Il senso della scrittura

La nascita della scrittura fu un fenomeno così importante che gli storici la fanno coincidere con la nascita delle civiltà, anzi con la storia in quanto tale, poiché là dove non esiste “scrittura” esiste solo “preistoria”.

Quando Marx scrisse, nel Manifesto, che “la storia di ogni società è stata finora la storia di lotte di classe”, .Engels, nell’edizione inglese del 1888 di quella famosissima opera, dovette specificare, in nota, che per “storia” si doveva intendere soltanto quella che ci era stata tramandata da fonti scritte.

Come si può notare fu una svista di non poco conto, anche perché proprio nel periodo in cui venne scritto il Manifesto esistevano ancora nell’America del Nord decine di migliaia di nativi americani la cui civiltà non aveva mai conosciuto né la scrittura né i conflitti di classe. La stessa Africa, prima del colonialismo europeo ed escludendo l’area egizia, era messa nelle stesse condizioni, e così tantissime aree del pianeta, che si trovarono poi sconvolte dai viaggi di conquista delle principali nazioni europee, delle quali la più ridicola, in tal senso, fu la Spagna, che già al tempo di Colombo, pretendeva d’impossessarsi di terre altrui leggendo le motivazioni del proprio atteggiamento in una lingua, la castigliana, che nessun residente era in grado di capire.

Ma qui val la pena rileggere la suddetta nota di Engels, poiché è indicativa del fatto che gli europei erano soliti prendere coscienza delle cose solo quando loro stessi, autonomamente, lo facevano, cioè quando cominciarono a leggere studi specifici sull’argomento, non quando sarebbe bastato guardare oltre i propri confini.

“Nel 1847 la preistoria della società – l’organizzazione sociale esistente prima della storia tramandata per iscritto – era poco meno che sconosciuta. Da allora, Haxthausen scoprì la proprietà comune della terra in Russia, Maurer dimostrò che essa era la base sociale da cui presero avvio tutte le razze teutoniche nella storia, e presto ci si rese conto che le comunità paesane erano, o erano state, dappertutto la forma primitiva della società, dall’India all’Irlanda. L’organizzazione interna di tali società comunistiche primitive venne svelata, nella sua forma tipica, dalla grande scoperta di Morgan della vera natura della gens e della sua relazione con la tribù. Con il dissolvimento di queste comunità primordiali la società iniziò a differenziarsi in classi separate e, successivamente, antagoniste. Ho cercato di ripercorrere questo processo di dissolvimento in L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Stuttgart 1886, seconda edizione.”

Il che, in sostanza, voleva dire che in Europa eravamo così abituati ad accettare i conflitti di classe e la scrittura che neppure riuscivamo ad immaginare un periodo, che poi si rivelerà lunghissimo, in cui le due cose non erano mai esistite.

La scrittura, in realtà, non ha più di seimila anni, esattamente come le civiltà, per cui entrambe rappresentano solo un piccolo anello di quella lunga catena della specie umana. Noi europei, a partire dalla tradizione fenicia, con cui s’inventò l’alfabeto in uso ancora oggi, abbiamo sempre considerato importante la scrittura, poiché con essa, tra le altre cose, si potevano fissare delle regole valide per tutti, ivi inclusi spesso, non sempre, gli stessi uomini di governo. O almeno ci siamo illusi che questo fosse possibile.

In particolare abbiamo saputo apprezzare che un piccolo popolo come quello ebraico si fosse dato delle leggi che, nelle intenzioni del legislatore, dovevano essere uguali per tutti, incluso lui stesso. Cosa che, p.es., non si trova tra i Sumeri (i veri fondatori della scrittura in generale, che coi loro codici – il più famoso dei quali è quello di Hammurabi – facevano chiaramente capire che l’applicazione delle leggi dipendeva da chi le violava e da chi ne subiva le conseguenze), e neppure tra gli Egizi, che consideravano i faraoni ben al di sopra di qualunque legge.

Anche gli antichi Romani avevano elaborato le leggi delle XII Tavole, ma, confrontate con quelle mosaiche, appaiono molto meno democratiche, non foss’altro che per un motivo: si permetteva abbastanza facilmente di schiavizzare un proprio concittadino giudicato insolvente.

In astratto quindi è possibile affermare che il bisogno di darsi delle regole era dettato dall’esigenza d’impedire l’arbitrio da parte di qualcuno: nel senso che la forza o l’astuzia dovevano sottostare alla ragione. Di fatto però le leggi spesso non servivano che a giustificare un abuso già praticato, dandogli una parvenza di legittimazione.

