionale umanitario che richiedono di distinguere tra popolazione civile e combattenti, e tra infrastrutture civili e obiettivi militari. Nonostante la mancanza di un’autorizzazione formale da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’intervento fu giustificato sulla base di un approccio che passerà alla storia come “guerra preventiva” (l’accusa, mai provata, alla dittatura di Saddam Hussein era di possedere armi di distruzione di massa) e come “esportazione della democrazia”. È stato necessario il lavoro titanico della Commissione Chilcot[3] per stabilire, nel 2016, che l’invasione fu non soltanto inutile, ma anche disastrosa.
    Come ha documentato la Brown University, dal 2003 al ritiro formale delle forze combattenti statunitensi nel 2011, la guerra è costata ai contribuenti americani $1700 miliardi, con altri 490 miliardi per l’assistenza ai reduci di guerra.[4] 4.500 americani hanno perso la vita e più di 600.000 veterani sono registrati come disabili. Di essi circa il 10% soffre di disturbo da shock post-traumatico (PTSD), mediamente ogni notte 40.000 di loro sono senzatetto e hanno un rischio di suicidarsi 22 volte superiore alla media. L’Italia, la cui base principale era Nassiriya, si ritirò nel 2006, lasciando alle spalle 33 morti che contribuiscono al totale di 4.839 caduti dell’intera coalizione.[5]
    I costi umani per la popolazione irachena
    La seconda indagine, da parte nuovamente della Johns Hopkins, terminata nel giugno 2006 e pubblicata quattro mesi dopo ancora su The Lancet, stimava che 650.000 persone (civili e combattenti) erano morte in quel periodo in Iraq a causa della guerra.[8] Un terzo studio, compiuto dal Ministero della Salute iracheno contemporaneamente al secondo della Hopkins e pubblicato sul New England Journal of Medicine (NEJM) rilevava 400.000 morti in eccesso, 151.000 per violenza diretta.

    Conflitto i Libia
    Sono passati quasi cinque mesi dai primi attacchi della coalizione internazionale a seguito della risoluzione ONU n°1973 del 17 marzo 2011 e la situazione in Libia sembra ben lungi dal trovare quella rapida soluzione che era stata troppo ottimisticamente prospettata. Intanto le nostre forze armate rimangono impantanate nell’ennesimo conflitto/intervento sovranazionale che, come i precedenti (per esempio; La Somalia, L’Afghanistan, l’Iraq, il Libano, ecc.), avrebbe dovuto essere rapido e chirurgico ed invece continua a trascinarsi e anzi rischia, come già è avvenuto nei casi precedenti, di trasformarsi in un impegno a lungo termine con il possibile impiego di truppe di terra e pertanto con il conseguente rischio di vittime fra i nostri militari. Nel frattempo comunque stiamo bombardando il territorio libico e difficilmente possiamo escludere totalmente che i nostri interventi non vadano a far aumentare le vittime civili di questo ennesimo conflitto. Forse dunque bisognerebbe cominciare a chiedersi quanto sia etico, opportuno e lecito questo nostro modo di agire che è diventato ricorrente. Premetto che tutti i conflitti citati si presentano ognuno con caratteristiche differenti rispetto agli altri e pertanto non sarebbe serio fare di “ogni erba un fascio”. Per molti di essi però, almeno ex-post e nonostante il fatto che qualcuno sia ancora ben lontano dalla conclusione, si potrebbero levare parecchie critiche riguardo all’opportunità e soprattutto rispetto all’efficacia del nostro intervento. Tra l’altro poi, nel fare un bilancio effettivo secondo il nostro personale punto di vista (ovvero quello di noi italiani), bisognerebbe distinguere fra l’effettiva liceità e/o opportunità di un intervento internazionale in sé, rispetto a quanto fosse invece necessario un nostro impegno militare diretto, non siamo forse una Nazione che ripudia la guerra come modo di soluzione dei conflitti? Al di là dei richiami costituzionali e tralasciando persino i ragionamenti che possano basarsi sui cosiddetti interessi economici e strategici in gioco, eticamente come la mettiamo? Nel caso della Libia, per esempio è abbastanza arduo sostenere che il nostro si tratti semplicemente di un appoggio ad un moto popolare spontaneo di natura democratica! Certo nessuno dubita che Gheddafi sia un dittatore brutale e forse, per molti libici, anche impopolare, viene però spontaneo pensare, almeno a chi conosce un minimo del substrato culturale della Libia, che non fosse amato neanche prima e che la sua struttura di potere fosse più dovuto ad una serie di accordi fra le varie cabile (le varie famiglie/tribù libiche), che a un vero e proprio afflato di approvazione da parte dei singoli cittadini. L’attuale situazione di instabilità sembra quindi più dovuta alla rottura di consolidati equilibri politici ed economici interni che ormai si sono logorati, rispetto a quanto sia un vero segno di maturazione democratica del popolo libico. Per farla breve, se sostanzialmente le cose stessero così, noi non siamo entrati in campo per aprire la strada alla democrazia, ma stiamo semplicemente appoggiando una fazione contro un’altra. Se questo non ci preoccupa eticamente dovrebbe almeno allarmarci pragmaticamente, nessuno molla il potere volontariamente e quando il potere è conquistato da un’altra elite in maniera violenta, nascono subito altre tensioni. Noi siamo pronti ad una guerra lunga? E soprattutto, ………. ci siamo almeno scelti gli “amici” giusti?
    PUBBLICATO DA DARIO VARESE A GIOVEDÌ, AGOSTO 04, 2011

    Forse è il caso di lasciare da parte i “valori,etica e morale” per considerare gli aspetti poco umani ma più materiali ovvero :cosa abbiamo guadagnato in termini di danè e fama internazionale?
    Prima di farci trascinare in questa ultima contesa USA-Russia con le coseguenze che sappiamo e senza essere stati interpellati( è la democrazia bellezze!) cominciamo a chiedercelo ;gli struzzi che mettono la testa sotto la sabbia, non dimentichiamolo ,sono struzzi ma noi gli “esseri razionali “ come ci possiamo giustificare.!
    L.

