La moderna credulità

La credulità (o creduloneria) non è una prerogativa dei credenti, almeno non più di quanto oggi non lo sia per i non-credenti. Per capirci sul significato del termine, bisognerebbe anzitutto definirlo, ma la cosa non è facile.

Di regola, infatti, si è soliti applicare questo atteggiamento a una determinata categoria di persone: quelle che hanno una fede religiosa. Diciamo che chi crede in cose che vanno oltre la ragione umana è un ingenuo, e questo si verifica soprattutto tra i credenti, abituati per tradizione a considerare veri i miracoli, siano essi in forma di divina provvidenza, di inspiegabili mutazioni fisiche o di poteri sovrannaturali.

Oggi tuttavia, dopo mezzo millennio di secolarizzazione, non ha senso associare la credulità alla sola categoria dei credenti. Sono diventate troppe le persone non-credenti per rendere ancora legittima un’attribuzione così stretta.

Molti tra i non-credenti (agnostici o atei che siano) non si rendono conto di vivere, seppure in forma laicizzata, gli stessi atteggiamenti di credulità dei credenti. E questo è naturale. La religione ha una storia molto più lunga e per liberarsi dei suoi condizionamenti ci vorrà sicuramente molto tempo. Sicché può apparire del tutto normale che p.es. in luogo della “divina provvidenza” si creda nella “fortuna inaspettata”. Eventualmente, per costoro, saranno le vicende della vita a far capire che gli uomini devono appropriarsi del loro destino, per sentirsi davvero liberi.

Il problema però è un altro. Oggi la credulità non riguarda solo i credenti o i laici che si portano ancora dentro i condizionamenti della fede. Riguarda anche gli atei o gli agnostici convinti, quelli che pensano d’essersi emancipati definitivamente dalle chimere del passato. Li riguarda da vicino quando credono che determinate cose umane, create dagli uomini, possano funzionare da sole, come per magia o per incanto. P.es. le istituzioni o gli Stati, i quali, proprio a motivo della loro astrattezza, favoriscono gli atteggiamenti deresponsabilizzanti, quelli tipici di chi delega ad altri funzioni o poteri.

Sono istituzioni umane, messe in piedi contro forme clericali di autoritarismo del passato feudale, che però, in ultima istanza, riproducono, seppur laicamente, gli stessi difetti di quelle forme.

Una delle credulità più tipiche delle società borghesi è quella di ritenere che i mercati abbiano in sé la facoltà di risolvere ogni problema. Il valore di scambio è come un feticcio da adorare, un tabù inviolabile. Il valore d’uso, che implica l’autoconsumo, non si deve neppur nominare.

Gli Stati sono lo strumento principale di cui la borghesia si serve per dimostrare, a chi non vi crede, che la logica del mercato è l’unica in grado di garantire la democrazia. La stessa democrazia delegata o rappresentativa, che si esercita nei parlamenti nazionali, è la quintessenza della credulità politica. Ai cittadini vien fatto credere che, votando i loro rappresentanti, questi faranno davvero la volontà degli elettori.

Altri miraggi creati artificialmente dai poteri costituiti riguardano il nostro rapporto con la natura. Nonostante i periodici disastri causati da un uso dissennato delle risorse ambientali, ci viene sempre detto che il primato spetta all’uomo, alle sue esigenze (di lavoro, qualunque esso sia) e che la natura è soltanto uno strumento per soddisfarle al meglio.

E noi siamo convinti che questo ragionamento sia giusto, proprio perché ce ne fanno sempre un altro collaterale, e cioè che ad ogni problema si può facilmente trovare una soluzione con la nostra scienza e tecnologia, e che quando non la si trova non è per un limite oggettivo, ma per una mancanza di volontà politica.

Insomma noi viviamo come in una gigantesca bolla di sapone, nel mondo dei sogni. Siamo creduloni anche in quanto atei o agnostici convinti, proprio perché abbiamo uno strano culto del progresso e non ci piacciono i disfattisti, i catastrofisti. Vogliamo essere ottimisti ad oltranza, anche perché non vediamo all’orizzonte alternative davvero praticabili.