Per millenni le classi oppresse si sono illuse che bastassero delle regole scritte, condivise dai sottoscrittori, per far funzionare democraticamente una società. Mosè fu uno dei primi a rendersi conto che le leggi in sé non servono a nulla se non c’è la volontà politica di farle rispettare. E quando vide il tradimento di Aronne e di una parte del suo popolo, pensò che per applicare le sue leggi non bastava la democrazia tribale, ci voleva anche una volontà autoritaria, che punisse senza pietà i trasgressori. E fu così che sterminò una parte del proprio popolo, servendosi dell’altra metà. Aveva capito che più importante della legge era l’obbligo a farla rispettare.

Con gli ebrei non nasce solo l’ideologia della scrittura, ma anche la cultura giuridica a scopo politico. La legge diventa una sorta di divinità, un totem da adorare e tutta la cultura ruota attorno all’interpretazione che si può dare dei suoi tanti precetti. Ecco perché quello ebraico è stato e ancora oggi è un popolo di intellettuali.

Noi occidentali, in virtù della mediazione cristiana, facciamo risalire queste cose agli ebrei, ma in realtà i Sumeri conobbero la scrittura ancora prima che nascesse il “popolo ebraico”. Gli ebrei presero il meglio dei Sumeri (Abramo uscì dalla terra di Ur) e il meglio degli Egizi (Mosè uscì dalla terra dei faraoni) e lo fusero in una legislazione che ancora oggi è a fondamento di tutte le legislazioni del mondo. Non uccidere, non rubare, non dire falsa testimonianza, non desiderare la donna altrui… non sono forse precetti su cui si basano tutte le Costituzioni del mondo? Persino le dittature sono costrette a riconoscerli; anzi, esse sostengono che solo in maniera autoritaria è possibile far rispettare quei precetti.

La dittatura è necessaria perché in presenza della democrazia quei precetti non vengono osservati. Dunque per quale motivo “leggi scritte” e “democrazia” non riescono a stare insieme? Perché ad un certo punto, immancabilmente, la democrazia si trasforma in una sorta di anarchia e le leggi scritte, nonostante il loro indiscutibile valore teorico, non servono a nulla di positivo?

Il motivo è molto semplice. L’esigenza di darsi delle regole scritte non fa parte di una civiltà autenticamente democratica, ma solo di una che al massimo vorrebbe diventarlo e che però non vi riesce. Una civiltà, o anche solo una società democratica, non ha bisogno di alcuna legge scritta, proprio perché la democrazia o esiste effettivamente nella realtà o non esiste affatto. Non può esistere solo sulla carta e quando esiste davvero, non ha bisogno della carta per essere confermata.

Il divieto di mangiare il frutto della conoscenza del bene e del male venne posto quando ormai lo si stava per fare. Si pone un divieto per impedire che dilaghi un determinato arbitrio, ma è evidente che senza autoconsapevolezza il divieto non servirà a nulla, posticiperà soltanto un evento inevitabile.

Quando gli ebrei si diedero i comandamenti, lo fecero allo scopo di darsi un sistema di vita migliore di quello egizio, dove la volontà schiavista dei faraoni, dei sacerdoti e dei nobili poteva imporsi a dispetto di qualunque legge, salvo che i ceti subalterni non si ribellassero. Ma poi, invece di diminuire il valore della legge, lo si aumentò a dismisura, aggiungendo precetti a precetti, in un crescendo continuo, in modo che alla fine la società era divisa tra coloro che conoscevano le leggi per potersene servire a loro piacimento, e coloro che le subivano in tutte le maniere. I vangeli cristiani sono pieni di denunce contro l’ipocrisia di chi “diceva” e non “faceva”, di chi “faceva” secondo la legge e “disfaceva” i rapporti umani (la contraddizione più evidente era quella del sabato). Di fronte all’inefficacia di un precetto i capi giudei provvedevano a formularne un altro ancora più restrittivo, imponendo la necessità di una dittatura per farli rispettare.

In questi ultimi seimila anni la scrittura non è servita a nulla, né a far crescere la democrazia politica né a migliorare il senso di umanità. Forse avevano ragione i Sumeri quando dicevano che l’applicazione delle leggi non può essere assoluta ma relativa, a seconda di chi fa i torti e di chi li subisce: peccato che il legislatore si mettesse sempre dalla parte del più forte. Anche Marx diceva che non ha senso affermare l’uguaglianza di fronte alla legge quando nella vita si è tutti diversi.

