La pericolosa follia religioso-nazionalista di Netanyahu

Desidero ricordare che più volte ho scritto che l’attuale capo del governo israeliano durante gli anni trascorsi negli Usa è stato tra i principali artefici della trasformazione dello scontro Est-Ovest nello scontro Nord-Sud del mondo, o meglio dello scontro Occidente-Oriente islamico. In questo modo le industrie militari e i fanatismi potevano continuare a prosperare nonostante la fine della guerra fredda una volta dissolta l’Unione Sovietica e il movimento comunista internazionale. Ho anche spiegato che “Bibi” odia a morte gli arabi e gli islamici perché suo fratello Yonatan  è rimasto ucciso nel raid a Entebbe, quando truppe scelte israeliane attaccarono nell’aeroporto di Entebbe i dirottatori di un aereo di linea israeliano. Proprio a suo fratello Yonatan è dedicata la fondazione, che ne porta il nome, utilizzata negli Usa per riciclare la guerra fredda nelle attuali guerre “preventive”, “umanitarie”, “asimmetriche” ed ” esportatrici di democrazia”.

Vediamo come stanno ora le cose e come si muove Netanyahu secondo uno degli intellettuali e scrittori israeliani ed ebrei di maggiore successo.

…………….

L’Iran, re Bibi e il “popolo eterno” di Israele

di David Grossman
ECCO un possibile scenario:
Israele attaccherà l’Iran contrariamente alla ferma presa di posizione del presidente Obama che quasi supplica di lasciare questa incombenza agli Stati Uniti d’America. E questo perché? Perché Benjamin Netanyahu ha una linea di pensiero e una visione storica secondo le quali — riassumendo a brevi linee — Israele è il “popolo eterno” mentre gli Stati Uniti, con tutto il rispetto, sono una specie di Assiria o di Babilonia, di Grecia o di Roma dei giorni nostri. Vale a dire: noi siamo per sempre, destinati a rimanere, mentre loro, nonostante tutto il potere che possiedono, sono momentanei, transitori, motivati da considerazioni politiche ed economiche limitate ed immediate, preoccupati delle ripercussioni che un eventuale attacco potrebbe avere sul prezzo del petrolio e sui risultati elettorali. Noi invece sussistiamo nella sfera dell’“Israele eterno” e portiamo in noi una memoria storica in cui balenano miracoli e imprese di salvezza che vanno oltre la logica e i limiti della realtà. Il loro presidente è “un’anima candida” che crede che i nemici ragionino in maniera razionale come lui mentre noi, già da quattromila anni, ci troviamo ad affrontare le forze più cruente e gli istinti umani più incontrollabili e oscuri della storia e sappiamo bene come comportarci per sopravvivere in queste zone d’ombra. C’è chi si sentirebbe in ansia dinanzi a una simile descrizione ma non è da escludere che il primo ministro la ritenga appropriata e persino elogiativa nei suoi confronti. Il capo del governo gode, come si sa, del supporto di un’ampia coalizione e non deve fare i conti con una forte opposizione. In un certo senso agisce come un leader unico – “re Bibi”, l’ha definito la rivista Time– e ciò significa che nel momento in cui Netanyahu dovrà prendere una decisione cruciale, il futuro e il destino della popolazione israeliana dipenderanno più che altro dalla sua visione del mondo estremista, inflessibile e radicata.
In altre parole molti cittadini israeliani appartenenti all’intero arco politico che non vogliono che Israele attacchi l’Iran – e anche una parte dei capi dei vari settori della sicurezza che si oppongono a una simile iniziativa – sono oggi prigionieri, in maniera inequivocabile, delle ermetiche convinzioni del primo ministro. Netanyahu ha fedeli partner di governo che condividono con lui opinioni e scelte. Il vantaggio di questi partner rispetto ai cittadini che si affidano alle loro decisioni sta nel fatto che, all’apparenza, costoro “conoscono tutti i fatti e le valutazioni”. È vero che così funziona un governo democratico ma i cittadini di Israele hanno ormai imparato sulla propria pelle che i loro leader non sono immuni da gravi errori e, come ciascuno di noi (e forse anche un po’ di più), sono inclini a fallimenti o a essere trascinati dall’euforia del potere.
