Il rapporto di dipendenza personale

Che cosa voleva dire nel Medioevo avere un rapporto di dipendenza di tipo “personale”? Un rapporto personale era quello che intercorreva fra colui che concedeva un feudo (simbolo principale della ricchezza medievale) e colui che lo riceveva, in virtù del quale quest’ultimo dichiarava la propria sottomissione (omaggio di tipo vassallatico), offrendo la propria fedeltà fino a quando restava salda la concessione. (Se non era un feudo, era comunque un titolo o una funzione che dava diritto a un qualche privilegio o a una rendita).

Cioè chi disponeva di proprietà privata, che nell’alto Medioevo i barbari avevano ottenuto eliminando o sottomettendo militarmente i latifondisti romani, la metteva in parte a disposizione, a mo’ d’usufrutto temporaneo o anche vitalizio, a favore di chi era in grado di farla fruttare. I benefici ottenuti da questa proprietà tornavano comodo, indirettamente, alla stessa persona che l’aveva concessa (senior). La proprietà o la carica onorifica poteva essere concessa anche come forma di riconoscimento di un valore militare o per qualche opera compiuta di particolare significato: spesso il beneficiario era un parente del signore che concedeva il feudo o il titolo, ma non necessariamente.

Una parte della proprietà privata veniva alienata, cioè concessa in comodato d’uso, chiedendo in cambio determinati favori: p. es. tasse, rendite, uomini armati, servizi giuridici o logistici… Era appunto il fatto di possedere una proprietà privata (in genere quella della terra) che permetteva, nel Medioevo, di realizzare dei rapporti di dipendenza personale. Non c’era un vero contratto, con diritti e doveri da parte di entrambi i contraenti, come accade oggi a livello aziendale o sindacale, ma anche notarile, giuspolitico ecc., dove è prevalente l’aspetto funzionale o strutturale su quello psicologico-esistenziale.

Un contratto può sempre essere rescisso, senza che ciò comporti delle limitazioni alla libertà giuridica, che ognuno formalmente gode. Nel Medioevo si riteneva il giuramento o la parola data o la promessa fatta infinitamente superiore a qualunque contratto: era una sorta di patto di fedeltà in cui veniva messa in gioco la coscienza o comunque l’etica. Di qui la sua sacralità. Cosa che invece non si poteva riscontrare negli statuti dei Comuni borghesi, dove si aveva la pretesa di affermare una certa uguaglianza formale, almeno nel momento della costituzione del Comune.

La persona libera si sottoponevano volontariamente a un rapporto di tipo vassallatico. Non era costretta a farlo, ma gli serviva per ottenere un certo potere o anche solo una certa protezione militare o politica. Era una forma di umiliazione personale, in quanto si giurava d’essere fedele a una persona, a prescindere da quello che in futuro essa avrebbe potuto fare o chiedere di fare.

Non succedeva mai che il vassallo restituisse il feudo dopo aver giudicato di indegnità il sovrano o il signore che glielo aveva concesso. La tendenza semmai era un’altra: fare in modo di poter trasformare il feudo da “concesso temporaneamente” a “definitivamente acquisito”. La tendenza cioè era quella di sottrarsi a un rapporto di dipendenza giudicato stressante, fagocitante, oneroso.

Un rapporto personale basato sul potere della proprietà privata era quasi una forma di schiavitù, nel senso che la persona libera, anche se diventava relativamente potente o comunque temuta, stimata…, in virtù della concessione ottenuta si trasformava in un servo di qualcuno, “un uomo di un altro uomo”, come allora si diceva.

Un rapporto di dipendenza personale di questo genere avrebbe potuto trovare un proprio senso etico soltanto a due condizioni: 1) che il concessionario non disponesse di proprietà privata o comunque che il beneficiario non fosse un nullatenente, 2) che il rapporto fosse finalizzato a uno scopo preciso temporaneo.

P.es. se la terra appartiene a una collettività e questa decide di entrare in guerra, si può accettare l’idea che qualcuno dichiari la propria dipendenza personale nei confronti di un altro. Raggiunto tuttavia lo scopo, tutti tornano ad essere liberi come prima. Là dove esiste proprietà privata della terra, non può esistere alcuna vera reciprocità nel rapporto di dipendenza personale, poiché chi fruisce del feudo in concessione è costantemente ricattabile, almeno finché la concessione non si trasformi in proprietà privata. Cosa che in Europa occidentale e avvenuta, nel Medioevo, due volte: col Capitolare di Quierzy, nell’877, per i feudi maggiori, e nel 1037 con la Constitutio de feudis, per i feudi minori. In entrambi i casi gli imperatori si illusero che, facendolo, avrebbero potuto trarne un beneficio, ma non fu così.