E allora cosa fare in attesa che nasca una società o una civiltà totalmente priva di scrittura e, nel contempo, a misura d’uomo? Occorre che nella fase di passaggio si elaborino delle leggi a favore di chi ha meno, per indurre chi ha di più a rispettarle. Il segno che la democrazia sarà aumentata verrà dato dal fatto che le leggi diminuiranno.

Ma chi potrà assicurare che questa diminuzione sarà frutto di una aumentata democrazia e non invece di una trasformazione di questa in una dittatura? Per eliminare progressivamente la scrittura, e quindi le leggi, che ne sono la quintessenza, occorre che la democrazia sia rivoluzionaria e che gli artefici di questa rivoluzione vigilino anzitutto su loro stessi.

13 commenti
  1. Controcorrente
    Controcorrente says:

    Caro galavotti,
    ancor più e meglio fecero a mio avviso i greci, meglio gli Ateniesi al tempo di Elfialte.
    Credo che, come innumerevoli studi dimostrano , il “culmine” si raggiunse quando anche “il proletariato”, fu ammesso alla assemblea dei 500, mi par di ricordare che era poi in fondo l’organo decisionale attravervo il quale veniva eletto l’esecutivo.
    Il culmine si araggiunse infatti tramite Elfialte ,quando si permise con un 2salario” anche al proletario di partecipare alla riunioni dell’assemblea.
    Grande democrazia ,quella greca, in quei tempi .
    Una piccola città, situata in posizione strategica ,senza nemmeno un grande retroterra, che tramite “le cannoniere” del tempo , le triremi”a forza umana ,”i vogatori”,dettavano legge nel mediterraneo alle colonie e ai popoli circonvicini che per forza di natura erano a tiro, essendo anche le altre civiltà affacciate sul mare o poco distanti.
    Una democrazia quasi perfetta ,al suo interno.
    Peccato che che rimase quel peccatuccio di essere un tanticchio imperialista, ovvero ,agli altri era imposto pagar tributo,alla splendida Atena piena di templi e colonne.
    Trista fine fece ,quando gli altri si incazzarono un tanticchio!
    Piange il cuore vedere l’Acropoli depredata e piena di smog di oggi!
    Quasi ci si dimentica del famoso v secolo, meglio, sembra incredibile che sia nato proprio lì!
    Triste destino del primo imperialisismo democratico della Storia scritta!

    un saluto
    cc

  2. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    Tu credi nei concetti astratti metastorici? Io sì. E quando cerco a quale popolo della storia delle civiltà (bada, “delle civiltà”, non della “storia” in generale) si possa applicare il concetto di “collettivismo”, trovo, nel complesso, solo quello ebraico. A tutti gli altri, sempre nel complesso (quindi salvo eccezioni, come p.es. la tua), sono costretto ad applicare quello di “individualismo”.
    Non ti sto dicendo che gli ebrei abbiano saputo esprimere al meglio il collettivismo sociale e tribale. Ti sto dicendo che da quando si sono formate, seimila anni fa, le civiltà, cioè quelle formazioni sociali tipicamente antagonistiche in quanto basate sullo schiavismo, ho l’impressione che solo gli ebrei, pur con tutte le loro contraddizioni, abbiano cercato di opporsi al dilagare dell’individualismo, salvaguardando quel che si poteva del preistorico collettivismo.
    E facendo questo hanno prodotto, prima della nascita del cristianesimo (che pur cercò un compromesso con l’ellenismo tradendo il messaggio originario del Cristo), una concezione etica dell’umanesimo e politica della democrazia superiori a quelle di qualunque altra civiltà schiavistica, ivi inclusa quella greca o ellenistica, che, se anche non raggiunse gli eccessi di quella romana, non conobbe mai al proprio interno un’autentica democrazia sociale, e anche quella politica non uscì mai (esattamente come ogni altra democrazia occidentale, che in quella greca affonda le proprie radici) dalle illusioni della rappresentatività. Illusioni in quanto in nessuna legislazione non-ebraica venne mai prescritto il divieto di schiavizzare per insolvenza un proprio concittadino.
    E se oggi, a parte quella schiavitù mascherata che è il lavoro salariato, è molto raro riscontrare una schiavitù analoga a quella di un tempo, lo si deve anche, in qualche modo, a una più evoluta concezione della persona trasmessaci dal cristianesimo, che la prese certamente più dalla cultura ebraica che non da quella ellenistica.
    Ti ricordo infine che grande fu la resistenza maccabaica ai tentativi di ellenizzazione voluti dai successori di Alessandro Magno.
    Un cordiale saluto