Trattandosi quindi di una questione tanto vitale abbiamo il diritto e il dovere di fare ripetute domande, o almeno di esigere che chi prende le decisioni ponga a se stesso delle domande e risponda onestamente: quelli che dovrebbero sapere, sanno davvero? E sarebbero in grado (sempre che qualcuno lo sia) di conoscere e fornire “tutti i fatti e le valutazioni” coinvolti in una tale azione? Sono persuasi al di là di ogni dubbio di non esagerare nel considerare la capacità dell’esercito israeliano di risolvere definitivamente il problema nucleare iraniano? Non sottovalutano forse la forza degli iraniani?
Sono completamente sicuri che se Israele bombarderà l’Iran gli iraniani non abbiano a disposizione un’atomica? E se ce l’hanno, che non la useranno contro Israele?
In altre parole la “conoscenza” dei nostri leader si basa solo ed esclusivamente sui fatti oppure è distorta e influenzata da ansie, desideri ed echi di traumi del passato che nessuno è esperto nell’ingigantire quanto il capo del governo? E, la cosa più importante: i nostri leader capiscono che la decisione di attaccare una potenza come l’Iran (peraltro contrariamente all’opinione degli Stati Uniti) potrebbe rivelarsi il più grosso errore mai commesso da un governo israeliano?
Chi è a favore di un intervento contro l’Iran si muove lungo un asse i cui estremi sono “o la bomba atomica iraniana o il bombardamento dell’Iran” e dal quale pende un’insegna: “Per sempre divorerà la spada” (II Samuele, 2, 26). I
leader israeliani sono talmente prigionieri di questo ragionamento automatico che sembra che, dinanzi a qualunque dilemma o a qualunque decisione relativa alla sicurezza, un verdetto celeste o una legge di natura condanni quasi sempre Israele a muoversi solo ed esclusivamente tra “o la bomba o il bombardamento”. Ad aggredire o a essere aggredito. Certo, un Iran dotato di armi nucleari rappresenta un pericolo reale, non è una paranoia del governo israeliano. Ma nella situazione attuale esistono altre direzioni di movimento, altre possibilità di azione – o di inazione.
E naturalmente esiste l’inequivocabile promessa americana che l’Iran non avrà armi nucleari. Ma Israele sembra già essere al culmine di un processo in cui agiscono forze ben note e più potenti di lui, quasi primordiali, alimentate dalla percezione storica ricordata in precedenza che fa sì che di solito i timori si realizzino e che calamita verso situazioni di minaccia esistenziale.
Quindi, con maggiore enfasi, si pone la domanda: perché ministri e alti dirigenti di tutti i settori della sicurezza – quelli ancora in carica, non solo quelli del passato – non si alzano a dire la loro?
Quelli che in conversazioni private si oppongono all’iniziativa di un attacco, che ritengono che un’aggressione israeliana prorogherebbe soltanto di poco la nuclearizzazione dell’Iran e temono le conseguenze a lungo termine di un’aggressione simile per Israele, per la sua stessa esistenza. Perché non si alzano adesso, quando ancora è possibile, per dichiarare: noi non collaboreremo con questo delirio megalomane, con questa disastrosa concezione messianica?
La fedeltà al “sistema” è forse più importante della fedeltà a ciò a cui hanno dedicato la vita: la sicurezza e il futuro di Israele? Un’iniziativa di questo tipo sarebbe il gesto più significativo che potrebbero fare oggi per Israele, per la sua sicurezza e il suo futuro.
Anche noi cittadini, improvvisamente silenziosi dinanzi alle ombre che si addensano su di noi, raggelati, rassegnati a priori, con gli occhi chiusi dinanzi a ciò che appare di giorno in giorno più minaccioso e frastornante nella sua rapidità, come potremo poi affrontare noi stessi e i nostri figli quando ci domanderanno perché abbiamo taciuto? Perché non siamo usciti a frotte a manifestare nelle strade contro la possibilità di un’altra guerra scatenata da noi? Perché non abbiamo eretto nemmeno una tenda di protesta, simbolica, davanti alla residenza del primo ministro per mettere in guardia dalla catastrofe che ci sta franando addosso?
Dopo tutto, parafrasando un verso del poeta Haim Nachman Bialik scritto in un contesto completamente diverso, saremo noi “con la nostra linfa e il nostro sangue a pagare l’incendio”.
Traduzione per La Repubblica di Alessandra Shomroni
Pubblicato da Zdenek
210 commenti
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  1. Peter
    Peter says:

    non sapevo che Assange sta nell´ambasciata ecuadoriana da due mesi…ma l´asilo politico gli e´stato concesso solo oggi…
    Il governo inglese (Hague, il miliardario antieuropeo) fa sapere che non fara´irruzione (bonta´sua), ma nega ogni salvacondotto per l´Ecuador, in barba alla convenzione di Vienna…
    Dice che le ambasciate non servono a quello…
    Vorrei vedere se lo direbbe di un´ambasciata britannica a Pechino, o a Cuba, o a Bangkok…

    Peter

  2. Pino Nicotri
    Pino Nicotri says:

    x Peter e Rodolfo

    Ma di cosa parlate ? O meglio: di cosa straparlate? No entiendo.

    x Peter
    Non capisco a cosa si riferisca la sua opinione (o la tua? Ci si dava del tu tempo fa). Se non la eprime avrà i suoi motivi.

    x Rodolfo
    Avere opinioni è ovviamente più che legittimo, e altrettanto più che legittimo è l’esprimerla o il non esprimerla. Non capisco quindi per quale motivo lei si intrometta per sindacare ciò che ha detto Peter. Come si suol dire, saranno cazzi di Peter. O no? Lei che c’entra? Oltretutto non è la prima volta che lei trae conclusioni lunari, quindi ci vada più cauto. Se non ricordo male, anche lei a volte ha alluso a sue opinioni su qualcuno o qualcosa preferendo però non esprimerle.

    NON intendo lasciare spazio a beghe personali per giunta incomprensibili. Anche i tordi hanno capito che non vi stimate. Bene. Cazzi vostri. E chissenefrega? Perché asfissiarci con minchiatine piccin piccine picciò?
    Un saluto con e senza opinioni. En la cabeza y fuera de la cabeza

  3. Pino Nicotri
    Pino Nicotri says:

    A TUTTI ANCORA GRAZIE DEGLI AUGURI.
    Vorrei rassicurare Anita e Sylvi che non sono accasciato né rassegnato né invecchiato di colpo né intenzionato a diventarlo. Però i rumori di guerra sono sempre più udibili. Ciò crea anche scoramento.
    Un caro saluto a tutti.
    pino nicotri

  4. peter
    peter says:

    x Pino

    desculpe, yo habia entendido mal…

    Volevo solo notare che una cosa puo´essere fraintesa in vari modi. Ma poi ho pensato che fosse meglio tenermelo per me, tutto qui.

