Kneebody, il jazz antisonno dagli States parla italiano

E’ come quando vado  al cinema. Cerco di non leggere le recensioni, preferisco non sapere nulla del film per godermi la sorpresa senza alcuna aspettativa o sospetto, o beccarmi una delusione senza dover dare la colpa a qualcuno. Per i concerti organizzati dal Centro d’Arte degli studenti dell’Università di Padova (la direzione artistica però è ben fuori corso, Stefano Merighi e Veniero Rizzardi hanno superato la cinquantina…) è lo stesso rassicurante quanto elettrizzante approccio. Non so volutamente nulla di chi sale sul palco – e molto spesso è così perché si tratta di novità inedite tutte da scoprire – ma so che non resterò delusa. Tutta ‘sta manfrina introduttiva è per dirvi che anche l’ultimo  concerto della rassegna “Ostinati!” con i Kneebody, a me sconosciuti, è stato un gran bel gusto. Sono in cinque, vivono e suonano tra Los Angeles e New York. Hanno 34 anni o giù di lì ma stanno insieme almeno da dieci (erano compagni di scuola)  e si sente. Compatti, belli, divertiti e divertenti, nessun leader, né i soliti prevedibili susseguirsi di assoli. Jazz si fa per dire, verso l’infinito e oltre, elettrico e pulsante, che poi non ti fa dormire. Il bassista Kaveh Rastegar parla benissimo in italiano (l’ha reclutato nella sua band Ligabue, sic, beato lui), e chiacchiera sempre con il pubblico tra un brano e l’altro. Insomma, il contrario dai jazzisti introversi color marrone triste. Tutti e cinque compongono e tutti suonano con altre formazioni Usa, jazz e più raramente pop. Restano ancora in Italia per qualche giorno: non perdeteveli, il 21 marzo a Modena e il 22 a Castelverde.

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