  3. controcorrente
    controcorrente says:

    Caro Enrico,
    che dire su una visione del credere o meno sui “concetti astratti della meta-storia?
    Potrei dirti che “ognuno di noi “ potrebbe avere un concetto-metastorico diverso dall’altro, ovvero individuale , se ovviamente per meta storia si vuol intendere il classico concettodi : “Avere una visione metastorica degli eventi significa agire per raggiungere obiettivi superiori,che vanno al di là della contingenza immediata.
    Vedi a mio avviso per esempio per visione metastorica si potrebbe perfino aggiungere all’elenco quella Marxiana di classe in sé, che comporta anche una visione del futuro “mai del tutto chiarita a mio avviso almeno dal punto di vista “proprio marxiano” di una classe che contenga i se tutti i presupposti materiali per la soluzione definitiva di ogni tipo di conflitto.
    Che piaccia o meno “questo affidamento”rimane a mio avviso comprensivo di una natura escatologica,nonstante poggi o tenti di poggiare su solide basi economicistiche.
    Esitono poi altre visioni metastoriche,per esempio quella che “girolando per internette” ho casulamente trovato ,tipo questa, di personaggio apparentemente “insospettabile tipo Winston Churchill:” …”Dai giorni di Spartaco Weishaupt a quelli di Karl Marx, e fino a Trotsky (Russia), Bela Kuhn (Ungaria), Rosa Luxemburg (Germania) ed Emma Goldman (Stati Uniti), questa cospirazione mondiale per il rovesciamento della civiltà e la ricostruzione della società sulla base dello sviluppo bloccato, sulla base dell’invidia e dell’impossibile eguaglianza, è cresciuta costantemente.
    Ha avuto, come uno scrittore moderno, Nesta Webster, ha abilmente dimostrato, una parte riconoscibile nella tragedia della Rivoluzione Francese.
    E’ stata la guida di ogni movimento sovversivo del XIX secolo; ed ora questo gruppo di personalità straordinarie ha afferrato il popolo Russo dai capelli ed è diventato praticamente il padrone indiscusso di questo enorme impero.”….
    Come vedi ed è questo l’unico osservazione che mi sento per il momento di portare alla tua risposta e che “bisogna prima intendersi”,anche se ovviamente per tutto quello che hai scritto finora , mi sembra di poter affermare di aver inteso almeno a grandi linee la Tua.

    Due osservazioni finali.
    La prima afferente a dati economici.
    Tu affermi giustamente che il lavoro salariato è ancora una forma dissimulata di schiavitù.
    Orbene se si trasferisce come mi pare corretto ormai poter fare alla vecchia parola di proletario,quella di salariato ed in questo caso è bene aggiungere a qualsiasi titolo esso lo sia, orbene il numero dei “salariati” contrariamente a quanto una “vulgata comune”vorrebbe comprendere iu un indistinto genere e pertanto affogarlo in un indistinto non si sa che,ebbene questo numero di salariati sta crescendo nel Mondo in maniera direi esponenziale,secondo una vecchia previsione.
    Ultima osservazione infine sul popolo ebraico.
    Sono carente di informazioni a tal proposito per poter interloquire in merito alle tue affermazioni,anche se ne condivido molte come quella del tradimento del pensiero del Cristo da parte del Cristianesimo susseguente (da Paolo in poi ..ci siamo capiti)non foss’altro per aver letto molti testi di un mio concittadino tal Piero Martinetti filosofo e sostanzialmente Gesù Cristo e il Cristianesimo ,messo all’indice a suo tempo..ed altri lavori afferenti il concetti di libertà e spiritualità che non sto a citare.
    Purtuttavia anche se devo ammettere che concetti come fede laica richiamenti pensieri quali quello di Kant, o di Schopenhauer..mi hanno impressionato..,dicevo purtuttavia mi sembrano anch’essi ascrivibili ad un pensiero che se pur alto e nobile resta e rimane individuale,ovvero relegato alla maturazione e allo sviluppo della propria singola “coscienza”.
    E proprio per questa ragione mi resta ancora difficile accettare o meglio comprendere una storia” diversa” del “popolo ebraico”che vada oltre ai confini tradizionali che per quelpoco che conosco ,sono uso ad attribuire agli altri popoli storici, salvo ovviamente i necessari distinguo che fanno parte delle ovvie diversità maturate nei rispettivi contesti.
    A meno additirittura di non voler ascrivere al popolo ebraico congetture metastoriche complottiste che purtroppo ben conosciamo e che non sono di certo quelle di cui tu hai scritto nel precedente post.
    Un caro saluto
    cc

