Che cos’è la libertà di coscienza?

Gli uomini devono imparare a disobbedire agli ordini che violano la libertà di coscienza. Come facevano i cristiani quando gli imperatori romani li volevano obbligare a rinnegare la loro fede in Cristo. Quella volta i cristiani avevano ragione anche se oggi sappiamo che la loro fede storicamente non aveva alcun senso, essendo la fede non in un “liberatore” ma in un “redentore”.

E’ preferibile che gli uomini si facciano ammazzare piuttosto che violare questa libertà, da cui dipendono tutte le altre. Non per passare alla storia pur avendo mentito sulle proprie visioni – come nel caso di Giovanna d’Arco -, ma proprio per ribadire che sulle questioni di coscienza non si scherza, vere o false che siano le proprie convinzioni o quelle altrui. Ricordiamoci sempre di Tommaso Moro che, nei confronti del proprio sovrano, politicamente aveva torto ma eticamente aveva ragione.

Non serve a niente avere la libertà di associazione, di voto, di culto, di insegnamento o qualunque altra libertà, se viene negata o non viene adeguatamente rispettata quella di coscienza.

Prendiamo p.es. il fenomeno della guerra. Una pura e semplice dichiarazione di guerra è già una violazione della coscienza, non solo di quella del “nemico”, che sarà costretto a difendersi, ma anche di quella dei cittadini dello Stato che ha dichiarato guerra, perché saranno costretti a considerarla come un dato di fatto, essendo stata decisa dal governo in carica senza previa consultazione popolare e, una volta accettata, saranno costretti ad accettare mille altre limitazioni, in un crescendo continuo, soprattutto se i “nemici” saranno in grado di difendersi.

L’unica guerra ammissibile dovrebbe essere quella difensiva, da considerarsi come gesto estremo dopo il fallimento di tutti i negoziati politici, e solo per evitare conseguenze peggiori, come la sottomissione di un intero popolo o il suo genocidio o la sua deportazione in altri territori, e così via. In tal caso la guerra difensiva va giudicata come l’ultima possibilità di sopravvivenza.

Dobbiamo ritenere altamente significativo che nella nostra Costituzione sia stato posto il divieto di usare la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali; anzi tutte le Costituzioni del mondo dovrebbero prevedere il principio secondo cui i crimini compiuti contro l’umanità non possono mai cadere in prescrizione, come si disse al processo di Norimberga contro i nazisti.

Questo perché occorre dare una qualche soddisfazione ai sopravvissuti, i quali devono essere indotti a credere che la giustizia non è una parola vuota e che, per ottenerla, non hanno bisogno di nutrire sentimenti di vendetta o di farsi giustizia per conto loro o di pretendere pene che violano il diritto ad avere una propria umanità.

Generalmente nelle situazioni belliche la libertà di coscienza viene ridotta al minimo. Nelle forze armate esiste una rigida gerarchia: l’inferiore è tenuto ad obbedire agli ordini del superiore di grado, a meno che non venga violata – oggi finalmente lo diciamo – la sua libertà di coscienza. Un soldato dovrebbe rifiutarsi di giustiziare i prigionieri o le persone disarmate, ferite o che si sono arrese.

Quando un soldato afferma, sotto processo, ch’era stato costretto a compiere determinate cose contro la sua coscienza solo perché gli era stato ordinato, in genere mente, poiché, se si fosse davvero rifiutato, non gli sarebbe successo nulla di particolarmente grave. I superiori sanno bene che se in casi del genere agissero con mano pesante creerebbero dei precedenti che poi risulterebbero ingestibili. Di qui la necessità di formare dei picchetti per le fucilazioni sulla base della libera adesione o di caricare a salve almeno uno dei fucili o di non intervenire se i componenti del plotone non colpiscono il bersaglio o lo colpiscono non per farlo fuori ma solo per ferirlo.

In genere i superiori devono convincere con la persuasione il plotone d’esecuzione che il soggetto da giustiziare meritava d’esserlo senza alcuna attenuante, in quanto le prove erano schiaccianti o il suo reato era assolutamente infame. Prediche analoghe, in grande stile, a interi eserciti, vennero fatte non solo ai giapponesi che bombardarono Pearl Harbor, ma anche agli americani che bombardarono Hiroshima e Nagasaki. Stessa cosa fecero Napoleone e Hitler alle loro truppe quando invasero la Russia.