  28. Linosse
    Linosse says:

    P.S.
    E l’Europa?
    Facciamolo dire da un’ammeregana

    Ricordo la filtrazione di una conversazione diplomatica privata fra la segretaria de stato aggiunta e responsabile degli USA per l’ Europa, Victoria Nuland, con l’ ambasciatore di Washington in Kiev, Geoffrey Pyatt, nella quale la diplomatica esclama un sonoro “que si fotta la Unione Europea” (” Fuck the EU “)
    L.

  29. Uroburo
    Uroburo says:

    Lasciamo perdere il passato, limitiamoci agli ultimi vent’anni: le democratiche potenze occidentali hanno difeso pace e democrazia in Iraq, Afghanistan, Libia, Siria. Per non citare Mali, Ciad ed altri stati del Sahel (lì magari con qualche ragione).
    Hanno inglobato nella loro pacifica alleanza i tre stati baltici ( a 150 chilometri da S.Pietroburgo), Polonia, Cechia e Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria. Ma i russi non ha no diritto di preoccuparsi!… Infatti la Superpotenza mica si è preoccupata pe’ missili a Cuba, oh no, no!…
    È che noi sia.o convinti che gli altri siano immemori come noi… erore!

  30. Pino Nicotri
    Pino Nicotri says:

    x Linosse

    Che significa “PUBBLICATO DA DARIO VARESE A GIOVEDÌ, AGOSTO 04, 2011″?

    Se si tratta di un articolo pubblicato da un giornale, è possibile averne il link?
    Grazie.
    Un saluto.

  31. Pino Nicotri
    Pino Nicotri says:

    Perfino papa Francesco ha parlato dell'”abbaiare della NATO alle porte di casa della Russia”.

    Biden è sempre stato un Numero Due, perciò molto frustrato. Come ho riportato nel mio libro, c’è negli USA chi – Gideon Rachman, firma prestigiosa del Financial Times – chi ha fatto un paragone con Truman, altro numero due diventato di colpo il Number One. Il paragone anche se non lo dice esplicitamente paventa il pericolo che Biden una volta diventato il Number One voglia strafare per far vedere quanto è bravo lui.
    Ecco cosa ho scritto nel libro:

    Vale però anche la pena condividere un paragone e una considerazione – sempre di Rachman – su Biden: il paragone è tra Joe Biden e Harry Truman, il presidente del “containment ” del comunismo. La considerazione è che Biden appare “chiaramente intenzionato a riaffermare la pretesa degli Stati Uniti di essere il ‘leader del mondo libero’”. In dettaglio il paragone è il seguente: “Come Truman, [Biden] è un ex Vicepresidente e Senatore democratico, a lungo guardato dall’alto in basso dall’élite intellettuale del suo partito, e che si trova inaspettatamente al comando in un momento di svolta della Storia”.
    E dunque intuiamo come un tale paragone celi una preoccupa- zione, anche se non esplicita: che l’eterno ‘numero due’ Biden, una volta diventato il ‘Numero Uno’, finisca con lo strafare come finì per strafare Truman sulla pelle dei giapponesi. Per soddisfare final- mente il proprio ego con il classico “Ora vi faccio vedere chi sono io!”.
    Chi fosse Truman lo sappiamo: è il presidente che ha fatto sgan- ciare le atomiche sul Giappone per testare l’effettiva efficacia dei nuovi ordigni e ammonire l’alleata ma comunista Unione Sovietica. Che le atomiche non le aveva ancora. È il presidente che ha voluto l’intervento nella guerra di Corea nel 1950 e ha iniziato la presenza USA in Vietnam. È il presidente che ha avuto il coraggio di destituire per insubordinazione dal comando USA della guerra di Corea il generale Douglas MacArthur, che voleva a tutti i costi usare le atomiche contro i nordcoreani e invadere Pechino. Ed è anche il presidente che ha dato inizio alla Guerra Fredda perché per convincere il Congresso a finanziare il Piano Marshall per l’Europa decise d’agitare lo spettro del comunismo. La stessa Unione Sovietica – alleata degli USA contro il nazifascismo – veniva così trasformata in nemico. Il “nemico necessario”.
    Chi è – o chi intenderà essere – il presidente Biden lo sapremo invece solo strada facendo.
    E solo strada facendo sapremo cosa intendeva dire quando ha dichiarato che “Gli Stati Uniti devono guidare il mondo da una posizione di forza”.
    Ricordandogli, tuttavia, che le elezioni di midterm negli USA, non sono poi così lontane.
    Il lancio della nuova alleanza militare AUKUS con l’Inghilterra e l’Australia, altro grande regalo per il complesso militar-industriale USA, fa temere che la forza di cui parla Biden è soprattutto, se non esclusivamente, quella delle forze armate e annessi armamenti sempre più terrificanti.

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