  4. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    Quando Marx parlava del proletariato industriale, lo riteneva il soggetto storico per eccellenza del socialismo scientifico, in quanto gli interessi che caratterizzavano questa classe coincidevano necessariamente con gli interessi dell’intera collettività o comunque della sua stragrande maggioranza, essendo gli sfruttatori solo un pugno di mosche.
    Tuttavia egli non si rese conto di due cose, una delle quali la fece notare Lenin: l’operaio di per sé al massimo è in grado di fare una rivendicazione salariale non una rivoluzione politica, per la quale occorrono degli intellettuali che abbiano una visione complessiva della realtà e che sappiano organizzare il proletariato alla rivolta.
    L’altra cosa l’abbiamo capita con le riflessioni di tipo ambientalistico. L’industrializzazione, a prescindere dal modo in cui viene gestita, distrugge l’ambiente. Per far sopravvivere la natura occorre che gli esseri umani siano il più possibile “naturali”.
    Non solo quindi non è sufficiente l’operaio per realizzare il socialismo, ma neppure l’intellettuale, proprio perché non si tratta semplicemente di realizzare una transizione da una gestione della scienza, della tecnica e dell’economia in generale a un’altra, ma si tratta proprio di uscire da una civiltà che per riprodursi ha bisogno di saccheggiare e devastare in maniera irreversibile le risorse della natura.
    Quanto al resto che scrivi non volevo certo dire che oggi gli ebrei hanno conservato quello spirito collettivistico che avevano prima del cristianesimo. Oggi le uniche realtà collettivistiche sono quelle che nei paesi del Terzo mondo stiamo definitivamente facendo a pezzi con lo sviluppo incessante della nostra civiltà.
    Mi piace infine che tu abbia ricordato Martinetti: è stato l’esponente più significativo del modernismo cattolico. Il suo discepolo più importante, Donini, lo superò abbondatemente. E oggi anche Donini è in parte superato http://www.homolaicus.com/teoria/ateismo/ateismo11.htm
    ciaoooo

  5. controcorrente
    controcorrente says:

    Caro Enrico,

    la tua risposta mi dà l’opportunità di porre ulteriori interrogativi , tra tutti,uno in particolare.
    Se come tu hai giustamente rimarcato Marx ha finito per porre l’accento sul proletariato industriale , più che sul proletatriato in genere ,deriva dal fatto più che evidente che all’epoca dei “fatti”l’imperioso sviluppo delle Forze protuttive avevano senza ombra di dubbio ampliato a dismisura (rispetto al passato)una quantità di beni e di servizi ,solo pochi decenni prima inimmaginabili.

    Scienza e tecnica erano ancora ben lungi dal porci i problemi dell’ecologia ,mentre forse solo Marx prima di altri aveva cominciato a sospettare anche di una ecologia della mente ,legata a quel tipo di sviluppo,tramite il concetto di alienazione.

    Sappiamo poi come sono andate a finire le cose,l’accento sulla industrializzazione quale unico elemento portante del so…mo ha finito per contribuire notevolmente ad aiutare in modo determinante l’avvento dello stalinismo e del capitalismo sotto la forma del capitalismo di stato,anche se a mio avviso non né stata la sola causa.

    La domanda quindi giunge quasi forzosa,quale ecologismo ?
    Un ecologismo che parli di sviluppo sostenibile nell’ambito di una società che continua a rimanere , piaccia o meno “borghese” o un’ecologismo che prescinda questa e la superi.
    A mio avviso per sua stessa natura e qui la lezione di Marx è ancora valida, il primo tipo di ecologismo non si potrà mai avverare.
    A mio avviso quindi il dilemma si aggira tra una proposta di società futura ,che però da un lato si attarda sull’industrialesimo vecchio stile e dall’altro una ecologismo che alla fine risulta politicamente sterile ,poiché parla in genere e rischia di restare solo “profetico”.