E’ molto difficile rispettare la libertà di coscienza nelle situazioni-limite, i cui comportamenti unilaterali sono dettati da decisioni schematiche, semplificate al massimo. Frasi di questo genere: “Se tu non uccidi lui, lui ucciderà te”, “Non fate prigionieri”, “T’assicuro che in un modo o nell’altro parlerai”, “Sii spietato se vuoi che il nemico abbia paura di te”, “Bruciate tutto!”, “Ci teniamo il diritto a un colpo preventivo”, “Per sicurezza non rischiare”, “Quando uccidi degli innocenti, devi considerarlo un incidente di percorso” ecc., non dovrebbero mai essere pronunciate da un soldato e tanto meno da un ufficiale, che è preposto a dare l’esempio.

Quando non si rispetta la libertà di coscienza altrui, ci si mette nelle condizioni di non veder rispettata neppure la propria: sia perché si teme sempre che la vendetta del nemico, nel caso in cui abbia la meglio, sarà terribile; sia perché, temendo di dover sottostare a trattamenti analoghi ai propri, si preferisce il suicidio.

Suicidarsi per non diventare schiavi, come fecero gli ebrei a Masada, si può capire; ma suicidarsi piuttosto che pentirsi, è un grave atto contro la propria coscienza. Ancora più grave è l’atteggiamento di chi vuol mascherare il proprio suicidio accusando qualcuno d’averlo assassinato, ma qui siamo già nell’ambito della follia (come quella di Kierkegaard nei confronti della Chiesa danese).

La libertà di coscienza è la cosa più seria di questo mondo. E’ il metro di giudizio di ogni nostra azione, ma se uno pensa di potersi giudicare da solo, s’illude enormemente. L’essere umano è un animale sociale: nessuno è in grado di giudicare obiettivamente se stesso, se non si confronta con altre persone.

Da soli non abbiamo nessun criterio per stabilire la differenza tra bene e male, poiché per ogni azione sappiamo sempre trovare una giustificazione, anche a costo d’ingannare consapevolmente noi stessi.

2 commenti
  1. fausta
    fausta says:

    anch’io credo che la libertà di coscienza sia il valore supremo, da comparare con l’altro valore supremo, quello della felicità:
    a me sembra che la coscienza di aver agito bene possa dare molta felicità.
    Fausta

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  2. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    Sì hai ragione, ma lo davo per scontato: se posso soddisfare la mia libertà di coscienza, ho raggiunto la massima soddisfazione personale e quindi la felicità.
    Anche nella Costituzione americana è previsto il diritto alla felicità, solo che mentre rivendicavano quel sacrosanto diritto, ribellandosi alla madrepatria inglese, nel contempo lo negavano agli indiani, sottoposti a genocidio, e agli schiavi africani, che nelle terre dei farmers coltivavano tabacco e cotone da esportare in Europa.
    E’ bello avere “diritto alla felicità” (gli yankee, per realizzarlo, ci hanno edificato sopra quella fabbrica di sogni chiamata Hollywood), ma se non è di “tutti”, da subito, quel diritto diventa una farsa.
    Per gli americani il diritto alla felicità era il diritto di farsi da sé (self-made man), calvinisticamente parlando, cioè senza tanti scrupoli, sulla base dell’assunto che senza soldi non c’è nessun diritto e quindi nessuna felicità. Sono i dollari che fanno felici, perché senza quelli non si può comprare nulla, non si può esistere, specie in un paese conflittuale e competitivo come quello. In America si è nella misura in cui si ha.
    Già oggi, per colpa dei loro sogni fanciulleschi, l’economia del pianeta vacilla paurosamente, e tutti vengono costretti a contribuire a non far esplodere questa bolla di sapone, che si libra nell’aria, riflettendo i colori del sole, e che ci piace guardare con gli occhi spalancati di un bambino.
    ciaooo

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