Elogio dell’ambiguità

Non c’è nulla che non possa essere interpretato in maniera ambivalente: né una parola, né un’immagine o un suono, neppure il silenzio o il vuoto. Tutto è soggetto ad ambiguità, anche perché è proprio questa incertezza che indica la presenza nell’essere umano della libertà di coscienza, che stimola la mente ad aprirsi, che misura la virtù.

Per cui pensare che i sensi siano più sicuri dell’intelletto è pura follia, come d’altra parte lo è il contrario, in quanto proprio l’attaccamento pervicace a determinate idee ha provocato disastri incalcolabili; così come le strategie basate sulla manipolazione degli istinti. I sensi senza l’intelletto sono ciechi, e l’intelletto senza i sensi è sordo.

Non c’è nulla di definito o di definibile, se non appunto il concetto di “relatività” o, se si preferisce, di “dialettica”, che è lo strumento che tiene uniti gli opposti. Nulla può esistere di indipendente dalla volontà, dalla facoltà di scelta, dal libero arbitrio dell’uomo; nulla che possa imporsi da sé, come un’evidenza certa, indiscutibile, automatica. Nessun dio può vantare d’essere più grande dell’uomo. L’unico essere è “umano”, che non sopporta alcun altro “essere” privo di umanità, unica vera fonte della libertà.

La stessa natura, che pur ci è data come un’evidenza esterna, non ha leggi superiori a quelle che possono regolamentare in maniera equilibrata l’esistenza umana. Anzi gli uomini rappresentano il grado supremo dell’autoconsapevolezza dell’universo.

Chi pensa il contrario è un fanatico, un illuso o una persona limitata, con poche idee nella testa. Non abbiamo alcuna possibilità di dire “ciò che è”, ma solo “ciò che non è”, con tutta l’umiltà possibile, ma anche con tutta l’onestà, la sincerità e la convinzione di dire la sacrosanta verità.

Possiamo parlare solo al negativo, possiamo soltanto usare espressioni come “forse”, “dipende”, “può darsi”, “per il momento”, “stante le cose in questi termini”, “posti questi presupposti”, e così via.

Possiamo soltanto essere apofatici, cioè indiretti, possibilisti, simbolici, allegorici; non possiamo essere categorici, apodittici, esclusivisti. La vita è soltanto una metafora, che richiede una continuametanoia.

Quando diciamo che non esiste alcun dio al di fuori dell’uomo, lo diciamo proprio per assicurare all’uomo la sua umanità e quindi la sua libertà di scelta, di essere per la scelta e non per il dover essere.

Un qualunque dio sarebbe una non-scelta, un’imposizione intollerabile, un giudizio insopportabile. L’a-teismo non è la semplice negazione del dogmatico teismo, non è il rovescio della medaglia, ma la pre-condizione minima per iniziare ad essere se stessi. L’a-teismo non indica all’esistere la strada dell’essere, ma permette di cercarla liberamente, lontani dai condizionamenti della religione, che, per forza di cose, sono alienanti, in quanto separano l’umano dalla libertà.

La fede religiosa impedisce la ricerca, l’auto-esame, la disponibilità al mutamento; favorisce solo la rassegnazione, la passività di chi si affida ad altri, a un dio ritenuto infinitamente migliore di sé (che poi, nel concreto, vuol dire affidarsi ai suoi rappresentanti, che speculano sulle debolezze altrui).

La fede è soltanto la giustificazione del vittimismo, l’idea illusoria che il vittimismo possa essere un valore. Tutte le religioni indicano che nel passato più remoto è esistita un’età dell’oro, ma nessuna ha mai avuto la forza per farci ritornare a quell’età.

2 commenti
  1. controcorrente
    controcorrente says:

    Caro Enrico, bel pezzo !
    Chissà perchè mi ha fatto venire in mente il povero Guglielmo da Ockham, era quasi ad un passo da scoprire la dialettica con la logica, poi evidentemente non esistendo altro in circolazione , finì per inventarsi un dio logico pure Lui..peccato , ma lo assolviamo dati i tempi !

    cc

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