    E più che evidente che si ripropone con forza il “problema “politico.

    Ciao
    cc

    Ps- Si in effeti Martinetti è filosofo particolare schiacciato tra uno storicismo idealistico del “vecchio” Croce,ancorato piaccia o meno all’800 italico e un Gentilismo che si stenta ancora a capire cosa diavolo sia mai stato da un punto di vista puramente filosofico.
    Martinetti lo sapeva benissimo, ma ad essere sinceri, non gli ne fregava più di tanto.
    Non so questo suo poteva essere un limite , ma sotto certi aspetti direi di no,proprio perché in fondo profondamente ancorato al suo stesso modo di essere filosofo e di far filosofia.
    Qualcosa di nuovo se mai ti interessasse c’è o almeno è consultabile presso una fondazione nata recentemente dalle mie parti, e che ha sede proprio presso la casa dove trascorse gli ultimi anni di vita.Pertanto sono a disposizione qualora ..

  6. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    Sì è evidente che l’ecologismo di cui parlo, e che Marx non ha intravisto non solo perché l’industrializzazione non aveva creato gli immani problemi di oggi ma anche perché era abbacinato dall’idea di sviluppo tecnico-scientifico della borghesia, che per lui andava soltanto gestito democraticamente, socializzando i mezzi produttivi, è un ecologismo che, se vuole avere un minimo di senso storico, deve per forza prevedere l’abbattimento completo di questo sistema capitalistico e non semplicemente – come fanno tutti i partiti ambientalisti – un miglioramento della qualità della vita, un’attenuazione delle contraddizioni più macroscopiche ecc.
    Oggi dobbiamo considerare prioritaria l’ecologia sull’economia non solo perché quest’ultima è fondata sulla proprietà privata, ma anche perché qualunque economia basata su indici quantitativi, incapace di tener conto delle esigenze riproduttive della natura, è un pericoloso nemico.
    Immagino tu ti renda facilmente conto quanto sia lontano qualunque dibattito politico nel nostro paese dall’affrontare anche solo minimamente un problema del genere.
    Ti sei chiesto cosa mai sia stata la filosofia gentiliana… Guardala come applicazione consequenziale della Filosofia del diritto di Hegel o come la trasformazione del liberalismo crociano in un’ideologia di stato in cui tutto viene ad essere centralizzato. Come filosofia teoretica poteva essere un di meno rispetto al crocianesimo ma come filosofia politica era indubbiamente un di più. E Gramsci purtroppo non riuscì a capirlo.
    Se vuoi mettere nel mio sito un contributo di Marinetti, lo preferirei non dal punto di vista della storiografia sul cristianesimo ma da quello politico del Modernismo.

    ciaoooo

  7. Controcorrente
    Controcorrente says:

    caro enrico,
    ho dei dubbi “personali” a catalogare il Martinetti come un antesignano vero e proprio del Modernismo cattolico”, se proprio nella parte in cui critica ferocemnete l?istituzione chiesa sia da un punto di vista passato che odierno.
    Sono tanti i motivi che mi spingono a dire ciò,quelli anedottici sui suoi comportamenti in Loco da prendere sempre con le molle , ma anche analizzazndo le categorie classiche filosofiche, quali quelle di Monismo e Dualismo e quella di immanenza e tracsendenza,
    tanto da spingermi a dire un’eresia e magari una cavolata.
    Infatti non bisogna mai dimenticare il primo Martinetti valente ed originale studioso di filosofie orientali.
    In questo contesto e qui viene l’eresia addirittura per il suo rapporto con la natura e gli animali, addirittura mi sembra un antesignano di teorie come quelle di un Frijof Capra,anche se ovviamente mi riferisco in questo caso al solo tao della Fisica e non certo agli approfondimenti in materia economica e scientifica che Capra porta avanti in molte altre sue opere.

    ciao
    cc

  8. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    Sì hai ragione, io col concetto di “modernismo” intendo il meglio che il cattolicesimo abbia dato dai tempi dei movimenti pauperistici ereticali.
    Poi qualcosa è venuto fuori coi cristiani per il socialismo, la teologia della liberazione e i cattocomunismi.
    È un modernismo della fede, ai limiti dell’ateismo, ma sempre viziato da presupposti neokantiani.
    Però siccome di Martinetti non ho nulla nel mio sito, sono disposto a leggermi qualcosa.
    Di lui in casa ho soltanto “Gesù Cristo e il cristianesimo”, che però ho sempre ritenuto abbastanza limitato.
    ciaooo

  9. Controcorrente
    Controcorrente says:

    caro enrico,

    la tua ultima osservazione mi permette di “usare”in senso buono la figura di Martinetti per mettere a fuoco alcune “idee” balzane che mi sono”giunte” durante il mio dibattere con te.