Ci piace credere che, in un modo o nell’altro, presto o tardi, le cose si aggiusteranno. E ci dispiace vedere che chi ci ha messo dentro questa bolla, ora stia approfittando della nostra buona fede, della nostra predisposizione alla credulità.

Ecco ora abbiamo forse trovato la definizione che prima cercavamo: credulità vuol dire essere indotti a credere che un potere a noi esterno abbia, nei confronti dei problemi da risolvere, più risorse di quante ne abbiamo noi.

5 commenti
  1. alessandro
    alessandro says:

    Caro Galavotti,
    i limiti della democrazia(?) attuale sono sotto gli occhi di tutti emi riferisco pure alla c.d. democrazia indiretta o rappresentativa.
    Utopicamente(so che non e´ possibile) ,forse,preferiremmo una democrazia diretta( ma si immagina,pero´, quanti problemi pratici avremmo? ).
    E non sono nemmeno convinto del popolo, almeno di quello italiano;in un momento di crisi come il nostro e´ estremamente difficile guardare all´altro , nel senso che poiche´ sono in difficolta´ per sopravvivere si debbono accettare certi compromessi, anche quelli meno morali;mentre,al contrario, sarebbe proprio quella situazione di crisi
    a doverci far capire che,in un modo o nell´altro, ci siamo tutti dentro.
    La marxiana presa di coscienza dei problemi nella sua totalita´ sembra un miraggio davvero lontano.Peraltro lei sapra´ senz´altro quel vecchio detto freudiano che le persone preferiscono un po´ di sicurezza alla liberta´(citato male),perche´ la liberta´ fa paura a tutti:quella vera e genuina dovrebbe essere non la liberta´ di fare cio´´ che si vuole ma responsabilita´;come e´ possibile pensare alla liberta´ senza pensare, nel medesimo istante, agli altri?
    E arriviamo, caro Galavotti,alla sua conclusione:e´ vero, un potere a noi esterno non puo´avere,verso i problemi da risolvere, piu´ risorse di quante ne abbiamo noi.
    Ma, un po´ di problema resta:di quali risorse stiamo parlando?
    esiste realmente la volonta´ generale di “gestire” quelle risorse?
    O valgono ancora quelle parole che Pasolini ne La ricotta lascia recitare a Welles?

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  2. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    Vedi il problema non sta nei problemi in sé, ma nella possibilità di risolverli, che nella democrazia attuale è prossima allo zero. Per poterli risolvere occorre la capacità decisionale e questa è possibile solo in comunità ristrette, che eventualmente si possono federare tra loro: l’importante è che esse siano padrone in casa propria.
    L’essere umano, se vuol vivere democraticamente, non può costruire strutture o modelli di livello nazionale, imperiale o internazionale: ne perdiamo facilmente il controllo, oppure usiamo forme molto autoritarie. L’aveva già capito Rousseau.
    Nelle democrazie dirette, circoscritte, anche se al momento ci comportiamo tutti come delle bestie egoiste, sicuramente col tempo miglioreremmo, proprio perché sapremmo che l’alternativa è peggiore.
    Ricordi com’è crollato l’impero zarista? Sulla carta sembrava in Europa il più forte in assoluto. Se non ci fossero stati i russi, Napoleone sarebbe resistito molto più a lungo; i turchi, gli austriaci e i tedeschi lo temevano enormemente. Eppure guarda com’è crollato: è bastata una spallata dall’interno.
    Questi sistemi si reggono in piedi non per la loro forza intrinseca, ma per la debolezza dei loro cittadini.
    Tu magari dirai che anche la democrazia ateniese era diretta e che non è durata a lungo. E’ vero, ma la base di quella democrazia era lo schiavismo, nonché il sessismo, in quanto le donne vi erano escluse. E nella guerra contro l’aristocratica Atene ebbe la peggio.
    Oggi non abbiamo neanche un esempio da far valere in merito. Lenin aveva capito che la democrazia dei soviet era sicuramente migliore di quella rappresentativa che sarebbe venuta fuori dall’Assemblea costituente, ma Stalin fece fuori tutto.
    Le ultime democrazie dirette di cui ci ricordiamo qualcosa, in quanto generalizzate, erano quelle degli indiani nordamericani: 500 tribù che abbiamo eliminato cum magno gaudio.