Infatti, ogniqualvolta gli imperatori ricevevano una scomunica, i feudatari, che disponevano della proprietà dei loro feudi, si mettevano dalla parte del papa, proprio allo scopo di poter svolgere il ruolo del “piccolo imperatore” nei loro stessi feudi, senza dover rendere conto più a nessuno. Fu in questa maniera che l’idea d’impero venne scardinata dall’anarchia feudale, la quale, a sua volta, rese anche molto difficoltosa la realizzazione delle nazioni.

Oggi rapporti di questo genere, che implicano l’assenza dello Stato o comunque della sua consapevolezza, in quanto lo si avverte come inutile o addirittura come un nemico, sono presenti in Italia negli ambienti della criminalità organizzata, dove si sono conservati persino certi rituali simbolici medievali. Ed è difficile pensare che in assenza di uno Stato o in presenza di uno Stato inefficiente, incapace di far valere la propria autorità, e in presenza, contestualmente, di una forte proprietà privata dei fondamentali mezzi produttivi e di sostentamento, non si arrivi a riproporre e a generalizzare la prassi medievale della dipendenza personale.

Le alternative non sono molte: o si elimina la proprietà privata, e allora il patto tra i proprietari comuni, collettivi, diventa per così dire implicito, nel senso che tutti sono dipendenti da tutti; oppure si rende talmente forte il potere dello Stato da impedire che la sfera politica sia determinata da vincoli di tipo personalistico. Tuttavia, in questo secondo caso resta sempre da chiedersi se un siffatto Stato sia davvero in grado di garantire libertà e democrazia per tutti, in quanto è notorio che un ente esterno, avente pretese del genere, finisce con l’imporre una sorta di dittatura.

Una collettività è davvero libera soltanto quando si autogoverna, senza alcuno Stato. Non a caso anche gli Stati che arrivano a nazionalizzare la proprietà dei fondamentali mezzi produttivi, riproducono, nei loro centri di potere, gli stessi meccanismi feudali di dipendenza personale, nel senso che l’unico vero merito che viene premiato è la capacità di assicurare la propria assoluta fedeltà al potere dominante, alla ragione di Stato, all’ideologia del partito di governo, e altre cose che abbiamo già visto nelle dittature staliniste e maoiste.

6 commenti
  1. controcorrente
    controcorrente says:

    Caro Enrico,

    tutto molto ben ricapitolato,storicamente corretto,anche se a parer mio ,una forma di quello che tu chiami “rapporto di dipendenza personale”in fondo era già stato praticato dai Romani, nel caso dei “clientes” (il caso di Mario , è evidente )

    Continuo però a pensare, che prima di giustificazioni etico morali,sono i” tipi” di organizzazioni economiche che precedono queste ultime..ovvero si va per tentativi e quando si trova la formula giusta per il governo delle nazioni o degli imperi, che garantiscano sia lo sviluppo che le risorse per il mantenimento di una qualsiasi forma di potere ,dopo, si trovano le forme giustificative etico morali.
    Non v’è nulla di apodittico o di a priori, ma solo un rapporto dialettico.
    Sai io non sono un Kantiano !!

    cc

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  2. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    Sotto Mario il rapporto di dipendenza personale era a fini politici, nel Medioevo è a fini economici.
    Quello di Mario esiste ancora oggi, sempre nella politica. Quello medievale per potersi riproporre necessita della rinuncia alla libertà giuridica e può darsi che con l’aumentare della crisi e della disperazione molti chiederanno di riproporlo. Ma se ciò avvenisse tutti direbbero che si tratta di schiavismo.

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  3. controcorrente
    controcorrente says:

    Caro Enrico,
    hai perfettamente ragione, al massimo era addirittura Mario, forte delle sue ricchezze a dare ai suoi “clientes”, pur di legarli a sé nella sua lotta politica per il potere.
    Oggi si potrebbe chiamare un rapporto di tipo pseudo-mafioso.
    Sono stato disattento e chiedo venia.
    Mentre però sono altrettanto sicuro che ,nel caso che tu paventi,proprio tutti a chiamarla schiavitù, non ci saranno…anzi alcuni invocheranno lo Stato di necessità, altri si inventeranno qualche nuova fede, ci saranno , visionari e mistici,magari pure qualche miracolo…e ci saranno di sicuro schiere di chierici pronti a seguire le nuove dottrine.

    cc

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  4. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    Sì in effetti volevo dire che oggi se qualcuno accettasse, da libero, la dipendenza personale, la sinistra direbbe subito che si tratta di schiavitù, senza rendersi conto che questo termine, nel mondo greco-romano, si riferiva a un’altra tipologia di persone. Gli operai sono schiavi salariati, ma nessuno lo dice, visto che sono giuridicamente liberi. Secondo me dopo la fine della schiavitù salariata ci sarà la riproposizione della dipendenza personale, sempre che non si riesca a por fine a queste forme subumane di esistenza.

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