    Il” modernismo cattolico” pre e post chiesa giovannea è qualcosa che si avvicina molto al concetto di filosofia della praxis.
    Martinetti al pari dell’idealista Croce è da questo punto di vista lontano da questa impostazione.
    Meno lo è da questo punto di vista, Gentile con il suo “attualismo”e in questo raccolgo la tua osservazione precedente.

    Martinetti è filosofo “puro”.

    Remo Cantoni lo ricorda così Stampa 15 Novembre 1963

    …natura costituzionalmente eretica e dissidente ,si trovò a combattere in Italia su vari fronti : Il fascismo vittorioso sul fronte politico,lo storicismo idealistico,che dimonava il campo filosofico: il cattolicesismo diventato religione di Stato:
    Ognuna di queste lotte era già di per sè difficile e rischiosa.
    Martinetti diede battaglia da solo ,armato solo del suo sapere e della sua coscienza morale,rifiutando le utili alleanze e i validi compromessi,disperzzando le ragioni dell’economia e della politica,la struttura reale e prosaica della società e della storia.
    facendo leva sulle sole energie della ragione e della vita interiore,rimase alla fine ,isolato…
    ..la sua fu una religiosità solitaria ed aristocratica, una religiosità filosofica poco aperta ai valori corali e sociali dell’esperienza religiosa..L’unica vera realtà è l’attività silenziosa dello spirito che si libera dal mondo,..ha affermato Martinetti.Fu un grandefilosofo, ma non vide o non volle vedere,nel suo pessimismo ascetico,che esiste anche l’attività degli uomini che operano con fiducia nel mondo,animati dalla speranza di modificarlo e migliorarlo.
    Così Remo Cantoni nel 1963..

    Bisogna però ammettere che Il Martinetti, non consigliò mai ad altri a seguirlo su questa strada , anzi li spinse a seguire ardentemente le proprie idee …

    Personalmente quindi si può concludere a mio avviso e secondo i miei gusti personali…al meno per un dialettico-storico impenitente come me..grande uomo…ma ….ovviamente …

    ciao
    cc

  10. Enrico Galavotti
    Enrico Galavotti says:

    Di Martinetti ho letto solo Gesù Cristo e il Cristianesimo, che è del 1934 e mi parve robetta rispetto a quello di Kautsky del 1910. E da allora, considerando che la storiografia marxista l’ha sempre considerato un idealista trascendente di ispirazione kantiana, devo ammettere di essermi lasciato condizionare negativamente.
    Il fatto che lui rifiutasse la cd “chiesta visibile” non mi è mai sembrato motivo sufficiente per prenderlo in seria considerazione.
    Quando leggo antologie di testi critici della religione, tra gli autori italiani trovo Gramsci, Donini, Craveri, Grana… per citare quelli più noti, raramente Martinetti.
    Però sono disposto a ricredermi e a ospitare nel mio sito qualunque contributo che dimostri la di lui laicità.
    ciaooo
    eg.

  11. Controcorrente
    Controcorrente says:

    Personalmente considero nell’anno del signore 2010,un laicismo sconnesso da una buona dose di filosofia della prassi,un qualcosa che oserei definire ..una religione laica….
    Semmai con un pò di tempo e di studio potrei tentare di scrivere un contributo sul perchè non considero Martinetti un filoso pienamente laico Oggi..sul ieri e sul dibattito in corso a quel tempo devo pensarci ….
    L’ultimo lavoro che ho letto è un breve saggio di Edmondo Bersellini che titola “la fede laica di Piero Martinetti…
    Ci proverò , anche se al mamonto per puro diletto, mi occupo di dati aggrati macroeconomici nella storia ..per non perdere la sana abitudine di passare dal generale al particolare e viceversa , senza perdere di vista il momento in cui viviamo…

    cc

  12. Linosse
    Linosse says:

    Ho fatto un commento sull’articolo precedente
    AUGURI,AUGURONI,AUGURISSIMI DI FELICISSIME FESTE
    L.

I commenti sono chiusi.