    Rispondi
  3. alessandro
    alessandro says:

    caro Galavotti,
    verrebbe da pensare,in base alle sue considerazioni, che lei sia favorevole a dei soviet.(Pietrogrado 1917?).
    Certo, se consideriamo Condorcet, Arrow e Sen si capisce che l´attuale “democrazia” rappresentativa(compreso il sistema di voto) e´ fortemente limitativa.
    Un consiglio dove si possa votare per alzata di mano, dove ci sia il diritto di revoca immediata per sfiducia, dove nessun funzionario abbia uno stipendio esorbitante?
    Sarebbe interessante ma siamo dentro l´Utopia(fermo restando che io ho una visione estremamente positiva di essa):senza utopia niente progresso(sempre pero´ con la ben nota differenza pasoliniana fra sviluppo e progresso).

    Adesso faccio ,pero´, intervenire il demone:
    -le cose cambieranno quando dovranno cambiare:non c´e´ reale possibilita´ di intervento;
    -la maggior parte degli uomini sono utilitaristici;
    -Darwin

    Mi rende conto che la natura di quel demone e´ culturale.
    Quanta morale e quanta follia sono necessarie per seppellire una certa cultura?

    P.S.
    Non so se conosce certe idee di Piergiorgio Odifreddi;pare che sia favorevole a dei nuovi soviet.

    un caro saluto,alessandro

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  4. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    Sì sono favorevole ai soviet, quelli che Stalin abolì subito dopo la morte di Lenin.
    Soviet vuol dire democrazia diretta, quella per cui Lenin ritenne naturale abolire l’Assemblea costituente, poiché una democrazia delegata sarebbe stata un passo indietro.
    Nelle comunità ci si deve conoscere tutti, come nelle riunioni condominiali. Così ci si fida di più.
    Lo Stato va abolito, o quanto meno le deleghe dovrebbero avere dei poteri inversamente proporzionali alla capacità di controllarle. Più sei lontano da me quando mi rappresenti, meno poteri ti do.
    Hai paura che piccole comunità sarebbero debolissime nei confronti degli Stati limitrofi? Perché secondo te l’Italia rinascimentale fu occupata da Francia e Spagna quando l’Italia comunale, militarmente molto più debole, seppe tener testa agli imperatori feudali germanici? E’ semplice: perché non si formarono delle leghe. Signorie e Principati erano i primi nemici di se stessi.
    Tante comunità locali associate tra loro possono tener testa a qualunque nemico. Quando gli indiani iniziarono a farlo vinsero il generale Custer. Quando i bolscevichi armarono i contadini, durante il comunismo di guerra, vinsero inglesi francesi americani e giapponesi, oltre ai filozaristi e filocapitalisti interni.
    Se le cose cambieranno quando dovranno cambiare, forse sarà troppo tardi, forse avremo pagato dei prezzi troppo grandi per ricominciare.
    Odifreddi lo conosco e apprezzo solo come ateo. Dimmi dove posso trovare altro.
    ciaooo

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  5. alessandro
    alessandro says:

    caro Galavotti,
    direi d´essere d´accordo, anche sul finale(anche se non riesco a immaginare una situazione globale piu´ caotica di quella che stiamo vivendo che ha gia´ i suoi prezzi alti da far pagare).
    Non so dirti dove puoi trovare altro, ma se trovo qualcosa te lo faccio sapere(pure tu pero´!!!),
    ciao,alessandro.

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