    Va bene il tu, uso il tu con vari bloggers (anche con alcuni che non vorrei…)

    un saluto

    Peter

  5. Shalom
    Shalom says:

    Ancora a farsi prendere per il culo dal vecchio livoroso? Sbava per la fregola dell’attacco israeliano all’Iran. “Gott mit ihnen!”. Perche’? Ma per il prepuzio, dio jahve bonino!
    Shalom

  6. Pino Nicotri
    Pino Nicotri says:

    x Alessandro

    Grazie degli auguri e del gentile estenderli a chi mi vuole bene.
    pino nicotri

  7. Il doge Dandolo (in quel posto ai furlani)
    Il doge Dandolo (in quel posto ai furlani) says:

    La fine dell’indipendenza del Friuli

    Con l’attenuarsi dell’autorità imperiale e l’attivazione da parte dei patriarchi di una politica guelfa, cominciò la fase di crisi dell’intero Patriarcato, indebolito dalle contese tra la nobiltà libera e quella legata all’Impero, dagli scontri tra Udine e Cividale e fra i comuni Friulani che cercavano di resistere alle aggressioni veneziane, goriziane e di altri come Ezzelino III da Romano.
    Il Patriarcato cominciò con il perdere l’Istria dove Venezia assunse la diretta tutela dei comuni minacciati dal conte di Gorizia e con la pace di Treviso del 1291 ottenne tutta la costa mentre poco più durò l’autonomia di Pola. Trieste, per conservare le allora sue modeste risorse commerciali decise di passare sotto i duchi d’Austria. La decadenza del patriarcato favorì anche una notevole se pur transitoria affermazione dei conti di Gorizia che raccolsero la bandiera ghibellina ed ebbero, quando Enrico II sposò la figlia di Gherardo da Camino, una voce importante nel Veneto e prevalenza in tutto il Friuli.
    Quando si consolida la potenza di Venezia, dell’Austria e dell’Ungheria, la sorte del Patriarcato è segnata. Già dopo l’uccisione del Patriarca Bertrando di San Genesio in seguito ad una congiura capeggiata dai goriziani nel 1350 si vide l’intervento del duca d’Austria col pretesto di mantenere l’ordine. A Udine i Savorgnan che mirano al potere, favoriscono Venezia sempre più interessata alle cose friulane, ricercandone contemporaneamente l’appoggio.
    Una serie di congiure in cui perdono la vita prima Federico Savorgnan e poi il Patriarca Giovanni di Moravia, portano all’intervento dell’Imperatore Sigismondo d’Ungheria e alla guerra tra questi e Venezia. Il 16 giugno 1420 Tristano di Savorgnan da allora soprannominato “Il traditore” entra a Udine col il vessillo di San Marco e anche il conte di Gorizia è costretto a prendere l’investitura da Venezia che raccoglie quasi completamente l’eredità di Aquileia. Il papa riconobbe il nuovo stato di cose nel 1445; il Patriarca di Aquileia Ludovico Trevisan dovette quindi accettare l’annessione a Venezia del Patriarcato di Aquileia, a cui rimaneva l’amministrazione della stessa città e del contado di Aquileia e dei castelli di San Daniele del Friuli e di San Vito al Tagliamento.

  8. peter
    peter says:

    Oh beh…ad agosto va bene pure quella lettura di cui sopra.
    Magari domani deliziero’ i bloggers con
    la presa di Otranto dei turchi nel vicino
    1480…sono certo che non aspettano altro.
    Premetto che gli aragonesi ci liberarono
    l’ anno siguente…cosi’ il Salento ando’
    alla santisima tierra d’ Espana.
    Un nobile spagnolo toma’ el titulo de
    conte de Sallent a Majorca…

    Immagino che ora c’ e’ necessidad de
    uno cafe’ largo…

    Peter

  9. Pino Nicotri
    Pino Nicotri says:

    https://www.lonmin.com/Lonmin_Annual_Report_2011/Root/index.html

    È istruttivo, per il cinismo e l’ipocrisia dello sfruttamento, leggere il report dell’anno scorso della società proprietaria delle miniere di platino del Sudafrica dove la polizia ha ucciso una trentina di lavoratori in sciopero. Da notare che la dirigenza della società è tutta di “pura razza ariana”, come anche i capi della polizia che hanno diretto la mattanza contro i lavoratori.
    pino nicotri

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